E questa sarebbe la battaglia delle idee
Ai tempi del Pci, quando il segretario del partito Enrico Berlinguer
scriveva al compagno Ponomariov per chiedergli denaro per la campagna
elettorale, esisteva su Rinascita, settimanale politico del partito,
una rubrica intitolata La battaglia delle idee. Il medesimo titolo era
stato posto ad un libro di Mario Alicata, il quale si rivolterebbe
certamente nella tomba nel vedere il basso livello al quale è giunta
la battaglia politica all’interno del partito.
Qualche storico potrebbe ricordarmi che non si tratta di un problema
nuovo. Per rendrci conto di questo fatto possiamo leggere i libri di
Leonetti, uno dei “tre traditori” con Tresso e Ravazzoli al tempo
della svolta del Trenta, e di Silone, il quale in Uscita di sicurezza
documentò il genere di vita che si conduceva nel partito ai tempi
della clandestinità.
Ma erano, appunto, i tempi della clandestinità e della stalinizzazione
del partito, come raccontò Fernando Ormea in un bel saggio di molti
anni fa. Tempi in cui, come testimoniò Athos Lisa, persino Gramsci, in
carcere, venne sospettato di deviazionismo e il gruppo dirigente del
partito si trovava ad affrontare un nemico che non lasciava scampo.
Affatto diverso era il clima politico in quello che Ingrao chiamò
l’indimenticabile ’56, l’anno della rivolta ungherese soffocata nel
sangue dai compagni sovietici suscitando critiche in tutto il mondo.
Tali critiche raggiunsero anche il Pci il quale provvide
all’espulsione degli elemnti pertubatori, come fece negli anni ’60 con
i compagni del Manfesto: Magri, Rossanda, Pintor, Parlato e via
dicendo, a testimoniare come nel Pci fosse impossibile discutere in
nome del centralismo democratico.
Il Pci è diventaato Pd, la storia si ripete, seppure in modo farsesco.
“Io credo che qualcuno che ha base alle Cayman non dovrebbe
permettersi e di dare consigli. Non lo dico per Renzi ma in generale:
l’Italia non si compra a pezzi”. Pier Luigi Bersani, da Ginevra,
attacca sulla cena tra il sindaco di Firenze e esponenti della finanza
lombarda. Banditi? “Banditi tra virgolette, certa finanza non è
trasparente”, incalza il segretario del Pd.
Già ieri Bersani e Vendola avevano stigmatizzato gli incontri del
‘rottamatore’ con esponenti del mondo finanziario e delle banche. Ma
Matteo Renzi non si scompone e replica così: “Se qualcuno incontra la
finanza e le banche non è che le incontra perché ne è schiavo, anzi:
se la finanza ha avuto un ruolo molto forte è perché la politica non è
stata autorevole nel dettare i paletti e i limiti. Quindi la classe
dirigente che verrà dovrà essere molto più autorevole e credibile nel
rapporto con il mondo economico. E’ abbastanza strana la polemica che
si è aperta: quando non incontro la finanza mi dicono che sono poco
credibile, quando la incontro mi dicono che sono suddito”.
Ma Bersani non accetta l’equazione di Renzi, per cui la finanza è
troppo forte perché la politica è debole: “Questi giochini di parole
lasciamoli perdere. La finanza, certa finanza in particolare ha fatto
quel che ha fatto mettendo in ginocchio la politica, quella che si è
fatta mettere in ginocchio”.
E il dibattito continua su Twitter: “Caro Bersani – scrive Renzi su
Twitter – su banche, finanza e trasparenza accetti un confronto
pubblico? Non importa andare alle Cayman: ok una casa del popolo. Ti
va?”.
“Non ho alcuna difficoltà a discutere su tutto. Ma non ci siamo solo
io e lui e faremo i confronti secondo le regole che saranno stabilite
dai garanti”, è la replica di Bersani, che aggiunge: “Meglio la casa
del popolo delle Cayman”.
“Qui si vede l’Italia che può esserci e può funzionare. Si ripartirà,
troveremo il modo di dare una scossa morale al Paese”. Dopo l’avvio
nel suo paese natio, Bettola, Bersani lancia dal Cern di Ginevra il
suo messaggio per le primarie. “Qui – spiega il leader Pd – ci si
rende conto della presenza dell’Italia in una splendida avventura
scientifica, è una vera comunità di giovani molto ambiti da tutti ma
che hanno posto il problema della ricerca in Italia. Ho detto di aver
fiducia”.
