Roberto Taioli,Rileggere le REFLEZIONEN di Kant

4e84d77e76d1708ea7083c494ae379f8.jpg La genesi e lo stato delle Reflexionen Il corpus delle Reflexionen1 kantiane deve questo nome non all’autore ma agli editori che si sono occupati agli inizi del ‘900 di ordinare e classificare gli scritti del pensatore tedesco. Chi si occupa di questi materiali teorici trova davanti a sé non un campo organico e compiuto di riflessioni ma un terreno magmatico, una condizione frammentaria della scrittura e del pensiero, propria di chi prende annotazioni, appunti, focalizza spunti destinati ad essere alcuni sviluppati compiutamente, altri solo ripresi e altri ancora lasciati cadere.La storia di questi scritti, nonché la loro collocazione, è piuttosto complicata e così parve ai curatori della Akademie Ausgabe. La numerazione dei frammenti (poichè talora proprio di frammenti si tratta) è stata data dai curatori stessi e non da Kant che non pensava evidentemente ad una pubblicazione scientifica di questi testi. Essi scavano dentro il pensiero kantiano e paiono incentrati prevalentemente sulla tematica storico-politica e sulla condizione morale dell’uomo. Anche l’ordinazione tematica non segue ovviamente un filone lineare per cui talora si trovano riflessioni e osservazioni che paiono ripetere altre considerazioni già abbozzate. Non si tratta di iterazioni ma di ulteriori appunti, abbozzi, canovacci. Anche la scrittura pare talora indulgere alla registrazione veloce di una idea, con un procedere schematico, senza una elaborazione linguistica compiuta. Risulta peraltro problematica anche l’individuazione dell’origine temporale delle annotazioni kantiane che si possono tuttavia situare intorno al 1770. L’origine delle Reflexionen kantiane precede la pubblicazione della Critica della ragion pura che vide la luce nel 1781 e l’elaborazione della note si dilunga per tutta la vita del pensatore, andando a confluire in quel complesso di scritti che costituisce l’opera postuma kantiana.2 Le Reflexionen precedono di poco l’uscita dei primi testi dell’etica critica e della filosofia della storia, in quanto all’anno ’84 risalgono i noti scritti Idea di una storia universale da un punto di vista cosmopolitico e Risposta alla domanda: Che cos’è l’illuminismo; nel ‘85 compare un nuovo scritto sulle razze (Determinazione del concetto di razza umana), la Fondazione della metafisica dei costumi, nell’86 le Congetture sull’origine della storia e il breve saggio Che cosa significa orientarsi nel pensare? Siamo quindi alle soglie della pubblicazione della seconda grande opera del criticismo kantiano, la Critica della ragion pratica che è del 1788.Kant ha ormai guadagnato da tempo il terreno del criticismo come metodo d’indagine della natura complessa del reale nelle sue poliedriche epifanie ed è sempre più attratto dai problemi del costituirsi della storia, della società civile, del rapporto tra questa e le varie forme di dominio e di potere, ove gli uomini giocano la loro esistenza nelle categorie storiche di volta in volta concretatesi di suddito, cittadino, despota, monarca. L’interesse etico di Kant permea anche il campo delle sue riflessioni politiche e giuridiche, poiché gli uomini non sono mai esseri astratti ma sempre concreti nella loro polarità di animalità e razionalità.Quest’ultima va peraltro acquisita (per gli individui e per la società) con un lungo cammino che vinca e superi le forze disgregatrici presenti in ognuno di noi conducendoci al livello di una civiltà razionale ; l’uomo è infatti solo un “cittadino potenziale”[1] che solo in società può pienamente realizzarsi, stipulando un patto di sottomissione che sottraendolo allo stato naturale gli attribuisce la sfera dei diritti. Le linee tematiche prevalenti L’attenzione per l’uomo destinatario dell’azione civilizzatrice e investito di un telos razionale sottrae Kant alla lettura stereotipata e riduttiva di scienziato della mera conoscenza. Egli stesso in un denso passaggio di un suo scritto del 1798 Il conflitto delle facoltà si premura di puntualizzare: Ho imparato dalla Critica della ragion pura che la filosofia non è scienza di rappresentazioni, concetti e idee, o una scienza delle scienze, o qualcos’altro di simile; ma, invece, una scienza dell’uomo, delle sue rappresentazioni, del suo pensare e del suo agire, – essa deve presentare l’uomo