Giulio Stocchi, Venti quadri

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Il principale esponente

dello schieramento a lui
avverso
era un lupo
dato che
l’altro si era
dichiarato
agnello
La favola

è nota
La fine
anche
Quando il dittatore
fu impiccato
dai nemici che un tempo
lo ebbero caro
si rivolse all’aguzzino
che lo ingiuriava
dicendo che a un uomo
non si addice
lo scherno contro chi
va a morire
Poi invocò Dio
e cadde nel nulla
Delle mani
dei piccoli nomadi
prenderanno le impronte
Non per discriminazione
dicono
ma per la sicurezza
dei cittadini
e la loro tranquillità
Uccelli neri
passano gracchiando
in volo
Il vento soffia
nei cimiteri
Basta una semplice
particella
dice Weinrich
una congiunzione
perché due parole
si uniscano
in un abominio
Sangue
e
suolo
Oggi
come allora
Annibale è alle porte?
Si chiedono
i sordi
e i ciechi
e i muti
aggirandosi nella città
che lentamente
brucia
“Ci sarà pure un giudice
a Berlino”
borbottò il panettiere
trascinando in giudizio
il grande Federico
Per evitare questo
pericolo
il gigante
che ci governa
e ci somiglia
ha comprato Berlino
e dichiarato legge
se stesso
e la famiglia
La letteratura non serve
la poesia non basta
dice quello che sempre
a giustificazione
della sua sfiducia
invoca
il poeta a lui caro
Intanto
la chiacchiera assorda
il silenzio dilaga
la contraddizione
trionfa
La giovane donna
mi scrive
e ha diciottt’anni:
“E’ così bella la tua indefinibile
dolcezza
nella violenza
che mi circonda”
Non un omaggio
alle mie parole
Bensì
un compito
Da assolvere
Usa
che non è ancora l’alba
salutarmi dal tetto
il merlo
col suo canto
La città
sta dormendo
ignara
dell’armonia
che potrebbe
salvarla
Ho osservato
l’agonia
dell’insetto
fastidioso
che ho schiacciato
le minuscole zampette
dibattersi frenetiche
poi più niente
E questo niente
per un attimo
mi ha mostrato
il dolore
del mondo
e le sue cause
“Non olet”
esclamò Vespasiano
riscuotendo la tassa
sugli orinatoi
che ne avrebbero
perpetuato
il nome
Più moderni ed efficienti
gli attuali
padroni del mondo
e i loro servi
trasformano
in banconote
il tanfo
dei cadaveri
frantumati dagli aerei
che della loro democrazia
perpetueranno
il nome
Ormai ha imparato
a chiamarmi
dalla ringhiera del balcone
il merlo che ho battezzato
Mister
Io gli offro
un po’ di pane
qualche frustolo
di formaggio
e la carne
di cui è ghiotto
Lui mi dona il canto
La sua amicizia
mi rinfranca
La mia attenzione
lo lusinga
Quello che andava
alle sfilate militari
con la spilletta
della pace
e al tempo stesso
di fronte agli ordigni
di guerra
dei potenti
scagliava anatemi
contro la violenza
degli oppressi
non è
un uomo
ma un teorema
del nulla della sinistra
del suo zero
L’odontotecnico
di Bergamo
è un uomo faceto
che va
per le spicce
Usa portare a passeggio
maiali
sul terreno della futura
moschea
e sotto la camicia verde
esibisce Maometto
vestito da terrorista
Il ministro ideale
non c’è che dire
della semplificazione
L’amico mio caro si chiede
se “per far guarir l’Italia”
occorra
“spaccar la testa ai sciur”
come dice l’antica canzone
La mia risposta è inequivocabilmente
“Sì”
Senza corpi contundenti
però
bensì sconfiggendo
le loro vetrine
la loro televisione
le loro idee
Perché ciò avvenga
occorre che “i non sciur”
comincino a pensare
o quantomeno a pensare
diversamente
da come “i sciur”
hanno loro insegnato
con le loro vetrine
la loro televisione
le loro idee
Il difficile
è appunto
questo
Che bel culo che hai
bambina
Che tette dure che hai
bambina
Che dolce da leccare
è il miele
che ti cola
fra le cosce
bambina
Non si scompone più di tanto
la bambina
Corre al mercato
E come le loro azioni
gli altri
il suo capitale
lo fa fruttare
prima che lo guasti
il tempo
e l’appassisca
Ormai li tirano
su a pezzi
dal fondo del mare
i pescatori
braccia
gambe
tronconi
qualche volta una testa
smangiati dai pesci
incrostati di sale
Poi li ributtano all’onda
Il loro nome
affondò con loro
Hassan
Mriam
Alì
“Fleba il fenicio”
dice il poeta
“dimenticò il guadagno
e la perdita”
La perdita
fu loro
Di altri
il guadagno
Questi stessi
che cadono
dalle impalcature
che vengono schiacciati
dalle presse
che ardono come fuscelli
nelle officicine
sono quelli
che dileggiano
i negri
che sputano sugli
arabi
che considerano men che bestia
il rom
La superiorità
che si attribuiscono
è la loro
cintura di sicurezza
Che evidentemente
non basta
Non hanno torto in fondo
a chiamarlo
“Pastore Tedesco”
E’ un cane da guardia
il Papa
mansueto e feroce
della rassegnazione
che ci farà salvi
nell’altra vita
mentre in questa
peniamo
sotto la menzogna
di Dio

Giulio Stocchi, Venti quadriultima modifica: 2008-07-09T14:01:21+02:00da mangano1
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