duemila ragioni

Paolo Bagnoli, Alberto Benzoni, La questione socialista

Questione socialista 1


Una Questione
grossa e difficile

di Paolo Bagnoli

Crediamo che sia utile svolgere,ancora una volta,qualche osservazione in merito alla cosiddetta “questione socialista” che, dopo aver tenuto un certo campo di attenzione per un po’ di tempo,sembra essere stata  accantonata nel dibattito politico italiano sempre che di “dibattito” si possa parlare in un’Italia che, non solo mostra grande difficoltà  nel dialogare,ma anche nello starsi  ad ascoltare. Lo stesso dato che emerge dalle recenti elezioni,per quanto segnino novità rilevanti come il risultato di Milano,ci dicono che il sistema delle alleanze,dei rapporti,delle scomposizioni denotano una crisi grave e aspra del sistema politico italiano a dimostrazione del fallimento del conclamato bipolarismo. La crisi della Repubblica sembra,infatti, involversi su se stessa e le ragioni politicistiche del quotidiano finiscono per tenere banco;le prospettive della democrazia italiana  sembrano scarsamente interessare,mentre riteniamo che una seria opera di ricostruzione della politica democratica e di riconferimento di autorevolezza alle istituzioni della Repubblica non possa prescindere dal mettere sul tavolo,quale elemento imprescindibile,il problema del socialismo in Italia.
    La questione è grossa e difficile anche sotto il profilo della sua impostazione;ma certo, chi la sente e la vive ha pure il dovere di fare uno sforzo non politicistico; avere, cioè, l’intenzione ambiziosa di confrontarsi con la storia;quella di oggi per ritenere di contribuire a costruire quella di domani. 
    Un impegno serio e culturalmente forte in tale direzione non lo vediamo e ci pare che si stiano correndo due seri rischi.Ci riferiamo naturalmente ai socialisti. Il primo è quello di individuare,in quanto aspetto prioritario, la ricerca di una collocazione e di una presenza che, attraverso la conquista di qualche posizione in consessi rappresentativi, segni l’avvio della sua soluzione. Non ci sfugge il senso di tutto ciò,ma di fronte alla grandezza del problema, ci pare solo una scorciatoia di residualità cetuale per far vedere che,a dispetto di tanti, i socialisti ci sono ancora. Ciò,tuttavia, non significa che ci sia il socialismo, ossia un soggetto attivo per rappresentatività sociale e  peso democratico;ribadire,cioè, la funzione  che la storia assegna al socialismo:ossia, essere lo strumento per tutelare  socialmente, dando loro piena dignità di cittadinanza, i ceti indifesi,a quel mondo del lavoro oggi sempre più ricattabile da un capitalismo diventato più aggressivo e  portatore di una barbarie che disconosce i diritti del mondo del lavoro e fa passare come presunta modernità il loro abbandono. Gli esempi in tal senso abbondano e basta gettare un’occhiata su taluni comportamenti del mondo industriale – ultimo quello dell’amministratore della Thyssen che ha ricevuto gli applausi dei colleghi confindustriali – per rendersene subito conto. Insomma, si tratta,in primo luogo,di recuperare il significato di una storia che è stata,pur con tante traversie ed errori,la storia del socialismo italiano,delle sue lotte,del suo valore morale e liberatorio nel nome,appunto,della libertà,della giustizia,dell’allargamento dei diritti. Come diceva Pietro Nenni,nello sforzo continuo di tirare avanti quelli nati indietro. Avere,cioè,coscienza che socialismo significa cambiare il meccanismo di sfruttamento del capitalismo con gli strumenti della democrazia.
    Per recuperare il senso di una storia occorre, tuttavia, avere coscienza del proprio ruolo e una cultura che lo supporti:due fattori al momento inesistenti.  Ricreare una cultura politica che abbia l’ambizione di essere tale è questione assai complessa;è un tragitto che richiede,sempre che si afferri la chiave giusta, assai lungo poiché comporta impostazione ideologica,robustezza teorico-valoriale e sforzo organizzativo non mirato alla semplice comunicazione o irretimento nella testimonianza.