in tutte le sue componenti, come egli è e come dev’ essere, cioè tanto secondo le sue determinazioni naturali quanto secondo la condizione della sua moralità e della sua libertà. Ora qui, la vecchia filosofia assegnò all’uomo un posto completamente errato nel mondo, facendone in esso una macchina che, in quanto tale, doveva essere completamente dipendente dal mondo o dalle cose esteriori e dalle circostanze; quella filosofia rendeva l’uomo una parte solo passiva del mondo. A questo punto apparve la Critica della ragione e assegnò all’uomo nel mondo un’esistenza assolutamente attiva. L’uomo stesso è originariamente artefice di tutte le sue rappresentazioni e dei suoi concetti e deve essere l’unico autore di tutte le sue azioni.4 L’atteggiamento teoretico e la svolta copernicana attuata da Kant nella indagine della conoscenza si coniugano ad un’altrettanto vigile cura per il mondo umano ove i fenomeni (gli uomini) sono dotati di volontà e di libertà. Ma volontà e libertà vanno educati (è nota la propensione pedagogiga di Kant) perché non restino irretiti in una dimensione egoistica e si armonizzino con il telos dell’umanità. Il pessimismo sulla natura originaria dell’uomo fa infatti dire a Kant che “gli uomini sono buoni solamente in virtù della costrizione”[N. 1394]5 e che quindi la legge non solo è conveniente ma occorre che venga formulata anche a tutela degli stessi individui che potrebbero a suo tempo invocarla. Il diritto nasce così da una obbligazione, da un atto di coercizione necessario perché le volontà individuali concorrano ad una armonizzazione universale. Altrimenti regnerebbe l’anarchia ed uno stato di natura ove solo apparentemente l’uomo è libero. Non mancano nelle Reflexionen scritti che per ampiezza e complessità superano lo stato delle annotazioni e della stesura provvisoria assumendo la configurazione di maggior compiutezza, ove l’abbozzo di un’idea trova perfezionamento e complet zza. Altri scritti restano invece allo stato frammentario, senza elaborazione, talora b dal significato enigmatico. Seguendo la numerazione della già ricordata ediziontaliana, cerchiamo di estrapolare dalla selva delle note alcuni filoni di scrittura e di pensiero più significativi sottolineati da Kant .I temi sui cui Kant maggiormente insiste nel corpus delle Reflexionen attingono alla sfera socio-politica e giuridica incarnatasi nella condizione morale umana per cui l’uomo può vivere come uomo solo nel contratto con la compagine sociale.Individuo e società, parte e tutto, sembrano articolarsi in una complessa dialettica di interdipendenza, di bilanciamenti, di pesi e contrappesi, per cui perdita e acquisizione, cessione e ricompensazione si fondono e si incontrano in una simbiosi feconda. La visione sociocentrica di Kant, per cui per l’uomo l’ingresso in società rappresenta una perdita rispetto allo stato della libertà naturale, compensato e riequilibrato dall’assunzione di una “libertà convenzionale”6 [ n. 7341], non va vista come una predominanza del tutto sulle parti, del tutto sul molteplice, come a schiacciarlo e sopprimerlo. Non poche note delle Reflexionen sottolineano invece l’equilibrio, difficile e arduo, ma sempre possibile da costruire, perché il potere dell’uno trovi limitazione e moderazione nel potere dell’altro. Kant annota che l’uomo per civilizzarsi e culturalizzarsi incontra nel suo cammino “un potere irresistibile che lo costringe ad operare seconda questa regola del diritto”7 [N. 6583], e che questo incontro con il diritto nella sua forma anche coattiva è un bene per l’umanità. La mancanza di potere codificato e normato genera l’anarchia. Apparentemente l’uomo perde la libertà ma inizia il cammino verso la ragione. La civiltà giuridica ha inizio con una cessione di titolarità e di identità che seminate e distribuite nel terreno della società ritornano all’individuo nella forma di diritti, tutele, cioè di altri poteri che coesistono con il potere dello Stato. Kant peraltro distingue con nettezza l’aspirazione alla felicità del singolo e il suo diritto a perseguirla con il funzionamento dello Stato che non è di per sé dispensatore di felicità, ma garante che la felicità individuale possa essere cercata ed ottenuta. La forma costituzionale non indica i contenuti della felicità ma codifica legami ed obbligazioni entro le cui maglie l’individuo liberamente