Giovanni Cominelli, CL. UNA “PRESENZA” INGOMBRANTE

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CL. UNA “PRESENZA” INGOMBRANTE  da www.arcipelagomilano.org
8 maggio 2012 Di Giovanni Cominelli

La lettera che Julian Carron, presidente della Fraternità di Comunione e
Liberazione, ha inviato a La Repubblica avrà conseguenze culturali e
politiche, che si dispiegheranno nel futuro prossimo. Ma proprio per
questa sua cogenza immediata, è opportuno utilizzare il metodo di
lettura già consigliato da Spinoza: “nec ridere, nec lugere, sed
intelligere”.

L’affermazione che “Cristo non è sconfitto dalle nostre sconfitte” può
certo suonare autoconsolatoria all’orecchio di un non credente e poca
udienza può trovare presso il suddetto la richiesta di “perdono, se
abbiamo recato danno alla memoria di Don Giussani“. E può rimanere
indifferente – sbagliando, temo – al “potente richiamo alla
purificazione e alla conversione“, che i fatti imporrebbero. È
certamente poco convincente l’affermazione di Carron che CL “non abbia
mai dato vita a un ‘sistema’ di potere“. Perché è, invece, esattamente
questa la causa dei “fatti” denunciati. E appare pertanto timida
l’assunzione di responsabilità, ridotta all’ammissione “della nostra
debolezza per non essere stati abbastanza testimoni” nei confronti di
“coloro che sono alla ribalta nei media”. Tuttavia, alcuni dati
appaiono nuovi.

Intanto, la conferma che l’intervista rilasciata da Carron al Corriere
della Sera il 16 gennaio 2012 era il segnale di una discussione
interna al popolo ciellino tutt’altro che superficiale, nonostante il
linguaggio felpato. La Lettera segna un passo in avanti più
drammatico. Ma, e mi pare il fatto più importante, c’è il tentativo,
che Julian Carron e Bernhard Scholz, presidente della Compagnia delle
Opere, stanno perseguendo da qualche anno a questa parte, non di
rivedere il pensiero di don Giussani – che d’altronde è consegnato a
un sacco di scritti e si presta a interpretazioni le più varie – ma di
correggere l’interpretazione di esso che si è affermata come ideologia
portante nell’universo ciellino: è la questione della “presenza”.

In polemica con la Fuci, l’Azione cattolica, la Dc, don Giussani
affermò con forza irruente che il credente si doveva vedere in azione
nella società e nella politica. Contro il maritainismo – il cui grande
sponsor era stato fin dagli anni ’30 Monsignor Giovanni Battista
Montini, poi cardinale di Milano e papa, con il nome di Paolo VI – che
sembrava separare in modo schizofrenico l’azione del cristiano in
quanto membro della Chiesa e in quanto attore sociale e politico, don
Giussani invitò i credenti alla “presenza”, a farsi vedere nell’azione
civile, culturale, economica e politica.

Non c’è qui lo spazio per costruire esegesi raffinate per capire se la
trasformazione della “presenza” in “potere” e “egemonia” sia stata il
logico sviluppo di quella posizione o piuttosto il suo tradimento.
Certo è che don Julian Carron invita fermamente i suoi seguaci a
riconoscere che “presenza non è sinonimo di potere o di egemonia, ma
di testimonianza“. “Testimonianza” significa riprendere la tradizione
rosminiana dell’Ottocento e quella di Charles De Foucauld dei primi
del ’900. Il cristiano testimonia con la propria vita quotidiana,
quale che sia il mondo vitale in cui si muove, la vicinanza all’uomo e
la diversità di cui è portatore. La quale consiste nel credere e
praticare che “quello che cambia la storia è quello che cambia il
cuore dell’uomo”.

Una testimonianza e una diversità, affermate senza arroganza, senza
l’illusione che possano rendersi più efficaci, incarnandosi in quelle
strutture di potere, che già il Cardinal Martini definiva “strutture
di peccato”. Già, perché “l’Incarnazione” – che è essenza del
Cristianesimo – è sempre stata richiamata in questi decenni a
giustificazione di quella costruzione del sistema di potere che,
passando da Sbardella a Andreotti a Berlusconi a Formigoni in
Lombardia, era ritenuto l’unico in grado di difendere la presenza
della Chiesa in Italia.

È davvero difficile prevedere se questo messaggio di Carron sia
destinato a scivolare sul corpo ciellino in Italia come acqua sul
marmo – come finora accaduto – o se invece possa rappresentare una
scossa e una rivoluzione culturale per CL. Lo si capirà, per esempio,
se finirà la polemica teorica contro il concetto stesso di etica
pubblica – che la CEI ha rivalutato – e contro il cosiddetto
“moralismo” di chi cerca di farla valere. Se sarà spezzato quel
cortocircuito, per cui automaticamente ciò che “fa bene a CL” e alle
sue articolazioni associative “fa bene al Paese”, non importa se il
“bene” e il “vantaggio” siano ottenuti anche violando
spregiudicatamente appunto i postulati fondamentali dell’etica
pubblica. Si vedrà.

Ma se il declino del Paese è dovuto, in primo luogo, a una crisi di
libertà e di responsabilità delle singole persone, e perciò a un
fallimento etico; se è vero che il deficit di etica pubblica è il mal
du siècle (o des siècles) della società civile italiana, e perciò
della politica, allora una presenza cristiana, rigorosa nell’esempio e
nella testimonianza, può essere uno dei motori della rigenerazione del
Paese. Ecco perché la Lettera di Carron interroga CL, i credenti e i
laici.

Giovanni Cominelli


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Milano

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