    Le lezioni amministrative hanno ricondotto sullo scenario primario sia Rifondazione comunista che l’Italia dei valori. Ma ciò non basta a reimpostare la questione della sinistra. Qui si gioca la scommessa eventuale dei socialisti poiché la questione socialista e  della sinistra nel suo complesso si intrecciano. Diciamo sinistra un campo cui il partito democratico è estraneo per natura e con il quale, naturalmente, possono essere fatte delle alleanze.
    Il secondo rischio è che tale questione sia ingravidata da quel post-comunismo che, per via pubblicistica o memorialistica,si sta appropriando del problema sostenendo che nel partito comunista vi erano “socialisti”, che l’atteggiamento del Pci verso il Psi è stato quasi sempre sbagliato e tessendo le lodi di un partito,il psi,che i  comunisti hanno prima cercato di egemonizzare,poi contrastare e,infine,addirittura demonizzare. Lungi da noi ritenere che nel comunismo italiano non vi fossero differenziazioni interne anche profonde e tanti autorevoli attestati al psi,se pur postumi,ci confermano nel fatto che la strada giusta fosse quella del psi,naturalmente prima dell’insorgere di quei virus che lo hanno portato alla fine. Ma allora, perché il Pci, chiusi i battenti, non ha voluto farsi socialista? E’ nato il Pds, certo, ma la stessa sigla altro non era che un modo per continuare a perpetuare il senso di una presenza politica in ogni modo non contaminata dal socialismo. Come poi è andata finire è storia  corrente. Ci domandiamo:se invece dell’onore delle armi perché allora non fu data battaglia per affermare,tramite una chiara scelta socialista,una prospettiva che riunisse la sinistra,mantenesse intatto il potenziale di forza del psi quale componente fondamentale della sinistra e non mettere l’abito socialista  oltre le Alpi dismettendolo una volta rientrati in Italia?
    Oggi le ragioni del socialismo ci sono tutte,ma per riaffermarle occorre uno sforzo titanico,allora non era così;la realizzazione,per dirla alla buona, era a portata di mano. La questione è che “natura non facit saltus” e che,perseverando lungo l’unica vera cultura  che aveva permeato il Pci, quella impressa da Togliatti, la legittimazione democratica quale forza di governo,nonostante la caduta dell’Urss e la Bolognina, non doveva derivare dalla scelta socialista,bensì dalla benedizione democristiana;non importa se solo da una parte di essa,bastava fosse democristiana. Da qui è nato il partito democratico verso il quale, anche da parte di quei comunisti che hanno continuato a dichiararsi tali, c’è stata talvolta acquiscenza motivata da ragioni elettoralistico-governiste che si sono poi negativamente riversate su di loro.
    Ciò detto, fermo restando che occorre superare una drammatica contraddizione per cui occorre fronteggiare il presente cercando la convergenza di tutte le forze di opposizione,è proprio il contingente che impone a traguardare il futuro e,quindi, facendo  i conti  sul medio periodo della storia, perché non  innescare un’ iniziativa nel senso della rimessa in pista del problema socialista e, con esso, della sinistra nel suo insieme? I punti di partenza non possono che essere due:un impegno serio e consapevole e la definizione di un campo di idee che lo accompagnino. Facile a dirsi meno a farsi soprattutto se,su di esso ,grava il fattore del reducismo. La fine del psi non ha portato con sé quello della cultura socialista e molti,sparsi un po’ in tutta Italia, sono i centri,le fondazioni,le associazioni che testimoniano una presenza socialista attiva;allora,perché non provare a ripartire da qui,da questo patrimonio di storia,di valori,di cultura,di documentazione;  consegnarci a una sfida ambiziosa con uno spirito di paziente costruzione,senza l’assillo del “fare notizia”, esclusivismi o n ambiguità; questa volta, sì, con spirito di servizio verso un ideale grande e insostituibile per la civiltà ,la libertà,la democrazia e la giustizia quale quello rappresentato dal socialismo. Non sarebbe il caso di tentare?

