Roberto Ciccarelli, la ” presa di parola” e Foucault

08637bb96dc4439c96a309e9ea555e7f.jpgda IL MANIFESTO L’indocile autonomia della presa di parolaPubblicato in Francia «Le gouvernement de soi er des autres» il volume sul corso tenuto nel 1983 al Collège de France. Una ulteriore tappa del filosofo francese nella critica del Politico La virtù democratica per eccellenza non è la decisione, ma l’Entrava nell’anfiteatro rapido e grintoso. Prima di iniziare le sue lezioni al Collège de France, Michel Foucault sembrava pronto a tuffarsi in acqua. A metà degli anni Settanta, le cronache ne descrivono la voce forte ed efficace, i suoi tentativi di posizionare gli appunti tra i magnetofoni, unica concessione alla modernità analogica in una sala semibuia ricolma di stucchi, appena rischiarata da una lampada che l’autore di Sorvegliare e punire accendeva prima di iniziare a parlare a cento all’ora. Grazie ai quei magnetofoni, e alla cura filologica di Frédéric Gros, Gallimard e Seuil hanno da poco pubblicato il corso, registrato tra il gennaio e il marzo del 1983, Le gouvernement de soi et des autres (pp. 382, euro 27). Per quindici anni, le densissime dodici ore di insegnamento al Collège de France sono state affrontate da Foucault come un’esplorazione di territori remoti in vista di libri a venire. Nelle sue intenzioni, questo corso del 1983, insieme a quello tenuto all’università californiana di Berkeley nel secondo semestre dello stesso anno, raccolto dieci anni fa in Discorso e verità nella Grecia antica (Donzelli), avrebbero dovuto confluire in un libro dal titolo omonimo, mai pubblicato a causa della morte del loro autore. Già nel corso del 1982 su L’ermeneutica del soggetto (Feltrinelli), Foucault aveva spiegato la sua intenzione di rivolgersi alla cultura classica, in quel caso la sessualità e la cura del sé in Grecia e a Roma, come parte di una storia delle pratiche attraverso le quali un soggetto si costituisce, e a partire dalle quali esso giunge ad un rapporto con la verità. Il corso del 1983 sposta il progetto su un terreno più direttamente politico, assumendo l’idea che il discorso filosofico in Occidente si è costituito sulla piega del governo di sé e degli altri. La città idealeLe gouvernment de soi et des autres ripensa il rapporto tra filosofia e politica alla luce dell’analisi sul governo esposta nei corsi Sicurezza, territorio, popolazione (1977-1978) e Nascita della biopolitica (1978-1979, pubblicati entrambi sempre da Feltrinelli). Nella tradizione platonica, di cui Foucault offre una rilettura originale, filosofia e politica intrattengono un rapporto vincolante, al punto che si parla comunemente di «filosofia politica» il cui oggetto è la descrizione della città ideale, retta da un insieme di leggi, fondate sull’uso corretto della ragione. Nel corso del 1983, Foucault sostiene che il territorio «reale» della filosofia non è quello di proporre leggi, dare consigli al principe, persuadere le masse, ma di esercitare una libertà, conquistare la conoscenza di una verità che il soggetto trova nella propria vita, come in quella altrui, e non nei principi stabiliti da un regime politico. All’opposto della tradizione platonica, per Foucault il rapporto tra filosofia e politica si configura in un’«esteriorità indocile» nella quale la filosofia gioca un ruolo autonomo rispetto al potere, puntando sull’espressione pubblica e rischiosa della convinzione politica di chi la esercita. Tale espressione era stata definita già nell’Ermeneutica del sé come parresia, quella facoltà del «parlare vero», o «liberamente», che attribuisce un potere esemplare alla libertà di parola esercitata da un maestro di esistenza (Socrate, ad esempio). Ne Le gouvernment de soi et des autres, la parresia non viene più considerata solo come l’espressione del rapporto maieutico tra maestro e discepolo, né come rapporto preferenziale tra il filosofo e il tiranno, ma come l’atto politico