Pierenrico Andreoni, Una lettera non pubblicata sulla Tyssen

4734e87cffe717acb584fb7c7a253f07.jpgHo scritto un breve articolo sugli errori soggettivi degli operai della Tyssen, in fondo lo psicologo del lavoro è il mio mestiere da 35 anni e svolto in fabbrica per 4 anni. Liberazione non me lo ha pubblicato. Quasi quasi te lo mando. Il riformismo vero è in disuso e non basta riapioppiarsene a parole. Egregia Redazione, ho aspettato molto tempo prima di scrivere, ma dopo aver letto ed ascoltato tutto quello che si poteva leggere ed ascoltare sento il bisogno di dire pubblicamente alcune cose, almeno a voi, sui morti della Thyssen Krupp. Le aziende continuano a fare la lotta di classe e vincono 7 a 0, 1300 circa all’anno contro pochi perché muoiono anche qualche padrone e qualche dirigente o pseudo tale. Senza parlare dei morti per malattie e di quelli sulle strade che per la maggior parte sono fattispecie varie di lavoratori ma che per le statistiche vengono catalogati come incidenti stradali. Il cordoglio è unanime: ci mancherebbe altro. Il dolore è diventato liturgia, cerimonia non rivendicazione pratica per il futuro ma per il risarcimento contingente. Il ministro Damiano ci spiega che le leggi ci sono, che si devono applicare, che Ispettorati del Lavoro e Asl debbono controllare (peccato che almeno metà di loro sono impiegati da tavolino e vanno in giro di malavoglia), che il 626 e la 123 sono leggi d’avanguardia. E’ vero! Piccola digressione: ho litigato molto con Marco Biagi sulla legge 30, ma mi spiace che nessuno lo ricordi per la squisita sensibilità umana ed impegno morale che aveva per la questione della sicurezza sul lavoro. Ho lavorato a lungo con lui, io come psicologo e lui come giurista: un nostro lavoro, il primo su sicurezza e lavoro flessibile, sta ancora su internet e gli voglio rendere omaggio. Alcune parti del 626 sono opera del suo lavoro accolto da Tiziano Treu, compresi molti miei suggerimenti.Non sono un cinico, anzi! I sette torinesi mi hanno commosso, ma…… Mi sono formato come psicologo del lavoro in fabbrica all’Italsider di Lovere dove dopo il quarto morto in sei mesi, inizio anni 70, gli operai hanno occupato la fabbrica e mi hanno voluto dentro (io ero un esterno). Li ho fatti lavorare (mentre fuori la polizia era schierata) a redigere una mappa dei pericoli e dei rischi che essi percepivano in quell’ambiente: acciaieria e fonderia di allora. L’allora direttore Gottardi si impegnò realmente per tutti gli interventi di manutenzione e di difesa a favore dell’incolumità delle “maestranze”. Ho fatto le stesse cose come segretario della FIM e della FLM di Milano: ho partecipato alle occupazione di fabbriche e case e ho sperimentato l’ospitalità di S. Vittore. Non sono un estremista anzi, di “tre pacchetti mille lire” (il simbolo della pistola nei cortei, c’è anche una disgustosa velina che fa una pubblicità con quel simbolo di assassini in televisione), ne ho salvati molti che mi ringraziano ancora oggi, ma mi hanno messo anche una bomba sotto la sedia: chiedere ad Antonio Pizzinato. Ho insegnato in centinaia di corsi per la prevenzione da infortuni e malattie, lo faccio ancora oggi. Da professore universitario ho bloccato due volte i lavori di ristrutturazione di un palazzo della mia università perché i lavoratori non rispettavano le minime norme di sicurezza: “tanto non ci è capitato mai niente”, infatti alle volte quando capita è anche l’ultima volta. Nella mirabile ristrutturazione si sono persino dimenticati, in un palazzo di tre piani, di fare i cessi. Gli stabili della mia Facoltà sono tutti fuori legge ma a nessun ispettore di Damiano, ne ai vigili del fuoco viene in mente, pur sollecitati, di mettervi mano. Il rettore è sempre il rettore, un uomo pubblico. Perché intervengo? Per fornire una provocazione consapevole e positiva. La psicologia del lavoro è un ospite scomodo e inquietante, per quelli che sanno di che cosa si tratta mica per l’accademia. Deve dire che la disattenzione non esiste. E’ solo una scorciatoia per i poliziotti della stradale, i vigili urbani, gli ispettori del lavoro, i giudici e gli assicuratori semplicemente perché non possono fare a meno di una parola che nasconde altre realtà su cui spesso non sono in grado o non vogliono indagare. Ma dice che esiste l’attenzione, la percezione, la rischiosità che è l’aspetto soggettivo del rischio, che esiste l’attivazione della volontà che può accettare o rifiutare il limite oltre il quale il rischio probabilistico diventa colpevole anche verso se stessi. L’articolo su Repubblica del 4/01/08 di Luciano Gallino è perfettamente condivisibile ma manca del 50%: come si configura la risposta soggettiva alla degenerazione probabilistica? I sociologi descrivono, ma fanno anche qualcosa? Anche il 626 su tale questione fa confusione usando i termini pericolo e rischio come analoghi quando, invece, non lo sono: il primo è grosso modo oggettivo ed il secondo probabilistico