SABATO 12 GENNAIO 2013
Pippo: il cattivo americano
Pippo (Goofy) è la negazione del mito americano tanto che stupisce trovarlo fra i personaggi disneyani. Forse, come ci suggerisce Michele Serra, sarebbe stato più a suo agio nella controcultura degli anni sessanta.
Michele Serra
Il nostro amico sballato e contento
Nel suo essere, al tempo stesso, un asociale e un mite, un trasgressore e un bonaccione, Pippo è una specie di pioniere delle “good vibrations” degli anni Sessanta, un fricchettone ante-litteram. Lo aveva capito Andrea Pazienza (“Perché Pippo sembra uno sballato”) che, con immaginabile sconforto della Disney e del suo perbenismo, lo incorporò d’ arbitrio nel Movimento, lo ridisegnò aggiungendogli sul viso un fitto reticolo di rughe e gli fece fumare di tutto. Pippo non ne avrebbe avuto bisogno. Era già “sballato” di suo fin dalla nascita. Un americano non abbiente, incapace di tutto, dalla logica incongrua (ai limiti della demenza), un vero anti-eroe come i grandi comici, ma nella sostanza un vincente (a differenza di Paperino, l’ altro grande disadattato del mondo Disney) capace di passare indenne attraverso ogni genere di rovesci e pericoli. Non perché più forte del destino contrario, ma perché non se ne accorge.
La simpatia istintiva, travolgente che Pippo suscita in chiunque discende dalla sua serenità nella catastrofe. Non si ha memoria di un Pippo triste o depresso. Pippo è la dimostrazione che ogni crisi può essere messa in fuga con uno stratagemma formidabile: non riconoscerla.
Ognuno di noi ha almeno un amico, a volte irritante a volte prezioso, che assomiglia a Pippo, che ragiona e vive come Pippo. Uno che se cade il governo non lo sa, che non legge i giornali, che ha la mail fuori uso, che se scoppia la Terza guerra mondiale è sicuramente a pescare, e quando la Bomba cadrà tu vivrai con angoscia tutte le breaking news che ne accompagnano la traiettoria, lui non ne saprà niente, vivrà felice e ignorante. Quel vostro amico pippoide, nove volte su dieci, lo maledite. Pensate che la sua asocialità sia insopportabile, e colpevole. Ma alla decima, vedendolo del tutto immune alle ansie comuni, largamente al di sopra o al di sotto del livello medio di cattivo umore, vi viene il dubbio che abbia ragione lui.
Pippo non ha la coscienza sociale di Topolino, non si oppone come Paperino alla sorte avversa: Pippo ha la smisurata umiltà (o forse presunzione) di bastarsi, di vivere nel suo mondo fatto di “yuk yuk!”, di braghe deformi, scarpe bucate, gilet striminziti. In una casa minima, disordinata, con l’ abat-jour cadente e le tende rappezzate, ma forte della sua invincibile distrazione.
Non partecipa, Pippo, alla corsa al benessere, è disinteressato alla rispettabilità sociale, e la famosa e nobile raccomandazione kennediana («Non chiederti che cosa fa il tuo Paese per te, chiediti che cosa fai tu per il tuo Paese») nel suo caso non ha senso, perché lui non si è mai sognato di chiedere qualcosa al suo Paese né lo sfiora l’ idea di dovergli dare qualcosa.
Pippo non ha debiti e non ha crediti. Il Pippo che è in noi ci induce a sospettare, almeno ogni tanto, che viviamo troppo carichi di bisogni e di responsabilità. Nella migliore delle ipotesi, Pippo è un eccellente testimonial della decrescita felice, uno che del Pil e dello spread neppure sospetta l’ esistenza. Nella peggiore è un caso umano, un drop out che non lascerà tracce, se non nella sua propria contagiosa allegria di stare al mondo..
(Da: La Repubblica del 23 dicembre 2012)