Angela Migliore,Aceto, Arcobaleno di Erri De Luca

38.jpg

DOMENICA 4 SETTEMBRE 2011
Aceto, Arcobaleno di Erri De Luca

 
Il protagonista, un eremita dai capelli ormai bianchi, rianima una sera tre figure di amici di gioventù. Il primo, terrorista e poi muratore in Francia, parla della violenza. Il secondo, missionario in Africa, dove uomini, animali e cose hanno “il sapore dell’aceto” e per questo del dolore. Il terzo, un vagabondo, sempre provvisorio, di passaggio in un’esistenza che non dà requie. Violenza, dolore e vagabondaggio sono elementi comuni a tutti i tre personaggi che, nel loro insieme, compongono un affresco amaro e profondo della condizione umana.

Angela Migliore

Erri De Luca, Aceto, Arcobaleno

Ognuno di noi è una folla e chi scrive storie riassume dentro di sé un piccolo chiasso di presenza. Ognuno di noi è un se stesso pieno di persone. Con gli anni ci si rassegna a essere un’identità sola, rispondere di sé solo con un nome, ma per disturbo di crescita o per virtù, chi narra conserva intimità con la propria consistenza numerosa”.
De Luca avverte, pungente, la particolare “solitudine troppo rumorosa” nota ad Hrabal e la carta sotto la sua penna diventa specchio in frantumi dove l’io si riflette moltiplicandosi per dar fiato alle voci di dentro. Nato in mezzo al secolo e in mezzo al Mediterraneo, all’interno di una stanza di libri, ne respira la polvere godendo dell’atmosfera isolante, quell’atmosfera in grado, poi, di condurlo allo scrivere “per istinto di clausura e per opposizione, per difesa, per cattivo carattere, insomma, perché chiuso”. Le pagine porose: confidenti discrete alle quali, spudorato, racconta “i fatti suoi”, le storie della Napoli anni cinquanta e la genesi delle rughe che solcano i ricordi, con l’inchiostro a dare il là ad un canto che è biografia, vita impressa e nascosta tra le righe.

“Mia età, mia belva, chi potrà
guardarti dentro gli occhi
e saldare col sangue
le vertebre di due secoli?”
(Osip Mandel’stam*)

 

uthjPtORapWS-m.jpg“Aceto, arcobaleno”, premio France Culture nel 1994, si apre con l’invocazione del poeta russo che sembra tradurre in versi l’angoscia della forbice in cui annaspano le generazioni al centro tra due secoli e De Luca la interiorizza, la incarna lasciando a quel grido il primissimo bianco del proprio libro trasformandolo, quindi, nel punto di partenza del suo narrare. Un narrare che è musica polifonica, è concerto di timbri differenti registrati dalle pietre di quel tetto che ne ha conosciuti i volti e che, successivamente, si offre come cassa di risonanza per l’intero corpo del protagonista. Ritornano gli echi del passato, ritornano gli amici e la nenia della casa plasma il suo fragile fascio di muscoli ed ossa in orecchio teso all’ascolto. Raggomitolato sulla sedia a dondolo, postazione da cui osservare il mondo trattenendosi in disparte, perché soggiogato dalla sua intensità, il vecchio eremita, si fa crocevia di sfoghi, raccoglie confessioni e smarrimenti assorbendo le parole come spugna che si intride di vita non vissuta. Vita in differita, conosciuta attraverso le labbra dei suoi ospiti: tre frammenti di una gioventù difficile, ritratto di un tempo inquieto, un’età “che ha molto intrapreso per ansia di cominciare, senza riuscire a governare il seguito”.
È la voce del terrorista-muratore a sgorgare per prima sciogliendo la tensione del silenzio, “di quel gorgo in cui i suoni si avvitano attratti verso il fondo” e nel suo parlare lento non c’è pena né sollievo, venuto a raccontare il male per compiere un gesto di carico, non di sgravio: per sollevarlo e portarlo su di sé nell’atto stesso di trasmetterlo all’amico.
“Corpo che uccide un altro corpo e che dopo aver consumato il delitto sente sgretolarsi dentro di sé il movente, la sentenza, quel diritto esercitato a titolo di esempio e tutta l’apparecchiatura di soldato che lo aveva sorretto fino ad allora (…) Assassino non perché in tutta la sua vita ci siano stati minuti che lo abbiano definito, ma perché sotto la corteccia di ogni essere umano c’è un occhio segreto e da quell’occhio è stato visto e messo a nudo”.