può aspirare al proprio bene. E’ questa una tematica che affiora più volte nelle righe delle Reflexionen, cioè il nesso di contratto tra l’individuo e la società. Essa appare come un involucro entro cui le volontà individuali interagiscono secondo un contratto di reciproco rispetto. Così si esprime Kant in un passaggio annotato tra parentesi : (La storia di ogni popolo può essere considerata un tendere della natura verso la creazione di una costituzione civile perfetta; e la storia degli Stati come un tentativo di giungere al diritto delle genti.)8 [1468] Opera quindi una intenzionalità razionale che solleva l’umanità dallo stato ferino e animalesco ove essa è schiava di se stessa e della propria raccolta individualità, al perseguimento di un ideale di umanizzazione che solo con il diritto si acquisisce. Il singolo peraltro avverte un irrefrenabile impulso ad incontrare gli altri , (“V’è negli uomini un’inclinazione particolare ad unirsi in società”)9 [N. 1434] ma un popolo si costituisce nel superamento della atomizzazione individualistica acquisendo con il diritto la dimensione della totalità e, nel linguaggio di Kant, creando una volontà unificata che non risulti agli uomini estranea ma in qualche modo correlata. Così annota Kant: L’animale si abbevera, s’ingozza, prolifica, crepa, ed è una carogna dopo morto ecc.. L’uomo beve, mangia, genera figli ed è un cadavere dopo morto. Se non si vuol ridurre la qualità dell’essere uomo a simili distinzioni degradanti, allora non si può considerare gli uomini come ereditariamente in stato di servaggio, ma al contrario come nati liberi. Ma chi è nato libero non è ancora per ciò stesso un nobile, cioè nato per comandare. Ognuno nasce come cittadino potenziale, ma perché diventi un cittadino effettivo, deve avere un reddito, o di meriti o di sostanze.10 [N. 1235] E ancora: Il carattere dell’umanità consiste nell’esser in essa predisposto lo sviluppo della perfezione mediante la libertà, e ciò attraverso gli stimoli, reciprocamente in conflitto, dell’animalità, a partire dal livello minimi di essi che è costituito dalla abilità naturale11 [N. 1468] Nota ricorrente nelle pagine delle Reflexiones è infatti il tema del contratto in forza del quale l’individuo cessa di essere cosa acquisendo una personalità giuridica ed etica. La norma infatti obbliga liberando, in quello che è solo apparentemente un paradosso.Nella nota N. 7779 Kant parla della Costituzione dello Stato come di un corpo con tante membra, un organismo animale attraversato da uno spirito vitale che dà impulso alle parti . Esso sarebbe però puro scheletro senza l’articolarsi delle sue parti costituenti, senza la presenza delle tante volontà individuali coese nel contratto sociale. Oppure paragona lo Stato a un gregge con un pastore, che fa pascolare le pecore negli spazi delimitati proteggendolo con i cani dalle incursioni dei lupi. Si tratta di immagini e icone espressive che indicano la sfera dei poteri dello Stato e i confini entro cui opera, le salvaguardie di cui godono i membri che si sottomettono alla guida del pastore. Infatti [Nello stato civile] non va perduta nessuna legittima libertà dello stato di natura, ma solo va perduta l’assenza di leggi, in quanto la legge cattiva restringe la libertà alle condizioni della sicurezza generale. L’uomo deve sottostare a leggi cattive ed è questa la prova ch’egli è malvagio per natura. Il bene che in lui si manifesta nello stato civile è esso stesso un effetto della costrizione la quale insensibilmente gli toglie l’indole malvagia e sviluppa i motivi morali delle azioni, reprimendo quelli egoistici.12 [N. 7765] La cattiveria delle leggi, (necessarie perché gli uomini sono per natura malvagi) cioè il loro carattere obbligativo e coattivo, permette di delineare un sistema di relazioni in cui il limite posto alla libertà indiscriminata del singolo è condizione per la conservazione della totalità. La legge peraltro è universale (non agisce e limita solo me) e si offre in una dimensione di reciprocità, per cui sarà sempre possibile che la norma restrittiva operante su di me possa agire anche sull’altro e sarà possibile invocarne l’applicazione sull’altro proprio in quanto agente su di me. La norma mi limita ma mi difende e mi protegge da uno stato di anarchia: Non c’è diritto o proprietà senza una legge. Ma appunto quella medesima legge che mi vieta di metter mano a qualche cosa che un altro possiede in una certa forma e qualità, deve anche offrirmi la sicurezza ch’io venga protetto in ciò che spetta a me. Posso Posso esser costretto a un’obbligazione solo nella misura in cui io posso costringere anche altri. Perciò non v’è diritto senza un potere irresistibile.