“Spero che la rottamazione venga rottamata. Faremo il rinnovamento,
sarà serio e tutti sono impegnati”. Il segretario del Pd, dopo il
passo indietro di Veltroni e D’Alema, si augura che la battaglia della
rottamazione sia archiviata. “Ho sempre detto: per quale diavolo di
motivo bisogna essere parlamentari per essere protagonisti? Veltroni e
D’Alema sono figure elevate, uno molto impegnato sul fronte legalità e
l’altro coordina e dirige le fondazioni dei Progressisti europei”.
“Cosa significa scontro politico? Lo dovete chiedere a Renzi, è lui
che vuole sfasciare tutto e cancellare tutto”. Così Massimo D’Alema
prima di una lezione sull’Europa all’università Bocconi di Milano.
“Non credo che Renzi sia sinonimo di inizio – sottolinea – e un
rinnovamento convincente. Al di là del dato generazionale, non vedo
elementi di novità sul piano politico e culturale rispetto alla
stagione che abbiamo vissuto, anzi vedo elementi di continuità”.
D’Alema poi afferma che nel Pd “i giovani già ci sono e dirigono il
partito a tutti i livelli, non è affatto vero che non ci sono”.
“Se uno mi dice aiutami a rinnovare, io lo aiuto. Se uno dice ti
voglio distruggere, cacciare, e altre frasi di questo genere, io gli
dico provaci”, dichiara D’Alema.
“Non discuterò più di D’Alema e di Veltroni, ma chiedo di confrontarci
anche pubblicamente sui contenuti”. Lo scrive il sindaco di Firenze
Matteo Renzi, sul suo profilo Facebook. “I nostri – prosegue – sono in
rete già da un mese. Quanto alle discussioni di queste ore sulla
rottamazione: quello che dovevamo dire lo abbiamo detto con coraggio e
all’inizio ci hanno preso tutti per matti”.
“E io mi accomodo tra il pubblico ad ascoltare i vostri problemi con i
banchieri e con la finanza…”. Lo scrive su Twitter Nichi Vendola
rivolgendosi a Bersani e Renzi dopo le polemiche tra i due esponenti
del Pd.
“Abbiamo deciso di sostenere alle primarie la candidatura di Pier
Luigi Bersani che ha il profilo adeguato per guidare l’impegno del Pd
per il governo e il cambiamento dell’Italia”. E’ quanto si legge in un
appello di 22 parlamentari vicini a Walter Veltroni, che sottolineano
una continuità con le tesi del Lingotto.
Nel frattempo, i pollsters sono in fermentto. Pier Luigi Bersani,
secondo un sondaggio della Swg, è in testa nella competizione per le
primarie del centrosinistra: al segretario del Pd va il 38 per cento
dei voti, Matteo Renzi ha il 23%, Nichi Vendola il 19%; per gli altri
candidati (Tabacci e Puppatto) si pronuncia complessivamente l’8%. Il
sondaggio registra anche un 12% di indecisi.
Il sondaggio è stato realizzato con telefonate (metodo CATI) e online
(metodo online CAWI), su un campione casuale probabilistico
stratificato e di tipo panel ruotato di 1100 soggetti maggiorenni (su
5300 contatti complessivi), di età superiore ai 18 anni.
Continua a crescere il Pd, al 25,9%. Prosegue la caduta del Pdl, che
perde quasi un punto rispetto alla scorsa settimana attestandosi al
14,3 per cento. Sfonda la soglia del 20 per cento il Movimento 5
Stelle, che arriva al 21%. In difficoltà l’Idv. E’ quanto emerge da un
sondaggio realizzato da Swg in esclusiva per Agorà, su Rai Tre, che ha
esaminato le intenzioni di voto nazionali e al Nord (dove la distanza
tra Pd e Grillo scende quasi al 3%).
L’istituto ha anche monitorato la fiducia degli italiani in Monti, che
risulta in calo di due punti (dal 39% di una settimana fa al 37%
attuale) dopo la presentazione della legge di stabilità.
Il sondaggio è stato effettuato dalla SWG Srl-Trieste per
‘osservatorio SWG’ nei giorni 15-17 ottobre 2012, tramite sondaggio
telefonico (CATI) e online con metodo online CAWI – su un campione
casuale probabilistico stratificato e di tipo panel ruotato di 1100
soggetti maggiorenni (su 5300 contatti complessivi), di età superiore
ai 18 anni. Il campione intervistato online è estratto dal panel
proprietario SWG. Tutti i parametri sono uniformati ai più recenti
dati forniti dall’ISTAT. I dati sono stati ponderati al fine di
garantire la rappresentatività rispetto ai parametri di sesso, età e
macro area di residenza. Margine d’errore massimo: +/- 2,96%.