con il quale il singolo (e non più soltanto il «filosofo») prende posizione rispetto alla propria comunità. Nelle sue varie forme – socratica, platonica, stoica ed epicurea -, la parresia indica un’esteriorità singolare rispetto alla politica, un’irriducibile posizione critica di un uomo, o di una donna, rispetto al governo dello Stato. La «realtà» della filosofia non è dunque un sistema costituito di conoscenze, ma un gioco politico le cui regole e scopi vengono formulati all’interno dei rapporti di forza immanenti alla politica. Il coraggio del rifiutoDa Euripide a Platone, la parresia si è manifestata in due grandi forme. La prima è quella della parola che l’oratore rivolge all’assemblea dei cittadini allo scopo di vedere trionfare la propria concezione dell’interesse generale. La seconda forma è il discorso che il filosofo rivolge privatamente al principe per rivelargli le insidie che lo attendono nel governo della città. Chi governa la polis deve accettare il fatto che i più deboli sono in grado di dire la verità, anche quella più scomoda. Coloro che invece non hanno il potere, ma ritengono di possedere un’idea più giusta del governo della città, devono dimostrare di essere capaci di governare il gioco politico nel quale prendono la parola. La disponibilità all’ascolto degli uni, e il coraggio politico degli altri, traducono per Foucault le condizioni del «patto parresiastico» che governa una democrazia. Foucault definisce il luogo dove avviene tale confronto permanente «dunasteia», quella dimensione dove i parresiastes esprimono la potenza del loro discorso, mentre i governanti esercitano il proprio potere. La democrazia non viene qui intesa come forma di governo, nella quale vige l’idea giuridico-istituzionale per cui la politica è regolazione dell’esistente, o istituzione di una forma di governo ben regolata. Per Foucault, la democrazia non esiste solo in base al diritto di nascita, o di censo, dei cittadini, ma in nome del coraggio da parte dei singoli (anche non cittadini come Ione nell’omonima tragedia di Euripide) di dire la verità sulla cosa pubblica.Nel famoso discorso agli ateniesi riportato da Tucidide nella Guerra del Peloponneso, Pericle ha elogiato questo coraggio come unica garanzia per mantenere l’uguaglianza tra i cittadini. Non è dunque solo il merito individuale, ma è la presa di parola in nome dell’interesse generale a stabilire i criteri di partecipazione al gioco politico. Per Foucault, quello politico è un gioco pericoloso che minaccia di sciogliere il patto tra il potere e i parresiastes. La trama realistica di questo gioco rivela che la democrazia non è semplicemente creazione di regole, ma esercizio della potenza (dynamis) nei termini agonistici della «lotta» nella quale i soggetti fanno «esperienza» di sé e degli altri nell’ipotesi, mai normativa, di un governo della città.Il rischio della democraziaQuesta genealogia della democrazia a partire dall’evento archeologico della presa di parola contrasta con l’idea, ormai dominante, che la virtù democratica per eccellenza sia la decisione. A questa visione oligarchica della democrazia (la decisione è sempre quella di una classe dirigente), Foucault contrappone l’idea che una democrazia esiste a partire dalla differenza introdotta dalla presa di parola. Anche la filosofia moderna, fino al Sapere aude! di Kant, rifiuta le autorità costituite del sapere riattivando la struttura parresiastica della politica. Se una decisione esiste, essa è quella di chi dice la verità al potere e non si sottrae ai rischi che questo comporta. Per Foucault, ciò che ha valore nel gioco politico è solo l’esercizio di una parola coraggiosa e libera. Il suo scopo non è governare meglio lo Stato, ma trasformare la maniera di vivere dei soggetti.

Roberto Ciccarelli, la ” presa di parola” e Foucaultultima modifica: 2008-02-18T15:42:59+01:00da mangano1
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