“Perché ricordo, perché ricordo tutto? – si chiede l’io narrante nascosto dietro il non esistere del protagonista solitario. Ero rattrappito, riuscivo a sentire solo poche parole e allora come posso ricordarle? Leggevo mentre tu parlavi. Leggevo le briciole di pane sulla tovaglia, gli schizzi di vino, le gocce nei bicchieri, le tue mani intrecciate. Erano forse le stesse parole che dicevi, era la stenografia simultanea che si trasferiva nei frammenti delle cose intorno? Non posso saperlo, adesso ho le parole, ho la stanchezza che ne allenta il morso. Fu la casa che accolse la tua voce, assorbendola nel suo silenzio poroso. È lei che ora la restituisce” e De Luca, proprio in virtù di quella stanchezza, la registra affidandola alla forma scritta, coerentemente con quanto affermava Borges, convinto che le stesure definitive appartenessero o alla religione o appunto alla stanchezza, cioè al fatto che non si riuscisse più ad aggiungere nulla ad una storia considerandola, dunque stesura definitiva.
I suoni, pertanto, diventano lettere e fissano il ricordo che si imbatte nel secondo volto, nel secondo timbro. Voce intensa e squillante, controllata perché non esageri e capace di vibrare ancora di più proprio in virtù della costrizione nella presunta giusta misura. “Voce di quella rara specie che si nega enfasi e però ribolle di tensioni e più si trattiene e più infervora chi ascolta”. Voce di “un’amicizia custodita tra i lunghi intervalli delle visite” di ritorno dall’Africa. Missionario per vocazione, per rispondere al dovere di un futuro che andava compiuto, “chiamato fuori, in coda ad una lista di persone cui fu chiesto di dimettersi dalla carica di individui per diventare un riassunto di tutti”, libero perché spogliato di se stesso, nudo ad abbracciare terra nuova e nuova vita nella consapevolezza che offrire il proprio tutto non è abbastanza e, nonostante questo, forte al punto da accettare la dolorosa constatazione che “la carità non si misura con un risultato perché non si trova esaudita in alcuna meta”, alimentata, invece da “un amore perpetuo che esclude di arrendersi e che non può essere ricambiato”, un amore eroico perché “Pe ‘mmare nun ce stanno taverne”.
La casa riecheggia di una frase dagli accenti familiari che pare costituire nodo capace di legare i destini di tre uomini, realizzandosi appieno nella storia della terza vita che affiora alla memoria auditiva del protagonista posto in ascolto dei sassi pronti, nel fragore dei lampi, a restituirgli antichi racconti assorbiti. Il terzo timbro è quello del vagabondo, del compagno di classe che annuncia con un anagramma il suo “me ne vado di casa” e che rinuncia volontario ad un porto in cui attraccare per incarnare il ruolo di eterno ospite, impercettibile e desiderato, ricco della virtù che più d’ogni altra occorre all’invitato: il senso dell’anticipo. Ingiustamente condannato e in seguito prosciolto con una sentenza che dopo due anni di prigione gli resta estranea, estranea ai delitti che sente di aver realmente commesso, ritorna con la mente ai giorni dell’isolamento e alle parole incise nella polvere con addosso il peso della responsabilità degli scrittori e ripete il gesto dinanzi agli occhi dell’amico eremita, disegnando una tau con i petali di rosa a spiccare nel bianco della calce, simbolo col quale De Luca annuncia la fine che sfuma in un soffio sopra le macerie. Macerie di pietre, lampi, legno e vento; macerie di vita; macerie di ricordi che si addensano in un libro incompiuto eppure pronto a diventare dono, perché “chi scrive fa la metà del lavoro. L’altra metà la fa chi lo prende quel libro e lo legge, lo butta, lo consuma, lo assorbe, ci litiga, ci va a dormire sopra, ci si addormenta. Insomma il lettore compie il libro, lo finisce il libro, come se fosse un semilavorato e alla fine della lettura di ogni singolo lettore, quel libro è un’opera compiuta, è un fatto compiuto, perché è avvenuto l’incontro o scontro o la rinuncia o la rissa tra le due parti”.

(Da: www.lankelot.eu)

 

Erri De Luca
Aceto, Arcobaleno
Feltrinelli
6.50 euro

Angela Migliore,Aceto, Arcobaleno di Erri De Lucaultima modifica: 2011-09-05T15:42:37+02:00da mangano1
Reposta per primo quest’articolo