Veltroni-Berlusconi, scontro sugli ascolti

df50eb1974129ff79b4472b13a492529.jpgDAL corriere della sera LEADER OSPITI A “PORTA A PORTA” IN DUE SERATE SUCCESSIVEVeltroni-Berlusconi, scontro sugli ascoltiIl Pd: «Più telespettatori per Walter». La replica di Bonaiuti: «Caduta di stile: Silvio ha avuto 2 punti in più»Walter Veltroni a “Porta a Porta” (Reuters)ROMA – «Meglio Veltroni». «No, meglio Berlusconi». Il primo scontro tra il leader del Pd e quello del Pdl, in una campagna elettorale dai toni soft, si accende sull’Auditel. Il segretario del Partito democratico e quello del Popolo delle libertà sono stati entrambi ospiti a “Porta a Porta”: il salotto di Bruno Vespa ha ospitato prima Berlusconi (martedì) e poi Veltroni (mercoledì). Chi ha vinto il duello a distanza? Secondo il Pd, non ci sono dubbi: «Nel primo confronto televisivo a distanza tra i candidati premier dei due partiti più grandi ha vinto Walter Veltroni» si legge in una nota dell’ufficio stampa del Pd. «Stesso format, quello di “Porta a Porta”, ma per Veltroni gli spettatori davanti al teleschermo sono stati di più. Berlusconi nella puntata di martedì si era fermato a 2.577.000 mentre Veltroni è arrivato a 2.618.000. Sostanzialmente uguale lo share se si considera che le due trasmissioni sono iniziate ad orari lievemente diversi».BONAIUTI – Immediata la replica di Bonaiuti: «Veltroni non conosce il ‘terzo tempo’ introdotto da poco anche nel calcio – afferma il portavoce dell’ex premier -. Ecco i fatti: Berlusconi a “Porta a Porta” ha fatto segnare due punti in più di Veltroni. Non lo abbiamo fatto notare, perché ci sembrava poco elegante, leSilvio Berlusconi ospite da Vespa (Ansa)

Veltroni-Berlusconi, scontro sugli ascoltiultima modifica: 2008-02-14T17:28:29+01:00da mangano1
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3 pensieri su “Veltroni-Berlusconi, scontro sugli ascolti

  1. da carlogambescia/metapolitics

    LUNEDÌ, FEBBRAIO 11, 2008
    Berlusconi e Veltroni dicono le stesse cose. Perché ? Qualche riflessione più generale su bipartitismo e pluripartitismo