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Questione socialista 2

La difficoltà di
essere ‘praticabili’

Forse (dico forse) i socialisti dovrebbero dire o proporre qualcosa sulla questione sollevata da Napolitano, ricordando Giolitti, intorno alla “alternativa praticabile”

di Alberto Benzoni

Ricordando Antonio Giolitti, il Capo dello Stato ha riproposto la versione che lo stesso Giolitti dava dell’alternativa, come proposta “credibile, affidabile e praticabile”; questo per sottolineare, neanche troppo implicitamente, che il discorso politico, in particolare del Pd, da molti anni a questa parte non soddisfaceva per nulla a questi requisiti.
    Il rilievo è incontrovertibile; e basti ripercorrere gli eventi più recenti. Questi dimostrano, al di là di ogni possibile dubbio, che, quando il Pd si deve scontrare con il “berlusconismo allo stato brado”, dà il meglio di sé; mentre quando si misura con i problemi – che riguardino la Fiat, la riforma della giustizia o la Libia – annaspa e si contraddice, spesso in modo plateale. In questo senso l’“antiberlusconismo primario” costituisce non già la causa delle sue debolezze, ma un possibile rimedio alle medesime; rimedio che potrebbe funzionare solo nel caso che il Cavaliere determinasse una crisi istituzionale grave e tale da provocare elezioni anticipate. Uno scenario che chi scrive ritiene tuttora probabile; ma non fino al punto di farci totale affidamento. Perché, se lo stesso Cavaliere riuscisse ad arrivare senza strappi al 2013, in una elezione normale, la sinistra dovrebbe esibire le sue carte; e, in mancanza di carte credibili sarebbe condannata ad un’ulteriore sconfitta.
    Ciò, doverosamente, premesso, perché mai la sinistra Pd non riesce ad essere un’alternativa credibile?
    La spiegazione più accreditata (anche perché, attenzione, costantemente proposta e dal centro-destra e dal terzo polo) contesta ai “comunisti” il fatto di essere, in qualche modo, prigionieri del proprio passato; e, quindi, di essere tuttora condizionati da estremismi, ideologismi, conservatorismi di ogni tipo.
    Ora questo condizionamento esiste, ma riguarda il cosiddetto “popolo di sinistra” assai più che la sua classe dirigente. Nel suo caso, anzi, il difetto d’origine è opposto; perché non sta nell’essere prigionieri del passato ma piuttosto nell’averlo frettolosamente liquidato; gettando via il bambino assieme alla (magari tanta) acqua sporca. Per dirla in parole povere, il Pci di fine anni novanta poteva, anzi doveva, diventare un partito socialdemocratico, ma non l’ha fatto, anzi si è mosso in una direzione esattamente opposta.
    Tutto nasce dalla lettura de “combinato disposto” della caduta del muro di Berlino e della immediatamente successiva crisi di Tangentopoli. L’allora Pds interpreta la prima in termini di caduta di ogni prospettiva di tipo socialista e vede la seconda come legittima rivolta della cosiddetta “società civile” contro il “troppo Stato, troppa politica, troppi partiti” che avrebbero caratterizzato la prima repubblica. Il meno che si possa dire è che le cose potevano essere viste in tutt’altro modo: la fine del “socialismo reale” come spazio per il socialismo possibile e la rivoluzione di Tangentopoli come sdoganamento di una cultura di destra condannata all’emarginazione nei decenni precedenti.
     “Ma c’era Craxi che ci annebbiava la vista”, ripetono ancor oggi gli amici del Pd; meglio non replicare per non farsi altro cattivo sangue…
    Il punto che qui c’interessa è poi un altro; il fatto che la quèrelle tra i “nuovisti” (impersonati, tanto per capirci, da Veltroni) e gli “aspiranti socialdemocratici” (vedi Bersani) non si è affatto sciolta nel corso del tempo; anzi non è mai venuta alla luce in un vero confronto politico.
    Il risultato è un partito che oscilla penosamente tra la Cgil e Marchionne ( oggetto, tra l’altro, di un appoggio senza se e senza ma); tra quanti vogliono un partito e quanti sognano una nebulosa indistinta amministrata dalle primarie; tra nostalgici della proporzionale e cultori dell’uninominale secco; tra quanti ritengono necessario un ritorno del ruolo dello Stato e quanti vogliono scavalcare Berlusconi all’insegna di una “rivoluzione liberale” da completare e potremmo continuare all’infinito.
    Il risultato di tutto questo è l’assenza di ogni politica o, peggio ancora, l’immagine di un partito in cui il povero Bersani tenta di proporre qualcosa per essere oggetto di un immediato dileggio da parte della “Rottamatori s.p.a.”.
    Inutile sottolineare, a questo punto, che senza scelta politica non esiste alternativa. Mentre, magari, si potrebbe sommessamente aggiungere che, se questa possibile alternativa ha a che fare con l’attualità della questione socialista, forse (dico forse) i socialisti (dico noi del Psi) dovrebbero dire o proporre qualcosa a questo riguardo. O no?
ue

Paolo Bagnoli, Alberto Benzoni, La questione socialistaultima modifica: 2011-05-22T16:20:04+02:00da
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