è13[N. 7665] Sul tema dell’azione dello Stato in forma universale, per cui la legge coattiva rende possibile in realtà l’esplicazione della mia personalità, interviene anche una ulteriore nota sulla felicità, tema tipicamente illuministico, ma che Kant, come abbiamo visto, non intende normare e codificare. Lo Stato deve soltanto operare per garantire che il perseguimento della felicità non venga ostacolato; non può infatti provvedervi esso stesso, ma creare le condizioni per la sua attuazione. Lo Stato ignora i contenuti della felicità che sono infiniti e non codificabili, lasciando agli individui la ricerca del bene: L’essenza di ogni governo consiste in ciò, che ognuno si procuri da sé la propria felicità ed abbia la libertà di entrare a tale scopo in rapporto con tutti gli altri. L’ufficio del governo non è quello di togliere ai privati questa cura, ma solo di effettuare l’armonia fra di loro ed effettuarla secondo la legge dell’uguaglianza e senza stabilire privilegi. Lo strumento a ciò è che si proceda dall’armonia delle parti all’unità del tutto ed i capi vengano pertanto designati dai membri sui quali essi sono poi destinati a regnare. E’ insomma necessaria una persona che in relazione alla sicurezza esterna rappresenti il tutto senza esser determinata dalle parti.14[ N. 1447] Tale figura per Kant non può essere il despota e il governo dispotico si configura come un governo patrimoniale che considera il paese come una sua proprietà. Occorre un sovrano che incarni la volontà generale e che appunto agisca senza essere condizionato dalle parti, cioè non schiacciato dai particolarismi.Alcune delle Reflexionen kantiane affrontano poi il problema della libertà del popolo entro l’involucro dello Stato e la possibilità di modificare gli ordinamenti vigenti. Kant esclude la via della sedizione e della rivolta ma rivendica al popolo la legittimità di difendere la sua libertà con gli strumenti che la stessa Costituzione offre. E’ sempre e solo nell’alveo del diritto che l’azione del popolo va riconosciuta. Non quindi l’infrazione rivoluzionaria, che Kant teme in quanto disgregatrice, ma mediante l’esercizio di quei poteri che il popolo stesso ha ricevuto secondo il patto fondamentale che ne ha sancito ad un tempo estensione e limiti. La libertà non si rivendica per Kant attraverso un “preteso nuovo potere” [N. 8043]15 che spezzerebbe l’intelaiatura sociale sui cui poggia la convivenza. Una nota piuttosto lunga delle Refleziones registra tutta la diffidenza se non l’avversione di Kant alla via rivoluzionaria: Ipotizzando una sedizione generale del popolo, essa ha a fondamento l’assioma che il dovere di obbedienza del popolo cesserebbe; ma poichè, non essendo ancora presente chi sia legittimato a legiferare e a governare in luogo del signore deposto, nessuno può esigere obbedienza e ne scaturirebbe così uno stato di natura, occorre che chi difende i diritti del popolo secondo la costituzione abbia già imposto limitazioni al reggente sia nella legislazione sia nell’amministrazione. Per fare ciò deve aver avuto anche un potere, perché egli deve essere in grado di dare protezione a coloro da cui dovrebbe adesso esigere obbedienza.16 [N. 8043] E in conclusione della stessa nota: Tutto ciò che avviene mediante assembramenti di folla (per turbas) è contrario al diritto naturale [N. 8043]. E’ però interessante notare come Kant auspichi e invochi un diritto alla resistenza che escludendo la forma rivoluzionaria, il popolo possa far valere nelle circostanze in cui sono in gioco i suoi diritti. Ma il diritto alla resistenza prevede prioritariamente una organizzazione giuridica che codifichi la rappresentanza perché in ultima istanza Kant non crede all’intervento diretto delle masse nel teatro della storia. Anzi il diritto alla resistenza, sottolinea Kant, resta vuoto e formale se ad esso non corrisponde un corrispettivo potere che il popolo possa esercitare nella legalità . Così va letta anche l’affermazione seconda la quale (Nota N. 8046) il popolo