“Oggi va di moda il fuoco amico. Santandeché contro il manichino
Alfano. Renzi contro Bersani. CL contro Forminchioni. E’ solo la
premessa di qualcosa di più inquietante, ai limiti dell’orrido: la
combustione umana spontanea. Un fenomeno naturale che ha già fatto
delle vittime, in cui un corpo umano prende fuoco e brucia senza fonti
esterne. Il politico si incendia da dentro, spontaneamente, e di lui
rimane solo cenere. Se bussate alla porta di Veltroni, Casini,
Berlusconi o D’Alema, ad esempio, di loro troverete solo un mucchietto
di polvere da raccogliere con scopino e paletta e guanti di gomma.
Essi furono, siccome immobili. Poi, per una normale questione di
igiene, ricordatevi di spalancare le finestre”, scrive Beppe Grillo in
un editoriale pubblicato sul suo sito.
Un uomo con la maschera di D’Alema, sdraiato davanti al camper di
Renzi come se fosse in procinto di essere investito
Massimo D’Alema ‘investito’ dal camper di Matteo Renzi. Un uomo che
sul volto ha una maschera di gomma raffigurante l’ex premier è disteso
davanti al camper con il quale il ‘rottamatore’ Renzi gira l’Italia
per la campagna delle primarie. Ha le braccia aperte e sembra sia
stato da poco investito. E’ la foto che uno sconosciuto ha realizzato
e inviato a Gonews, quotidiano online di Empoli, suscitando non poche
polemiche.
La foto, che scherza sullo scontro in atto tra i due esponenti del
Partito democratico, impazza sul web, ma lo staff di Renzi si dissocia
dall’iniziativa. “Abbiamo visto l’immagine – affermato la
coordinatrice del tour elettorale Simona Bonafé – in realtà il camper
era fermo al parcheggio e nessuno degli organizzatori o del comitato
era a conoscenza del gesto. Condanniamo senza riserve un gesto che si
è svolto durante la manifestazione al palazzo delle Esposizioni di
Empoli quando tutti noi eravamo all’interno della struttura”.
“La mia disposizione è a non candidarmi, afferma D’Alema. Semmai posso
candidarmi se il partito mi chiede di farlo”, è la posizione del
presidente del Copasir che decide per ora di restare in trincea
proprio contro la furia rinnovatrice del sindaco e oggi ottiene la
difesa pubblica, con una pagina ‘a pagamento’ sull’Unità, di 700
esponenti politici e della società civile meridionale. Se il sindaco
di Firenze rivendica come un successo personale l’addio al Parlamento
di Veltroni, di ben altro umore è Pier Luigi Bersani, chiamato nei
prossimi mesi a decidere se, come chiede Renzi, “tagliare i rami
secchi” o concedere ad alcune personalità-simbolo del Pd, che poche
non sono, di continuare in Parlamento nonostante esperienze in alcuni
casi ventennali.
Al segretario del Pd non piace la foga distruttrice dello sfidante
alle primarie, leggiamo in una nota Ansa: la ruota deve girare, è
convinto Bersani, ma le capacità non sono una questione anagrafica.
Chi, invece, come Veltroni, ha tratto il dado, oggi si sente sollevato
e rincuorato dagli attestati di stima ricevuti da semplici cittadini
ma anche da personalità come Carlo Azeglio Ciampi. Detto ciò,
chiarisce, “la mia scelta, personale, non necessariamente implica che
altri debbano farla”. Anche se la sensazione dentro il Pd è che la
mossa di Veltroni costringa ad un effetto domino tra i veterani del
partito, che in molti casi non hanno lo stesso curriculum politico
dell’ex segretario Pd. Ha viaggiato, invece, quasi sempre in parallelo
all’ex sindaco di Roma la carriera di Massimo D’Alema, su cui ora sono
puntati tutti gli occhi.
L’ex premier spiega che aveva già detto a Bersani che non si sarebbe
candidato ma, davanti ai reiterati attacchi di Renzi, ha deciso di
rimanere. O almeno, chiarisce, “ora sono impegnato a mettere un’argine
a questa ondata, ora difendo la dignità di una storia e dopo posso
anche andarmene tranquillo”. Anche perché, è l’amara constatazione
dell’ex ministro degli Esteri, “in un Parlamento – ha aggiunto – dove
torneranno Berlusconi, Dell’Utri e Cicchitto, pensare che il
rinnovamento consista nell’eliminare il gruppo dirigente del Pd é una
visione un po’ faziosa”. Il sindaco di Firenze, dal canto suo, è
convinto che “Veltroni non sarà l’unico”. Anche perché la campagna per
le primarie è ufficialmente appena cominciata e il clima è destinato a
surriscaldarsi su più fronti. Antonio Di Pietro chiede un chiarimento
per riunificare il centrosinistra mentre Bruno Tabacci fa sapere che
correrà alle primarie ma senza firmare la Carta d’intenti, come è
d’obbligo per i candidati, perché troppo a sinistra. Malumori che
spingono Giuseppe Fioroni ad attribuire la decisione di Veltroni alla
contrarietà verso “il progressivo scivolamento del Pd verso Vendola”.
