Massimo A. Bonfantini, ed Emilio Renzi OGGETTI NOVECENTO E DUEMILA

DA storia e storici

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Ecco l’urlo trionfalistico del Manifesto tecnico: «Le nostre sensazioni pittoriche non possono essere mormorate. Noi le facciamo cantare e urlare nelle nostre tele che squillano fanfare assordanti e trionfali». L’anno dopo, il 1911, l’urlo trionfale è La risata di Boccioni. Trionfa nel quadro la risata, sensuale e goduriosa, di un piacente giovane donnone. Con un gran cappello rosso da carnevale veneziano e in un tripudio di colori primari, gialli, rossi, azzurri, su una quantità di oggetti e di piani che si intersecano. Così Boccioni descrive il suo dipinto: «La scena avviene intorno al tavolo di un ristorante dove l’atmosfera è allegra. I personaggi sono studiati da tutti i lati e sia gli oggetti di fronte che quelli dall’altra parte devono essere visti, in quanto tutti presenti nella memoria del pittore».
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[scheda antologica a cura di Andrea Spanu]
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L’arte come pubblicità della macchina e della merce
Certo, le opere dei futuristi, soprattutto dei grandi, di Giacomo Balla e Umberto Boccioni, non si riducono a reclame per il Bitter Campari come nei cartelloni di Fortunato Depero. E i due manifesti del 1910 dei cinque pittori (Boccioni, Carrà, Russolo, Balla, Severini) dicono cose precise, modeste e interessanti, sul grande tema del movimento e della rappresentazione della velocità, e della «brama di verità» nella resa della «sensazione dinamica» di spostamenti e compenetrazioni dei corpi, nelle percezioni e nelle persistenze delle immagini negli strati dei ricordi. Dicono cose molto più precise e interessanti, e con linguaggio molto meno violento e magniloquente, del celebre testo Fondazione e Manifesto del futurismo, che a firma di Filippo Tommaso Marinetti apparve la prima volta in francese sul «Figaro» di Parigi il 20 febbraio 1909. Certo, i pittori non esaltano in modo monomaniacale lo automobile (naturalmente al maschile quale simbolo di virilità!) come Marinetti. Ma l’antiaccade-mismo della rivendicazione di «sincerità e verginità nell’interpretazione della Natura», che è ancora un’eredità dell’impressionismo, si associa alla novità dell’esaltazione delle macchine e della tecnica, nel «rendere e magnificare la vita odierna, incessantemente e tumultuosamente trasformata dalla scienza vittoriosa». La pubblicità delle merci verrà dopo, nei decenni immediatamente successivi, in modo più pieno. Ma c’è già una celebrazione trionfalistica del presente-in-progresso, che è una rinuncia alla dimensione utopica e critica dell’arte.
Ecco l’urlo trionfalistico del Manifesto tecnico: «Le nostre sensazioni pittoriche non possono essere mormorate. Noi le facciamo cantare e urlare nelle nostre tele che squillano fanfare assordanti e trionfali». L’anno dopo, il 1911, l’urlo trionfale è La risata di Boccioni. Trionfa nel quadro la risata, sensuale e goduriosa, di un piacente giovane donnone. Con un gran cappello rosso da carnevale veneziano e in un tripudio di colori primari, gialli, rossi, azzurri, su una quantità di oggetti e di piani che si intersecano. Così Boccioni descrive il suo dipinto: «La scena avviene intorno al tavolo di un ristorante dove l’atmosfera è allegra. I personaggi sono studiati da tutti i lati e sia gli oggetti di fronte che quelli dall’altra parte devono essere visti, in quanto tutti presenti nella memoria del pittore».
Vibra l’ambiente al propagarsi irrefrenabile dell’ilarità della maestosa cocotte, molto cinematografica e quasi prefigurazione di un personaggio felliniano. La risata è forse la più godibile riuscita della pittura futurista. Perfetta sintesi fra lo studio del movimento dell’oggetto, inaugurato da Degas con le sue ballerine e ì suoi cavalli, e lo studio del movimento del soggetto, intorno alla solida, persistente, rocciosa oggettività, aperto da Cézanne con i suoi Giocatori di carte e il suo Monte Sainte-Victoire, sembra sconfiggere la concorrenza: quella ormai storica della fotografia e quella nuovissima del film. Nel quadro né si arresta, né precipita e corre via, il riso. Sul quadro la durata del riso torna indefinitamente nella sua epocalità. Per usare le parole del Manifesto tecnico, «il gesto non sarà più un momento fermato del dinamismo universale: sarà decisamente, la sensazione dinamica eternata come tale. Ma proprio questo «porre lo spettatore nel centro del quadro», e nel vortice di quella risata, così spavalda e irresponsabile, così ottimista e isterica, ci induce, oggi che il convulso secolo breve si è consumato, a riposare l’occhio e lo spirito, trascorrendo su un quadro più vecchio e malinconico, ma somigliante al quadro di Boccioni per il tema e un po’ per l’iconografia