non deve mai cessare di essere un tutto (altrimenti si precipita nella frammentazione degli assembramenti per turbas) perché il diritto alla resistenza può essere fatto valere solo per via di legge e mediante la rappresentanza. Ogni diritto è tale se infatti è stato codificato mediante un patto, altrimenti , scrive Kant, è usurpato. Gli uomini possono legalmente esistere solo in una società retta da leggi riconosciute, altrimenti la società decade nella condizione di cosa di nessuno, destinata ad essere occupata ed usurpata dal primo che ne rivendichi il possesso . Ogni potere che non trovi specularità nel diritto e che non sia limitato dal diritto sconfina nel dispotismo. Diritto è infatti la scienza del limite e della moderazione e ogni azione deve prevedere alla propria base un contratto originario stipulato dall’individuo con la collettività. Il suddito diventa cittadino non per investitura ma come attivo protagonista della società civile e membro dell’umanità, partecipe di uno Stato tendenzialmente cosmopolitico. Sanzionata la via rivoluzionaria in quanto generatrice del caos e di uno Stato di nessuno, Kant si dilunga in una lunga nota [N. 8077] ad esaminare come i diritti di un popolo, limati e moderati dalla legge, siano forieri di buoni rapporti politici e di un benessere collettivo per la nazione .Egli introduce le figure del monarca limitato e del monarca illimitato nelle fattispecie di una crisi politica che potrebbe sfociare in una guerra. Il monarca illimitato (Kant pensa alla situazione inglese) detiene in proprio il potere di dichiarare la guerra senza previa consultazione di altro organismo, mentre il monarca limitato (come nell’ordinamento francese del tempo) deve interpellare ed investire della questione il popolo mediante gli organismi politici della rappresentanza. Quel monarca cui (per propria pienezza di poteri) è lecito dire: dev’esservi guerra, e la guerra prontamente c’è, costui è un monarca illimitato ( e il suo popolo non è libero). Quando invece il monarca deve prima chiedere pubblicamente al popolo se esso consenta che vi sia guerra, e quando, ove il popolo dice che non deve esserci guerra, la guerra appunto non ha luogo, allora quel monarca è un monarca limitato ( e un popolo siffatto è realmente libero). [ …] Il cap dello Stato ha dunque in Inghilterra un potere assoluto, ma Francia solo un potere limitato ; e in Inghilterra pertanto il popolo non è libero ma schiavo, perché non c’è onere che il monarca britannico non possa arbitrariamente imporre ai suoi sudditi.17 [N. 8077]. Linee di filosofia della storia nelle Reflexionen Nel 1784 Kant pubblica l’Idea di una storia universale dal un punto di vista cosmopolitico, un saggio non lungo, articolato in nove tesi per una filosofia della storia, vista come progressivo orizzonte di senso e di razionalità di una umanità fondata sul diritto universale. Gli uomini, secondo Kant, si muovono ed agisconoin una dimensione istintuale eppure aspirano ad un avvenire razionale. La stessa storia dell’umanità va letta come un alternarsi di cadute e riprese, di abiezioni e di riscatto, cosicché animalità e razionalità a volte prevalgono le une sulle altre, altre volte soccombono. Tuttavia all’interno di questa scansione epocale che spesso registra l’affermarsi di pagine buie, è possibile per Kant, andando oltre le forme dell’apparire, rintracciare un telos razionale originario inscritto nella carne dell’umanità e che talora sembra scomparire offuscato dal male, dalla irrazionalità, dal negativo. In quanto umanità costitutivamente razionale, gli uomini possono superare e trascendere la loro animalità ed istintualità realizzando le opportunità ad essi offerte dalla natura ragionevole. Ciò però non avviene nei tempi brevi dell’immediatezza storica ma attraverso il lungo percorso della specie Nel singolo uomo si rispecchia e si ricapitola l’intenzionalità profonda della specie che tuttavia può ad esso non rivelarsi appieno o apparire offuscata e annebbiata. L’orizzonte kantiano di riflessione abbraccia quindi l’intera storia del genere umano secondo una linea di tendenza che vede in ultima istanza l’affermarsi del progresso in quanto risultato della natura razionale. L’uomo possiede non solo la predisposizione ma anche i mezzi per realizzare nel tempo una dimensione teleologica della storia e della esistenza della