Tesi che non preoccupa, però, Bersani che oggi incassa il sostegno fi
2000 tra sindaci e amministratori, tra i quali Nicola Zingaretti.
Pier Luigi Bersani non rottama nessuno ma nemmeno nominera’ nessuno
perche’ ”bisogna stare alle regole”. Il 17 ottobre, il giorno dopo
il grande strappo con Massimo D’Alema, il segretario del Pd tiene il
punto. E non potrebbe fare altrimenti, convinto che il rinnovamento
sia necessario e speranzoso che ”lo faremo lavorando tutti insieme”
anche con il presidente del Copasir. Una mano tesa al ‘compagno’ di
sempre anche per evitare di aprire un conflitto proprio con i suoi
‘grandi elettori’ alle primarie che non sembrano proprio disposti a
farsi rottamare. E da D’Alema arriva in serata lo sfogo contro
l”’intollerabile” e ”sgradevole” comportamento di Renzi, e,
insieme, il grido di battaglia: ”se vince Bersani non chiedero’
deroghe ma se le primarie le vince Renzi sara’ scontro, scontro
politico”.
Per D’Alema il sindaco di Firenze e’ un uomo che”divide” e questo
per il centrosinistra puo’ essere letale. Ma si e’ detto fiducioso
della vittoria di Bersani e quindi ha detto di vedersi gia’ impegnato
in un incarico extraparlamentare. I dalemiani doc gia’ contano le
‘truppe’ dell’ex premier che,secondo i calcoli della ‘Velina Rossa’,
sarebbero gia’ stati determinanti per far vincere Bersani alle
primarie del 2009 ,quando, grazie a D’Alema, il segretario Pd vinse
con il 69 percento in Puglia e diede a Bersani percentuali tra il 70 e
il 72% tra la Calabria e la Campania. Dal canto suo, l’ex ministro
degli Esteri ribadisce che sara’ il partito a decidere ”al momento
opportuno” e avvisa: ”Se c’e’ qualcuno che crede che io ormai sia un
cane morto, credo proprio che in termini di consensi reali, nel
partito e nel Paese, si stia sbagliando”.
La tensione e’ tale che Bersani arriva a dire che se nella riforma
elettorale ci fossero le preferenze, con le quali ognuno si misura e
la rottamazione si decide a suon di voti, lui ci ”andrebbe a nozze”.
Salvo poi aggiungere che il fine del Pd e’ ”pensare all’Italia” e
non a destini personali o battaglie intestine. ”Una lotta tra
nomenklature – sintetizza Nichi Vendola – che rischia di occultare la
questione vera che e’rottamare il liberismo e il berlusconismo”. Sta
a guardare il ‘rottamatore’ per eccellenza, Matteo Renzi, che ammette
che la parola rottamazione e’ ”truce e volgare” e prende le distanze
da chi su Facebook rappresenta un finto D’Alema ”asfaltato” dal
camper del sindaco.
In realta’ lo sfidante di Bersani non sembra intenzionato a mollare la
presa. Anche perche’ ”cambiando le regole Pier Luigi Bersani mi ha
deluso e il giochino del poliziotto buono mentre gli altri fanno i
cattivi ha le gambe corte”. Mentre i renziani tentano l’ultima
battaglia nella commissione di garanzia per modificare le norme per le
primarie,il sindaco apre un altro fronte caldo: quello dei costi delle
campagne elettorali dei vari candidati. ”La mia costera’ circa
250mila euro – sostiene Renzi – ma Bersani e Renzi sono disponibili a
mettere on line le fatture degli ultimi tre anni dei suoi
dirigenti?”. Sfida che i suoi avversari accolgono rilanciando.
”Metteremo tutto on line – assicura Bersani – malo faccia anche lui
che cosi’ siamo tutti a posto”. E il coordinatore della campagna di
Vendola, Nicola Fratoianni, non risparmia frecciate: ”Noi spendiamo
poco, non viaggiamo su jet privati ne’ su eleganti Suv. La nostra
campagna costa un quinto di quella di Renzi”.