Dal ristorante al bar. È II bar delle Folies-Bergère, dipinto da Edouard Manet nel 1881. La florida bionda barista è al centro del quadro e della nostra prima attenzione. Noi cerchiamo i suoi occhi. Ma non li incontriamo. Il suo sguardo fugge di lato, malinconico e assente. Distante dalle bottiglie e dalla frutta sul banco di marmo a cui si appoggia. Distante dalla folla ai tavolini.
La folla dei ricchi. Che noi vediamo riflessa e lontana nella grande specchiera alle spalle della commessa bella e triste.
Noi come Manet ci sentiamo subito solidali con la malinconia assorta della ragazza. E solidali con i suoi compagni di classe di una trentina d’anni dopo. Per esempio con i due ciclisti evocati e disprezzati da Marinetti declamante e digrignante dal suo automobile nel Manifesto del 1909.
«Ed ecco ad un tratto venirmi incontro due ciclisti, che mi diedero torto, titubando davanti a me come ragionamenti, entrambi persuasivi e nondimeno contraddittori». Nell’allegorizzare di Marinetti, certo più dannunziano e kitsch che parodistico dello stile dantesco (nel primo canto della Commediai), i due ciclisti rappresentano la fastidiosa debolezza della ragione.
Ma oggi ci è chiaro che al di là di un anticonformismo libertario di facciata e formalista, Marinetti fa direttamente l’esaltazione dell’automobile, della potenza e violenza, della guerra, del militarismo, del macchinismo e delle sue opere febbrili, della «velocità onnipresente», delle «belle idee per cui si muore». E questa esaltazione non ci entusiasma. Dopo due guerre mondiali, dopo gli orrori del nazismo, e nella frana del pericolo di una nuova barbarie di stordita dimenticanza di natura e storia, ci suona sinistro l’appello di Marinetti a «distruggere i musei, le biblioteche (!), e combattere contro il moralismo, il femminismo e contro ogni viltà utilitaria».
A Gramsci, ancora nel 1921, si veda il suo celebre intervento del 5 gennaio su «Ordine nuovo», sembrava che il futurismo marinettiano assomigliasse per un carattere antiborghese e trasgressivo al futurismo russo di Majakovskij. Gramsci aveva in comune con Marinetti e con la maggioranza degli intellettuali, e forse della popolazione europea di allora, la passione per le macchine e per la grande industria. Non si accorge così che la celebrazione del presente e di un futuro qualitativamente identico al presente, e soltanto malato di ipertrofia e di aggressività, non poteva che distruggere l’arte, omologandola alla pubblicità e alla comunicazione di massa.
Quest’ultimo passo, dall’arte celebrativa del capitalismo e dell’imperialismo all’arte più ipocritamente pubblicitaria dei prodotti e dei produttori, cioè degli industriali, fu compiuto, nella teoria e nella pratica, da Fortunato Depero.
Nel suo Manifesto dell’Arte Pubblicitaria Futurista, pubblicato nella sua edizione definitiva nel 1931, troviamo proclamato quanto oggi sembra purtroppo largamente confermato dall’esperienza crescente novecentesca: e cioè che «l’arte dell’avvenire sarà potentemente pubblicitaria». Ma questa non è la fine di uno spazio autonomo e critico, o di uno spazio tout-court, per l’arte e per il godimento del gioco, dell’esteticità, della meditazione?
Comunque, Depero spiega che lui ha tratto la sua profezia proprio «dai musei e dalle grandi opere del passato». Perché, dice, «tutta l’arte dei secoli scorsi è improntata a scopo pubblicitario: esaltazione del guerresco, del religioso; documentazioni di fatti, cerimonie e personaggi nelle loro vittorie, nei loro simboli, nei loro gradi di comando e di splendore». Oggi si devono esaltare «gli industriali e i produttori»: «Il cartello è l’immagine simbolica d’un prodotto, è la geniale trovata plastica e pittorica per esaltarlo ed interessarlo».

Massimo Bonfantini
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La storia e altre storie
1910 – Esce il primo volume dei Principia matematica di Bertrand Russell e Alfred N. Whitehead.
1911-1912 – Guerra italo-turca: la Libia diventa colonia italiana.
1911 Sun Yat-Sen fonda la Repubblica in Cina.
1912 naufragio del Titanic, la più grande nave passeggeri del mondo, al largo di Terranova.
1913 Suffragio universale maschile in Italia.
1914-1918 Prima guerra mondiale: crollo degli imperi centrali.
1915 L’Italia entra in guerra a fianco di Francia e Inghilterra.
1916 Teoria della relatività generale di Albert Einstein.

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Sitografia
Fortunato Depero
Futur-Ism

Massimo A. Bonfantini – Isabella Brugo – Emilio Renzi  –  Salvatore Zingale
OGGETTI NOVECENTO E DUEMILA
a cura di Massimo A. Bonfantini, ed Emilio Renzi
(pagg. 17-23)

ATìeditore – Milano 2010

Massimo A. Bonfantini, ed Emilio Renzi OGGETTI NOVECENTO E DUEMILAultima modifica: 2011-01-05T19:19:17+01:00da mangano1
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