    E così in meno di una settimana il sistema politico italiano sembra passato dal pluripartitismo rissoso al bipolarismo quasi virtuoso (o forse al tripolarismo, considerando la cosa rossa…). Ieri, per giunta, Berlusconi e Veltroni hanno dichiarato di voler perseguire le stesse politiche: diminuire le tasse e alzare gli stipendi. Insomma siamo in pieno neoliberismo spicciolo o in pillole.
    Ma non è di questo ( o almeno non solo) che desideriamo parlare. C’è infatti un altro aspetto che ci incuriosisce. Quello rappresentato dall’opzione di molti neoliberisti, a destra come a sinistra (come Belrlusconi e Veltroni, ad esempio), per il bipartitismo. Scelta, che a nostro avviso, è in contraddizione proprio con il neoliberismo. E che al tempo stesso indica la gravità della crisi attuale.
    Ma prendiamola, come al solito, partendo da lontano: in termini di filosofia sociale. O se si preferisce di sociologia delle idee politiche.
    Se il bene di tutti – come asseriscono i neoliberisti e più in generale certo liberalismo individualistico- proviene dal libero perseguimento dell’interesse individuale, non si capisce perché questo interesse non debba essere perseguito, anche in politica, da ogni singolo individuo. Che cosa vogliamo dire? A rigore (logico) potrebbero esserci tanti partiti per quanti sono i membri di una società. Il cosiddetto individualismo metodologico (l’individuo come base di qualsiasi analisi sociale, non solo dell’economia ma anche della politica) imporrebbe perciò la scelta pluripartica, o proporzionalista. Sempre che si voglia essere coerenti con principi metodologici scelti…
    Infatti, se ci deve battere contro i monopoli in economia, come impone il neoliberismo, ci si deve anche scontrare coi monopoli politici. E quindi contro le grandi coalizioni capaci di esercitare un potere debordante e oppressivo nei riguardi dei piccoli partiti e sopratutto della società come insieme di gruppi sociali.
    In questo senso il sistema elettorale maggioritario è assolutamente contrario, diciamo così, all’idea di un libero mercato del voto politico. Mentre il proporzionalismo riflette al meglio la libertà di mercato, riversata in politica.
    Di qui però una singolare contraddizione. Quale? Tra l’idea, da un lato, della necessità di una libera competizione individuale nell’ambito del mercato in funzione antimonopolistica, e dall’altro lato l’idea (contraria) della necessità di ingessare ogni libera competizione politica, tra gli individui, per favorire la nascita di grandi monopoli partitici. In grado di assicurare “stabilità”, come dicono i neoliberisti contraddicendo se stessi.
    Il che però significa – ecco il punto – che se ogni autentico neoliberista, almeno a filo di logica, non riesce ad essere “proporzionalista” coerente in economia come in politica, deve pur esservi una ragione più profonda. Cerchiamo di scoprirla.
    Probabilmente risiede nel fatto che l’individualismo metodologico, alla base del “mercatismo” neoliberista, ha un valore scientificamente ridotto. Per quale motivo? Perché, se ci passa la semplificazione, non tiene conto della natura sociale e politica dell’uomo. Ovvero del fatto che l’individuo, anche in economia e in politica, tende sempre a unirsi ai suoi simili, per rafforzare il potere di interessi, che da sempre esistono allo stato diffuso e che perciò inevitabilmente sono sempre di gruppo. Insomma uniti si vince, o si tratta meglio. Ovviamente sul piano ideologico, queste scelte “unitarie”, vengono giustificate retoricamente in vario modo. Ad esempio, come già detto, si usa invocare la “stabilità”. Ma anche il progresso, il bene dell’umanità, eccetera. Mentre in realtà la finalità ultima dell’ ”unificazione” sociale e politica, riguarda il mero esercizio del potere. Che a volte viene finalizzato al male e a volte al bene. Dipende dal contesto storico e dalla persistenza di valori comunitari.
    In buona sostanza le società tendono sempre a configurarsi in gruppi, di regola, in conflitto per ragioni egemoniche. Le società tendono, insomma, a strutturarsi spontaneamente in “oligopoli”.
    E la politica è la scienza del conflitto, ma anche della sua regolazione. Così come la democrazia consiste nell’impedire che gli “oligopoli”, si trasformino in “duopoli” o peggio in “monopoli”.
    Ecco dunque una costante: una società, entro certo limiti (perché sussiste sempre il pericolo dell’anarchia sociale: della guerra puramente distruttiva di tutti contro tutti), quanto più sarà “proporzionalista” (pluralista) in termini di gruppi sociali e politici, tanto più sarà democratica, mentre quanto più sarà “maggioritaria” (monista), tanto meno sarà democratica.
    La regola, insomma, è l’instabilità insita nel pluralismo e non la stabilità di tipo monistico. Perché è l’instabilità, più o meno storicamente regolata, che favorisce l’evoluzione, tra alti e bassi, delle società. Sempre che queste ultime non siano entrate nello stadio finale del ciclo vitale. Una fase segnata da contraddizioni, soprattutto sul piano ideologico, tra teoria e pratica. Come accade oggi al pensiero neoliberista, che tra l’altro – ecco un altro elemento di debolezza – si propone, tra il giubilo generale, come “pensiero unico”, coinvolgendo tra l’altro il liberalismo nel suo insieme (anche quello “buono”, realistico-politico): come chiave per uscire dalla crisi. Ma in che modo? Proponendo, a cominciare, dalla politica, la formazione di grandi monopoli (partitici), che invece, come speriamo di aver chiarito, non potranno non influire negativamente, essendone espressione, sui fattori di crisi del sistema.
    E, concludendo, un’ulteriore prova di questa deriva è appunto nel fatto che i politici più in vista asseriscono la stessa cosa. Invece di offrire una pluralità di soluzioni, ne offrono una sola. Un piccolo esempio? Quello citato all’inizio. Veltroni propone le stesse soluzioni di Berlusconi: diminuire le tasse, alzare gli stipendi…

  2. Da LA STAMPA

    Due «oni» e una capanna

    Walter, quella voglia di piacere come Silvio

    DI MASSIMO GRAMELLINI

    Veltroni archivia il veltronismo quando mancano pochi minuti alla fine e Vespa sta per mandare gli italiani a dormire. L’ex comunista, l’ex sindaco, l’ex veltroniano Veltroni stringe le mani bianche sui braccioli quasi altrettanto bianchi della poltroncina e si produce in una delle sue specialità, l’urlo a bassa voce, per congedarsi dal suo cavallo di battaglia: la nostalgia della giovinezza. Non è vero che un tempo si stava meglio, strilla in un sussurro l’ex cantore della figurina di Pizzaballa: le aranciate che bevevo da ragazzo erano piene di coloranti, i tubi di scappamento ammorbavano l’aria e nei cinema durante l’intervallo bisognava spalancare le porte per fare entrare l’aria, tale era la puzza di fumo!

    A qualcuno, probabilmente anche a lui, questo ribaltone esistenziale sembrerà una semplice nota di colore. Invece è il vero sigillo del duello televisivo a distanza che nel volgere di due notti ha mandato in soffitta il passato e visto nascere sotto lo sguardo amorevole di Vespa una nuova coppia di fatto della politica italiana: Silvio e Walter, Oni & Oni, i due accrescitivi dell’Italietta.

