Patrizia Gioia,DANZANDO CON JOYCE.

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DANZANDO CON JOYCE.
Sulle sterili polemichette estive di questi giorni sui giornali.                     di Patrizia Gioia
 
Chi di voi ha osato addentrarsi nella jungla pluralista, interculturale e interreligiosa del
Finnegan’s wake di Joice?
 
Io un amico ce l’ho che lo fa quotidianamente e quotidianamente mi manda notizie dal fronte.
Non so chi sia più matto, se il mio amico, Joice o io, che mi sto addestrando a questi”chiari nel bosco”, a questo turbinio di liane e arbusti, a questo groviglio di lettere e lingue, a queste planate
in rivi e stagni, a queste spellate di ginocchi e acute viste d’occhi che vedono quel che nessun umano ha ancora potuto vedere, né orecchi ascoltare.
Del resto si sa che vedremo il nuovo orizzonte solo quando avremo iniziato a lasciarcelo alle spalle, ed essere consapevoli di questo dovrebbe sollecitarci continuamente a porci delle domande, a stare sempre in bilico sulla soglia, curiosi ed esterrefatti di fronte all’invisibile, invece che chiudere subito baracca e burattini emettendo spropositi e grugniti.
 
Ma perché rendere tutto univoco, perché strangolare la musica invece che danzare nel suo ritmo
in una relazione continua di rottura e continuità tra vecchio e nuovo?
Perché per esempio non ipotizzare, sempre a proposito del nostro Finnegan, un nuovo orizzonte,
un testo profetico, una visione, un immaginale tutto ancora da immaginare, terribile e profondo?
Perché non sentirlo come una voce che ti parla e che ti rimette dove sei e te lo dice senza fronzoli
e preamboli, sei in un flusso, vecchio mio, in un magma incandescente che non ha né capo né coda, né maiuscole né minuscole, né inizio né fine, ma questa, ( parafrasando Bogart) tutto questo bellezza!, è la Vita!
 
Dunque a me e al mio amico non ci fanno affatto strano le estive sterili polemichette di pur esimi intellettuali sotto l’ombrellone, che stanno uscendo proprio in questi giorni sui giornali e che riguardano il nostro occhialuto conturbante James, anzi questo non fa che convalidare la possibile nostra ipotesi di urgente e necessario seme; i suoi semi ruggiscono ( e non sono i soli!) e dunque perché non coltivarli amorevolmente invece che buttarci subito sopra pesticidi e diserbanti, come se noi fossimo più potenti della potenza della natura!? 
 
Una cosa la Woolf ( una tra gli intellettuali distruttori di Joyce)  l’aveva azzeccata su di lui, ma
non erano solamente foruncoli adolescenziali quelli che lei vedeva! bensì potenti semi profetici e, come i foruncoli adolescenziali, tutta salute che sta scoppiando per la troppa nuova vita!
 
Ci separiamo sempre dalla natura e dall’Altro ergendoci conoscitori a compartimenti stagni ed etichettando tutto, incapaci d’essere un formidabile passo di danza che ancora non sa danzare
nel ritmo dell’Essere ma, invece che allenarci, con tutto il rumore che ci ficchiamo nelle orecchie, siamo diventati sordi alla Sua musica e al Suo canto.
 
“Gli occhi del mio amato che porto disegnati nelle mie viscere”, scrive San Giovanni della Croce, un fantasmagorico mistico della vita, uno che l’Anima ce la fa vedere e toccare , perché
“l’anima è come la mano, è in un certo modo tutte le cose “ scrive la Zambrano.
 
“Una specie di luogo, di sede o di potenza, che riesce a entrare in contatto con tutto, e per questo è sede dell’intimità, di ciò che precede la conoscenza e che siamo soliti chiamare familiarità con qualcosa; ciò che si contrappone all’estraneità, ciò che ci permette di orientarci, e di possedere una specie di istinto, un senso, atto a farci penetrare in ogni cosa secondo il suo genere e modo di essere, un’abilità, una ingegnosità che suggerisce in effetti l’immagine di una mano che tocca delicatamente la realtà, una mano dal polso infallibile, materna e virile a un tempo: mano, polso, destrezza, che tra noi occidentali si sono perduti già da molto tempo. (dall’introduzione di Carlo Ferrucci al libro della Zambrano” La confessione come genere letterario”, Bruno Mondatori editore).
 