specie improntate a ragione. La mente filosofica rintraccia nella rigida concatenazione causale degli eventi storici la presenza di un filo e di un disegno che schiude un ventaglio di possibilità, di finalità che conducono la storia ad un esito finale razionale. Nella nona tesi di Idea di una storia universale Kant scrive che “Un tentativo filosofico di elaborare la storia universale secondo un disegno che miri alla compiuta unione civile in seno al genere umano, dev’essere ritenuto non solo possibile, ma anzi tale da promuovere proprio quell’intenzione della natura”18. Nelle Reflexionen echi della filosofia della storia kantiana sono presenti in forma di appunti e brevi annotazioni soprattutto in quella recante il N. 1522, la cui redazione risalirebbe agli anni tra il 1780-84.La nota è stesa ed articolata mediante una serie di punti, quasi Kant avesse voluto fare un elenco o comunque mettere un ordine alla compilazione. Interessante, anche in riferimento a quanto detto riguardo alle Idee di una storia universale, è l’affermazione kantiana secondo cui “nello stato civilizzato l’uomo vive non per sé, ma per il genere”19[N. 1522], sottraendolo quindi ad un destino meramente utilitaristico ed egoistico. E’ così confermato l’assunto per cui gli uomini sono costretti ad unirsi in società al fine di perseguire con il prevalere del diritto il superamento dello stato di istintualità e di individualismo dello stato di natura. Ha così luogo la costruzione della costituzione civile, la sola che garantisca l’esercizio delle prerogative del singolo in relazione alla totalità .degli altri, la quale non è però la somma aritmetica delle volontà individuali. Libertà, legge e potere sono forme emergenti nella società civile che richiede e postula un alto livello della ragione. Essa infatti è offuscata o addormentata nelle forme dei governi barbarici in presenza di un ordinamento ancora grezzo. La sola società civile, costruita secondo un ordine razionale, consente per Kant il dispiegamento di tutti i talenti e il processo verso il compimento della storia universale, che è un cammino, un itinerario, una direzione di marcia. Nella società civile c’è cultura del gusto, lusso, sviluppo di tutti i talenti. Ma c’è anche una miseria diffusa che non deriva dai bisogni naturali, c’è violenza fatta alle inclinazioni naturali, c’è vizio e virtù, c’è oppressione ma anche incremento della popolazione, c’è floridezza del tutto e miseria delle parti. L’uomo ha abbandonato l’istinto senza aver ancora accolto la legge della ragione. Egli perde la libertà e non sta ancora sotto la protezione della legge. Ama soltanto se stesso e tuttavia deve promuovere il bene comune. Egli viene civilizzato, ma non è ancora moralizzato. Quest’ultimo aspetto dello sviluppo non tiene conto del primo”20 [N. 1522]. E’ qui tratteggiato un affresco della società civile come un processo verso la ragione universale che non cancella nelle sue forme concrete via via succedentetesi la presenza del male, del limite, dell’errore.Importante sembra per Kant sottolineare non il profilo determinato di una configurazione di società civile ma far emergere il principio di continuità ed di sequela, per cui tutte le forme storiche nel loro approssimarsi attuano in modalità imperfette e diverse l’idea di una storia universale.Nel frammento N. 1468, che Kant titola Continuazione della storia del genere umano21, egli vede il lavoro del filosofo nel descrivere e promuovere l’affermarsidella perfezione della costituzione civile (che dura in eterno), come alveo entro il quale diventa credibile il dispiegarsi delle possibilità e delle risorse che l’umanità reca in sé; nella società civile e “in essa soltanto vengono sviluppati tutti i talenti e la massima unione in vista di scopi comuni, e ci ò mediante leggi esterne; e la massima continuità di questo stato vi viene promossa dal migliore modo di pensare personale”22. Le leggi esterne, cioè date come obbligazioni, sono quindi necessarie per far sì che la società civile realizzi nella sua temporalità storica quella parte di storia universale che le è propria e che la teleologia universale intercetti gli scopi comuni dell’epoca, affinati e moderati dalla legge.Ritorna anche qui la già citata definizione di un potere irresistibile che va inteso come ineludibile e necessario. E riaffiora ancora, la