ROBERTO CICCARELLI – L’UTOPIA CONCRETA DEL LAVORO INDIPENDENTE

ROBERTO CICCARELLI – L’UTOPIA CONCRETA DEL LAVORO INDIPENDENTE
pubblicata da Vladimir D’Amora il giorno venerdì 18 maggio 2012 alle ore 0.48 ·

A Milano si sta affermando un progetto
che risponde ai bisogni di milioni di lavoratori
autonomi e precari: si chiama «Macao»
e sperimenta il nuovo mutualismo
e il co-working
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Macao si è incarnato in un grattacielo di 33 piani dove riunire le arti e le professioni indipendenti, liberali, cognitive e creative, seguendo un modello di auto-governo che include il momento della formazione e della co-progettazione, la creazione di un laboratorio operoso dove il principale obiettivo è la creazione e la socializzazione delle rispettive attività, non la concessione a pagamento di loculi dove la «creative class» si accomoda con il suo computer e finge la normalità di avere un ufficio, riceve i «clienti», simula la comodità di un atelier, quando invece non fa altro che rispecchiarsi nella propria alienazione e pagare il marchio acquistato in franchising dalle multinazionali del co-working.
L’utopia concreta che i lavoratori dell’arte hanno voluto realizzare nella Torre Galfa di Milano, ribattezzata «Macao», risponde ai bisogni di milioni di lavoratori indipendenti che vivono in Italia. Per questa ragione il progetto Macao non è riducibile solo all’occupazione di uno spazio. Lo si può apprezzare sulla lunga distanza, alla luce di un’intuizione importante: quella di rovesciare il presupposto del lavoro professionale della conoscenza, fondato sullo status professionale del lavoratore autonomo che affitta uno studio, un laboratorio, un atelier o uno spazio espositivo, per mostrare «distinzione» e autorevolezza davanti a un cliente o un allievo di un master a pagamento.
Macao ha l’obiettivo di passare dall’esibizione di uno status individuale, o di categoria, alla pratica di una cooperazione tra diversi, imperniata sul riconoscimento di una condizione comune e non sul possesso di un sapere, sulla necessità di posizionarlo sul «mercato» e sull’obbligo di trasmetterlo seguendo la tradizione gerarchica e frontale dell’insegnamento universitario, oppure quello esoterico del maestro artigiano, o del professionista anziano, che centellinano i segreti del mestiere all’apprendista il quale deve inventare stratagemmi per estorcere, nel più breve tempo possibile, la verità che lo renderà, forse un giorno, famoso sul mercato.
Nel progetto Macao emerge inoltre l’esigenza di elaborare una professionalità contro il mercato che la esclude o la sfrutta ricorrendo alle regole della committenza al ribasso, pagata un tozzo di pane in cambio dell’anima. In filigrana, c’è anche l’idea di una nuova socializzazione delle arti e delle professioni a partire dalla condizione del nomade urbano, precario metropolitano, apolide in patria i cui diritti non vengono riconosciuti nell’edificio delle tutele e delle garanzie per il lavoro tradizionale.
Bisogna inoltre considerare che è su queste figure sociali, e professionali, che si rivale la riforma del «mercato» del lavoro che, nel silenzio generale, aumenta l’aliquota previdenziale per gli iscritti alla Gestione separata dell’Inps dal 27 al 33% (entro il 2018). Un salasso che mortificherà redditi già esigui (in molti casi inferiori ai 10 mila euro annui), penalizzando le residue possibilità di restare nello spazio della cittadinanza, oltre che quelle di svolgere un lavoro regolare. Si spiega anche così la straordinaria vitalità politica che attraversa il mondo del lavoro indipendente, della cultura e dello spettacolo, sin dall’occupazione del teatro Valle di Roma, il 14 giugno scorso.
Nello sforzo della creazione di uno spazio polifunzionale, ma non enciclopedico, Macao è però difficilmente riducibile ad un co-working. Questo termine è stato coniato da un programmista informatico, Bernie DeKoven
 nel 1999 quando a San Francisco sono nati spazi di coworking, «Hat Factory» e «Work only» dove chiunque poteva crearsi il proprio ufficio, affittare una scrivania, inventare una comunità con persone di diverse professioni e condividere idee e progetti. La rete di coworking come l’ha concepita questo informatico si è estesa negli Stati Uniti, e nel resto del mondo. Numerosi sono gli esempi in Europa, ad esempio in Germania o Spagna, come in Italia. In questi spazi c’è sempre il Wi-Fi, un modo per rispondere alle esigenze di chi non sopporta lavorare da solo in casa, cioè il modello di vita del lavoratore autonomo. Su questo bisogno si sta consolidando un impero.
Macao nasce invece dall’esigenza di non cedere al mercato il prezzo della propria solitudine, bensì di istituire una comunità aperta che abbia l’obiettivo di reinventare o proteggere un lavoro svalorizzato, frammentato in mille mansioni irriconoscibili. Un’aspirazione che contrasta, evidentemente, con la retorica prevalente che insiste sul merito individuale, sul talento «creativo» e guarda con favore alla diffusione orizzontale dei saperi tra gli esperti e i non addetti, tra gli studenti e i docenti, tra i professionisti e i clienti, incidendo sui meccanismi della domanda e dell’offerta di lavoro indipendente.
Questo progetto non intende radunare le «competenze» per esporle all’offerta migliore, né creare un mercato alternativo dove fare shopping di «talenti». Tanto meno si intravvede all’orizzonte l’idea di supplire all’alienazione del lavoratore digitale spingendolo in un falansterio dove può incontrare altre solitudini. Tra le sue righe c’è l’intenzione di creare un lavoro al quale non preparano più le istituzioni (dalle accademie all’università, passando per la scuola o i master); ricreare le filiere distrutte dalla gigantesca concentrazione finanziaria del potere nell’arte, così come dalla burocratizzazione dei ruoli e delle mansioni operata dalle autorità statali (soprintendenze, società dei servizi, musei, ma anche fondazioni); innovare le forme di finanziamento di una struttura così ambiziosa imponendo la trasparenza e la giustizia nella distribuzione dei finanziamenti erogati dagli enti locali e regionali, senza trascurare il microcredito e la partecipazione a bandi europei o delle fondazioni a fini sociali.
Un luogo come Macao potrebbe essere inoltre la sede di un consorzio di lavoratori e cittadini che versano i propri contributi previdenziali (che oggi si perdono nella gestione separata dell’Inps) in una cassa mutualistica. Ciò garantirebbe agli indipendenti (autonomi e precari) la possibilità di costituire un’assicurazione universalistica contro malattie e infortuni.
Macao nasce infine dall’esigenza di valorizzare l’immensa ricchezza sociale e produttiva che esiste in Italia, e di promuovere chi crede che la cooperazione sia la parte attiva, vivente, di questa società. Per affermarla oggi c’è bisogno di atti di disobbedienza civile, l’impegno a creare coalizioni sociali, perché i sindacati, i governi, per non parlare dell’impresa, sono a dir poco disattenti, e da vent’anni ne approfittano per saccheggiare questa ricchezza.
Quella che vediamo emergere in questi giorni a Milano è l’esigenza di riconoscersi in una condizione comune, quella del Quinto Stato, dove la molteplicità pressocchè infinita dei «lavori» e delle specificità professionali troverebbero l’occasione per parlare con una voce unica. L’utopia concreta di Macao parla soprattutto di questo. Ascoltiamola.
 
 

ROBERTO CICCARELLI – L’UTOPIA CONCRETA DEL LAVORO INDIPENDENTEultima modifica: 2012-05-18T16:45:23+02:00da mangano1
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