E se l’anima fosse il DNA?
Perché no? Ecco che ci potresti vedere più chiaro anche nello “spread mind”, sorta di fusione tra cervello e mondo, come ipotizza Riccardo Manzotti, doppia laurea in ingegneria e filosofia.
Perché continuare a delimitare confini? non ce ne sono di confini! se non quelli che mettiamo noi per non “delirare”, cioè uscire dalla “lira”, quella linea di demarcazione da noi inventata per proteggerci dal caos, da quel magma incandescente che ci disegna, dentro e fuori.
 
«I confini- scrive Magris – muoiono e risorgono, si spostano, si cancellano e riappaiono inaspettati. Segnano l’esperienza, il linguaggio, lo spazio dell’abitare, il corpo con la sua salute e le sue malattie, la psiche con le sue scissioni e i suoi riassestamenti, la politica con la sua spesso assurda cartografia, l’io con la pluralità dei suoi frammenti e le loro faticose ricomposizioni, la società con le sue divisioni, l’economia con le sue invasioni e le sue ritirate, il pensiero con le sue mappe dell’ordine».
Per fortuna stiamo diventando poveri, solo che noi pensiamo alla povertà solo come privazione
di danaro, di benefit, di coccola suv e bella vita, invece di vedere la vera povertà in cui ci siamo ridotti, e sì che da tempo qualcuno non facile a dire trombonate ce lo aveva detto che non di solo pane  vive l’uomo ( e la donna)..
 
Evitare il caos – necessario per una nuova nascita – ci ha resi orfani anche del significato profondo dell’Arte e dell’Artista. Sentite un po’ che scrive sempre la Zambrano a questo proposito:
“Artista è colui che può discendere fino a zone talmente profonde di sé stesso da imbattersi in visioni che sono nello stesso tempo azioni;  la vera arte risolve la contraddizione tra azione e contemplazione in quanto è una contemplazione attiva  o un’attività contemplativa: una contemplazione che genera  un’opera dalla quale  si stacca un prodotto. E’ per questo che essa annulla  a un tempo la differenza tra il reale e l’immaginario, tra il naturale e il simulacro.
……………qualcosa che le ore quotidiane non ci danno, è perché offre ciò che il tempo della realtà ci nega, è perché la vita la richiede come autrice di un’azione che senza di essa non potrebbe realizzarsi. Fra le molte cose che noi europei moderni abbiamo dimenticato, vi è anche la funzione medica dell’arte, il suo quasi magico potere evocativo, la sua legittima taumaturgica”.
 
Ecco, perché no?! il nostro Finnegan è un’inesauribile lista di eccipienti attivi – senza marchi di fabbrica né di multinazionali farmaceutiche  – eccipienti allo stato puro, nitroglicerina idrogeno
atomi bosoni quanti..e tutto quanto altro volete metterci, vulcano in movimento, tornado che si srotola, roba che borbotta e bolle e che si muove senza dubbio mortificando anche la farfallina
della bella Belen.
Si, qualcosa bolle in pentola, e nel cosmo.
Ma un motivo di consolazione ce lo abbiamo: le sonde interplanetarie come Voyager e Pioneer continueranno a viaggiare anche quando, tra 5 miliardi di anni, la nostra terra non ci sarà più.
Saranno loro l’unica prova che l’umanità è esistita?
 
Certo che no! almeno non la sola.
Sono certa che troveranno in un piccolo cratere di terra bianca e rossa le pagine bruciacchiate,
ma non illeggibili, del nostro vecchio Joyce.
E il pro-pro-pro nipote che le troverà, finalmente le leggerà tutto d’un fiato come noi ancora
non sappiamo fare e finalmente riderà, riderà anche per noi, oh, come riderà ragazzi! di quell’humor, non solo dublinese, in cui Joyce sta da tempo immemorabile danzando.
 
patrizia gioia
“i semi della gioia”
www.spaziostudio.net
9 agosto 2012
 

Patrizia Gioia,DANZANDO CON JOYCE.ultima modifica: 2012-08-11T14:55:54+02:00da mangano1
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