dimensione animale dell’uomo che va educata ed affinata verso un destino di ragione: (L’uomo è un animale che 1) ha bisogno di educazione e disciplina, 2) procede verso la propria destinazione nell’ambito del genere, 3) ha bisogno, in società, di un padrone.)23. In relazione al punto 3) della nota, va detto tuttavia che Kant si premura nella riga successiva a ribadire il nesso libertà/legge come inscindibile ( (pena l’anarchia), cioè a riaffermare il contrappeso della legge e del diritto davanti alla presenza del potere. Più ancora precisamente nella stessa nota Kant scrive, quasi nella forma di un promemoria sintetico: 1. Una legge e una libertà senza i corrispettivi poteri è anarchia.2. La legge e i poteri senza la libertà è il dispotismo. a) La libertà senza legge e senza poteri è lo stato selvaggio. b) Il potere senza la libertà e la legge è il regime barbarico24. Dunque non è concepibile potere senza legge ma la chiave di volta nella considerazione kantiana è la funzione della libertà che la legge deve racchiudere e tutelare in sé come antidoto al dispotismo. Infatti l’offuscarsi della libertà pur nel permanere della legge configura l’instaurarsi del regime barbarico. La legge quindi, come forma astratta del diritto, non basta se non sostanziata dal contenuto della libertà. La società civile tuttavia si costituisce per privazione e cessione della libertà selvaggia inscritta nell’uomo che condurrebbe l’umanità alla disgregazione. C’è quindi per Kant nella storia del singolo e della civiltà un ascendere da uno stato di barbarie ad uno stato di ragione, da uno stato animalesco ad uno stato di educazione e di compartecipazione:Quali sono gli stimoli di cui la natura si serve per produrre la società civile? Sono la gelosia, la diffidenza e la violenza, che costringono gli uomini a sottomettersi a leggi e a rinunciare alla libertà selvaggia. Procede da qui lo sviluppo di tutte le buone predisposizioni naturali.25 Tutta la storia dell’umanità, anche nelle sue manifestazioni più imperfette ed oscure, è vista da Kant come un tendere progressivo e lento verso un fine di perfezionamento, cosicché al suo interno opera nascostamente un teleologia (altrove Kant parlerà di arte segreta della natura) razionale che depurando via via la storia delle scorie negative realizzerà il progresso universale.Le notazioni delle Reflexionen registrano a riguardo delle indicazioni frammentarie che tuttavia possono essere ricondotte all’impianto generale della filosofia della storia di Kant. Kant accenna infatti ad un “metodo di una storiografia cosmopolitica”26, come a voler dire che non solo la storia accade e si manifesta secondo questo ritmo interiore, ma che deve anche essere scritta da un punto di vista cosmopolitico, con attenzione a cogliere nelle scansioni le emergenze della storia universale. Non quindi una storia di erudizione ma che sia anche visione escatologica e teleologica. Sono qui nelle Reflexionen solo sfiorati alcuni grandi temi kantiani che andranno a confluire nel noto saggio Per la pace perpetua. Kant parla di una “lega di popoli”27 e di una “pace generale”28 che la costituzione civile dovrebbe perseguire nel suo cammino e tutelare al suo interno. La pace generale è anzi il fine ultimo ed estremo cui tendere nell’itinerario dei popoli e delle civiltà.La tensione alla felicità che, come abbiamo visto, Kant non annovera tra le prerogative dello Stato lasciandone la ricerca all’individuo, si attua all’interno di un patto; quindi il genere umano nella sua totalità persegue la felicità per via negativa (cedendo nel patto parti della propria identità) ma mantenendo intera su di sé la ricerca. Ognuno faccia da sé, annota Kant, ma solo all’interno di una convenzione giuridica. Il patto rende possibile l’attuarsi della felicità ma non ne detta i contenuti. Agisce in forma negativa, delimitando e circoscrivendo l’operare dell’uomo ma non può essere prescrittivo di norme positive. Kant a proposito aggiunge che non è fondamentale che l’uomo possa pervenire alla felicità ma che ne diventi degno.Si tratta di una notazione marginale ma non trascurabile perché Kant sembra voler dire che è più importante la predisposizione alla ricerca della felicità che il risultato di essa.Nella nota N. 7966 delle Reflexionen Kant si chiede perché gli uomini aspirano ad entrare nella stato civile sapendo di