cioè dipende dall’azione umana e da quella organizzativa. Senza tale distinzione non esisterebbe nemmeno il concetto di prevenzione e quindi la sua attuazione. Ne ho parlato diffusamente nei miei libri ed articoli, ma tant’è! Il problema è: lamentarsi sempre con qualcuno: l’altro, il nemico, mai fare qualcosa di positivo. Eppure, spesso il nemico, siamo anche noi stessi: negli incidenti e morti sul lavoro è un’ovvietà, ma non bisogna dirlo, bisognerebbe ridiscutere del nemico! Concordo con tutte le analisi che hanno riguardato la condizione di subordinazione e di ricatto che subivano quei poveri lavoratori, le inefficienze dell’azienda e quelle dei controllori. A proposito, non ho letto che esistesse un Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza alla Tyssen, spero di sbagliarmi. Ma esiste un problema: perché non si sono mai ribellati? Anzi hanno subito! Lasciate perdere tutte le giustificazioni socio politiche (le conosco, mi occupo da anni di precariato). Dove è finita la leggendaria soggettività operaia? Chi è causa del suo mal pianga se stesso. Forse era meglio qualche soldino in meno ma avere ancora la vita per un altro posto di lavoro o almeno per lottare per poterne avere un altro possibile. I piagnistei a posteriori non hanno mai prodotto niente in termini di rivendicazioni e di conquiste sociali e politiche. A meno che non diventino azioni positive. Quelli del giorno dopo, compresi parenti amici e compagni il giorno prima se ne stavano in pantofole ad aspettare la busta paga compresi gli straordinari magari detassati (che è un incentivo al precariato ed al lavoro nero) e sicuramente ridacchiavano anche dei pavidi che non lavoravano dodici ore al giorno. Dopo l’incazzatura rimane il nulla. Nella nobile storia dei giornali di sinistra provate a ripensare: se aveste dato retta alla volontà di quei lavoratori non esistereste nemmeno, grilli infausti e se alcuni di noi non avessero creduto ai vostri fondatori. Sono uno dei fondatori di Radio Popolare, so cosa vuol dire andare contro corrente ed avere il coraggio di dirlo e rischiare. Gli opportunisti ti ridono dietro e magari ti lodano a posteriori e quando capitano loro delle disgrazie danno sempre la colpa agli altri. Se non fosse successo niente nessuno se ne sarebbe accorto. Certo: ma senza l’opposizione, la ribellione di chi ha pagato anche con la vita il suo dissenso e le sue rivendicazioni non avremmo mai avuto ne le leghe di mutuo soccorso, ne il sindacato, ne la democrazia, ne leggi di tutela dei bimbi e delle donne (il pane e le rose docet), ne la resistenza, ne la costituzione. Quei poveretti sono morti proprio perché non si sono mai ribellati, non si sono fermati: tanto ci penserà qualcun altro! Se quelli che hanno reso possibile tutto ciò si fossero comportati come i sette saremmo ancora ben indietro. Lottare costa, è un sacrificio, si perdono soldi e possibilità ma chi si astiene o riceve doni dall’impegno altrui è un opportunista e spesso soccombe. Se gli va bene ride degli altri. Il futuro ce lo si conquista ora come la vecchiaia. Quei sette peveretti, se fosse loro andata bene, ci scuoterebbero la testa dietro. O forse avrebbero solo avuto dei dubbi inespressi. Non ho alcun dubbio. Non avevano neanche, rispetto per se stessi, non avevano nemmeno la cognizione del principio di precauzione come non lo hanno molti burocrati sindacali anche se esistono ancora, per fortuna, ottimi quadri sindacali. Lo ripeto, certo erano ricattati, ma consapevoli. Il mio maggior nemico all’Italsider di Lovere, operaio super qualificato che faceva anche due turni di fila e andava a lavorare anche tra un turno e l’altro, mi accusava pubblicamente di ledere la forza di lavorare dei giovani perché facevo loro imparare a fermarsi e a ribellarsi quando fosse necessario, li rendevo mollaccioni. Era un grande esempio di stupido leghista bergamasco ante litteram, quando Bossi stava ancora ingannando i suoi genitori sui suoi falsi studi. Per dimostrare la sua presunta totale capacità lavorativa e vincere i premi aziendali (che sono poi riuscito a far eliminare perché causa della liceità dell’insicurezza sul lavoro) un giorno ci lasciò tutta la gamba sinistra. Il primo ad andare a trovarlo senza gamba, appena dopo l’operazione, sono stato io. Si è commosso e mi ha pianto addosso: schetch (ragazzo in dialetto), avevi ragione, scusami! Non sono cinico, ne privo di sentimenti anzi esagero. Ma forse è anche ora che si ridica e si faccia capire che solo l’impegno soggettivo e collettivo paga quando è necessario ribellarsi e quando, come in tale caso, è giusto. Andrò fuori a visitare un compianto ma con la rabbia nel cuore! Pierenrico Andreoni. Docente di Psicologia del Lavoro Fac. Lettere e Medicina Un. Ferrara. Tutto quello che scrivo, ed è poco, è assolutamente provabile.

Pierenrico Andreoni, Una lettera non pubblicata sulla Tyssenultima modifica: 2008-02-19T11:35:04+01:00da mangano1
Reposta per primo quest’articolo