    Da quindici anni ci trasciniamo addosso l’immagine un po’caricaturale di un Paese doppio, composto da due popoli distinti e riassumibili nei personaggi di Massimo Boldi e Nanni Moretti, che non hanno nulla da dirsi e se anche ce l’avessero non riuscirebbero a comunicarselo per mancanza di alfabeto comune. Per abbattere questo muro di Berlino mentale bisognava giungere allo scontro conclusivo fra i due leader in cui da sempre si rispecchiano i rispettivi elettori. Oni & Oni sono la proiezione esatta, quasi statistica, del tipo di cittadino che vota per loro. Perciò sono anche gli unici ad avere l’autorità necessaria per firmare l’armistizio fra le due Italie. L’elettore di centrodestra si riconosce nei sogni, nei vizi e nei vezzi di Berlusconi. L’elettore di centrosinistra in quelli di Veltroni. Ed entrambi i leader nel loro comune amico Mike Bongiorno, l’italiano medio descritto da Umberto Eco e poi scissosi in due metà che fino all’altro ieri sembravano diventate incompatibili.

    Porta a Porta, Oni a Oni. Due campagne speculari, due modi diversi ma non più opposti di presentarsi al voto. Veltroni è seduto alla destra dello schermo. Berlusconi stava a sinistra. Veltroni ha la camicia con le asole sul colletto e Berlusconi no, però entrambi sfoggiano la stessa cravatta blu a pallini, presidenziale. Veltroni non ha il sorrisone dell’altro, ma ogni tanto scoppia a ridere mentre parla. Devono avergli spiegato che funziona. Vespa disinvoltamente vesposo, lo accoglie dicendo: se vince, metta una buona parola per me. Oni 2 è figlio di un giornalista, sguazza a meraviglia nell’ambiente. Appena entra un intervistatore, non si limita ad alzarsi in piedi come Oni 1. Lui gli va incontro per stringergli la mano, quasi volesse dirgli: che bello vederti qui, condividere questo momento unico con te. Chiama gli amici per nome e i non amici per cognome. Pirani, editorialista di Repubblica, è Mario. Mentre Giordano, direttore del Giornale, rimane Giordano anche se sarebbe Mario pure lui. Comunque li chiama, perché sa che a nessun uomo dispiace cullarsi al suono delle proprie generalità.

    In compenso nomina poco gli avversari. Solo Berlusconi, tre volte, e due è per fargli i complimenti. Una citazione anche per John Kennedy, Olof Palme, Willy Brandt e la cucina Scavolini: la più amata dagli italiani dice Walter, come il primo governo Prodi. Guarda caso, quello dove c’era lui. È sommesso anche il modo in cui riesce a fare la ruota senza farla. Il suo ego non è meno arroventato di quello Silvio, solo più schermato. Di sé dice: sono stato un bravo ministro, un bravo sindaco, un leader che ha rivoluzionato la politica in un mese e che in una settimana ha già recuperato due punti nei sondaggi. Però lo dice alla Veltroni; con circonlocuzioni timide e frasi sottotraccia. Liquida con toni elegiaci anche il tormentone di Veltrone l’Africano. Non aveva forse promesso di emigrare fra le capanne di fango del Continente Nero anziché nel loft del Partito democratico? Oni 2 sospira e racconta la storia di un uomo che era pronto a lasciare la politica, quando all’improvviso è nato il Pd e tutti si sono girati verso di lui. Poteva tradirli? Voltare le spalle al sogno politico di una vita?

    Parla bene di sé, ma anche di tutti. Almeno di quelli che nomina. Degli imprenditori che sono lavoratori, dei lavoratori che sono affezionati alle loro aziende più di certi manager (quindi pensa male dei manager), dell’Osservatore Romano che non lancia crociate integraliste (quindi pensa male di Ruini), di Prodi che è un grand’uomo (e qui chissà cosa pensa) e anche di Enzo Visco, perché a lui – a lui Walter – piace per istinto parlar bene delle persone di cui gli altri parlano male. Delle tasse non parla bene. Ma nemmeno male. Dice che non sono né belle né brutte, ma che sono troppe. È già qualcosa. Non parla male neppure dei bulli di scuola, che non sono poi tanti come si crede. E nemmeno dei ricchi, che non intende far piangere ma forse neanche ridere.

    Se Berlusconi cerca candidati che abbiano il sole in tasca, lui dice di volerli con la luce dentro. Farà le liste elettorali guardandoli negli occhi. Non nomina mai neppure una volta il conflitto di interessi, ma se ne va dettando la sua personalissima par condicio: meno politica in tv, perché se si va avanti con tre dibattiti a sera, prima del 13 aprile i cittadini si butteranno dalla finestra. Sotto, ad attenderli troveranno comunque lui. Pronto ad acchiapparli, tutti.

  3. Caro Attilio, grosso modo sono d’accordo con te. Ma pensi davvero che scrivendo sul tuo blog puoi cambiare qualcosa?
    Quelli che leggono sono più o meno tutti d’accordo: non c’è più il capitalismo ne classico ne neo, ma solo l’individualismo avido. Questo è il costrutto teorico e pratico in cui siamo immersi. Spesso le analisi storiche e ideologiche sono solo racconti di fiabe che rendono felici chi le scrive e chi le legge: sono le stesse persone. Non è meglio andare in giro o al bar per convincere qualcuno che non è una buona cosa votare per gli avidi senza regole e senza morale: purtroppo bisogna scegliere il meno peggio. Pierenrico Andreoni.

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