dover soccombere a degli ordini e a delle limitazioni. Perché rinunciano alla libertà dello stato di natura? Kant risponde: L’ho fatto per avervi assicurato il mio diritto. In primo luogo affinché, se del mio diritto si dubitasse, vi sia una legge pubblica ed anche un giudice che assuma il fatto sotto la legge; ma in secondo luogo per appoggiare con la forza il mio diritto ormai stabilito. Se dunque non v’è una tale forza, io mi trovo nello stato di natura. Colui però che si arroga questa forza senza che la costituzione gli determini la facoltà e il modo di usarla, è un ribelle.29 Si soggiace quindi ad una costrizione e ad un sistema di costrizioni per poter esplicare la propria sfera di diritti ed uscire da uno stato selvaggio di conflittualità e confusione. La moderazione delle prerogative individuali si contempera con l’interesse generale. Così Kant affronta anche nel N. 8000 delle Reflexionen il problema della povertà nella società civile e dei modi cui porvi sollievo e rimedio. Poiché “siamo uomini e non bestie”30la società civile nelle sue articolazioni si prenderà cura della sofferenza dei suoi membri intervenendo nelle situazioni di bisogno. La nota di Kant riafferma la dignità dell’uomo in quanto uomo a veder soddisfatti i propri bisogni e si interroga su quali soggetti competa il compito dell’assistenza. In particolare Kant pare interessato a stabilire se l’assistenza debba essere lasciata alla libera iniziativa o accanto ad essa occorra affiancare una norma. In tal caso se lo Stato stabilisse il dovere per legge dell’assistenza, sarebbero tutti i cittadini in forma indiretta a contribuire al sostentamento. Fatta salva la beneficenza, frutto di una elargizione personale che può esserci o non esserci con continuità, il problema resta aperto per chi è incaricato di una funzione pubblica:Ma chi deve decidere circa la necessità o meno dell’assistenza? Forse il magistrato che conosce bene i suoi cittadini? I contributi devono avvenire mediante collette, fatte da coloro che nell’occasione sono i più generosi. Gli incoraggiamenti e i biasimi al riguardo spettano in generale agli ecclesiastici. Tutta la beneficenza privata può restare com’è, il magistrato e l’ecclesiastico semplicemente la ignorano, trattandosi di opere di bene compiute al di là del dovuto (opera supererogationis).31 Anche sulla religione le Reflexionen di Kant contengono spunti di rilievo; Kant esclude leggi coercitive in tale campo “poiché non si può venir costretti da uomini in un ambito che riguarda soltanto Dio; ed essi non possono pretendere di imporre nulla che, non appena cambiasse l’opinione loro in merito, necessariamente dovrebbe venir modificato nel suo complesso e al di là di ogni contigente timore umano. Tanto meno un’imposizione del genere può aversi ad opera di una decisione della maggioranxa”32. Essa è così sottratta ai mutevoli volti delle vicende politiche e messa al riparo da intrusioni dello Stato sul terreno della sensibilità individuale e della coscienza. Università Cattolica del Sacro Cuore1 Un’ampia scelta delle Reflexionen trovasi in traduzione italiana nel volume I. Kant, Stato di diritto e società civile, nuova edizione aggiornata, a cura di Nicolao Merker, Editori Riuniti, Roma, 1995, pp 338-388, d’ora in poi riportato con la sigla SDSC. Le parentesi quadre […] entro cui compaiono i numeri delle singole Reflexionen è quella derivante e comparente nell’edizione SDSC sopra citata.2 Va peraltro detto che l’edizione dell’ Opus postumum di Kant, in edizione italiana, introdotta da Vittorio Mathieu,,non comprende le Reflexionen; vedasi Opus postumum, edizione italiana a cura di Vittorio Mathieu, Editori Laterza,Roma-Bari, 1994, pp. 429.[1] SDSC, p. 384.4 I. Kant, Il conflitto delle facoltà in tre sezioni,, in SDSC, cit, p.VIII. 5 SDCC, p. 353.6 p. 338.7 p. 339.8 p. 374.9 p. 365.10 p. 384.11 p. 374.12 p. 354.13 p. 355.14 p. 366.15 p. 377.16 p. 37817 p. 387.18 I Kant, Idea di una storia universale dal punto di vista cosmopolitico, in SDSC, cit., p. 110.19 Reflexionen, in SDSC, cit., p. 370.20 SDSC, pp. 371-372.21 p. 373.22 p. 37323p. 373.24 p. 373.25 p. 373.26 p. 374.27 p. 374.28 p. 374.29 p. 376.30 p. 376.31 p. 377.32 p. 360.

Roberto Taioli,Rileggere le REFLEZIONEN di Kantultima modifica: 2008-02-11T18:14:14+01:00da mangano1
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