Lo psicodramma democratico delle primarie ha raggiunto l’acme, osserva
Antonio Polito,ma non la fine, con l’uscita di scena di D’Alema e
Veltroni. Come in un romanzo popolare, ci sono tutti gli ingredienti
che appassionano il grande pubblico: amicizia e odio, dolori e
vendette, i figli che si ribellano ai padri, i tradimenti, le scenate
di gelosia. È infatti uno show politico di grande successo: sarà un
caso ma, da quando è cominciato, il Pd è perfino cresciuto nei
sondaggi.
Si conferma il carattere dirompente che può avere la sfida delle
primarie, se vere e aperte: del resto la democrazia è stata inventata
proprio per cambiare periodicamente le classi dirigenti senza
spargimenti di sangue. Ma chi l’avrebbe mai detto che a mandare in
pensione i due eredi del comunismo berlingueriano, si legge in una
nota Ansa, sarebbe stato un ragazzino democristiano? Per quanto a
entrambi vada reso l’onore delle armi, è infatti evidente che nessuno
dei due si sarebbe fatto da parte se non ci fosse stato il ciclone
Renzi. Il quale, a sua volta, non ci sarebbe mai stato se insieme con
Berlusconi non fosse caduto il Muro della Seconda Repubblica, rendendo
obsoleti tutti i suoi protagonisti, vincitori e vinti.
È dunque un fatto a suo modo storico ciò che sta accadendo nel Pd. Se
ne uscirà un partito migliore, più attrezzato per il governo del
Paese, è ancora presto per dirlo. Paradossalmente proprio il successo
ottenuto può ora togliere a Renzi la sua arma migliore, secondo molti
l’unica. Certo, restano altri mattoncini di quel Muro da buttar giù
ma, con tutto il rispetto per Bindi o Finocchiaro, la loro sorte non è
così politicamente rilevante. Il giochino della «deroga» è ormai
segnato: chi la vuole non la chiede, chi la chiede non l’avrà. Cosa
resta dunque a Renzi ora che Bersani, con mossa astuta, è saltato in
groppa allo stesso cavallo, impugnando lo stesso articolo dello
statuto che fissa il limite dei tre mandati e accompagnando alla porta
finanche il suo mentore politico?
Non è un caso che il sindaco di Firenze, un attimo dopo il ritiro di
D’Alema, abbia precipitosamente iniziato a rottamare la rottamazione,
spiegando che è stato un espediente, anche un po’ «volgare», per
conquistare credibilità, ma che ora basta, bisogna chiuderla lì e
passare al confronto sui contenuti. Se questo avvenisse sarebbe
certamente un bene, perché ciò che gli elettori meritano di sapere è
dove i due intendano portare l’Italia, visto che sembrano entrambi
credere, come ha detto di recente Renzi, che «l’incendio è finito » ed
è ora dunque di disfarsi del «pompiere» Monti, per passare la mano a
non meglio identificati «architetti».
Ma l’effetto della scossa che sta cambiando la faccia del Pd è
destinato a riverberarsi su tutta la politica italiana, a cominciare
dal Pdl. Anche in quel partito, infatti, infuria la lotta; ma essa non
ha ancora trovato un canale come le primarie con il quale trasformare
il calore della battaglia interna in carburante politico, e rischia
dunque di implodere.
Prova ne sia che i rottamatori, e più ancora le rottamatrici, esistono
anche nel Pdl, ma curiosamente si battono non per promuovere homines
novi, bensì per resuscitare la leadership di Berlusconi, che sarà
anche meno antica delle carriere parlamentari degli oligarchi
democratici ma non è certo meno datata. Difficilmente lo «spirito del
’94», continuamente evocato come in una seduta spiritica, potrà
risolvere i problemi del 2013. Mentre invece può eliminare, ad uno ad
uno, tutti i potenziali eredi del berlusconismo. Invece del
«parricidio» cui stiamo assistendo tra i democratici, un gigantesco
«fratricidio». Del resto, come nel Ritratto di Dorian Gray, la
lacerazione avvenuta nel Pd ha fatto d’improvviso invecchiare le facce
di tanti altri politici della Seconda Repubblica. Sarà davvero
difficile in campagna elettorale ascoltare ancora un Tremonti, o un
Fini, o un Casini senza pensare a D’Alema e a Veltroni, e senza
chiedersi dov’è la differenza.
Ritorniamo così al punto di partenza. Ad un dibattito politico nel
quale petulanza fa rima con flatulenza.