Giorgio Falco,Elio Pagliarani il cantore epico della modernità

7779220e12190e5afa059beb923af743.jpg da LIBERAZIONE Il poeta ottantenne ha appena ricevuto l’Ambrogino d’oro, un riconoscimento al valore artistico. “La ragazza Carla” del 1960 è tra le opere più importanti. La sua poesia ha dato voce alla Milano del lavoro e del boom economico. Oggi c’è la precarietà« Di là del ponte della ferrovia/una traversa di viale Ripamonti/c’è la casa di Carla, di sua madre, e di Angelo e Nerina». È l’inizio de La ragazza Carla , il racconto in versi di Elio Pagliarani. Il poeta era arrivato a Milano nell’immediato dopoguerra per cercare le parole d’oro. E invece le trovò di ferro, e poi si accorse che erano proprio quelle, di ferro o acciaio, che stava cercando.Carla ha diciassette anni, vive assieme alla madre, alla sorella e al cognato. La casa di Carla non è di qua del ponte della ferrovia.. È di là del ponte della ferrovia. Il ponte della ferrovia come una sorta di varco, di soglia, la storia di una ragazza che cresce e diventa donna nell’attraversamento e nel tragitto quotidiano verso il lavoro, i colleghi, i primi amori e le domeniche di svago. Tutto parte dal ponte della ferrovia, da quella traversa di viale Ripamonti, nella realtà è via Ripamonti, ma viale dà anche l’idea dell’ariosità, di un luogo dove accadono tante cose da renderlo quasi brulicante.«Il ponte sta lì buono e sotto passano/treni carri vagoni frenatori e mandrie dei macelli/e sopra passa il tram, la filovia di fianco, la gente che cammina/i camion della frutta di Romagna».C’è un vertiginoso sopra e sotto e lato. Eppure tutto il movimento è possibile grazie alla docilità servizievole del ponte, immobile e addomesticato nella sua funzione di agevolare lo scorrimento delle merci e dei versi. Un ponte che è ancora solo e soltanto un solido magnifico ponte e non infrastruttura! Ecco il movimento di mezzi meccanici, di animali destinati ai macelli, sembra già passato il rituale contadino dell’uccisione degli animali, eppure la città non è ancora pienamente dentro la modernità, sospesa tra la civiltà contadina confinata ai bordi che premono, e le mandrie dei macelli che arrivano assieme ai treni, ai carri, ai vagoni, e appena sopra, il tram, la filovia di fianco e, finalmente, la gente che cammina, il popolo è già gente che va via veloce, in attesa di atomizzarsi ulteriormente e diventare cittadino, consumatore. Pagliarani chiude «con i camion della frutta di Romagna». Pagliarani è nato a Viserba, un comune vicino a Rimini. Quando prendo uno dei fatiscenti Intercity che vanno verso l’Adriatico e passano, senza fermarsi, dalla stazione di Viserba, penso, ah, questo è il paese dove è nato Pagliarani, e poi arriva subito Rimini. Nel 1990, Pagliarani descrive Viserba come un posto spogliato, senza identità, un luogo dove a metà dell’Ottocento lavoravano il lino e «poi era nata l’industria dei bagni», un luogo ormai «scomparso (…) è tutto un Rimini nord, tutto alberghi e pensioni, una zona balneare, un po’ più popolare di Rimini centro».Ma all’inizio de La ragazza Carla siamo ancora in zona Ripamonti, a Milano, l’infanzia romagnola del poeta ritorna per un verso, senza il rimpianto elegiaco o l’enfasi malinconica dei primi anni di vita. Una parte dell’infanzia arriva trasportata sui camion, è la frutta di Romagna diventata merce sui camion a centinaia di chilometri, là, appena sotto il ponte, in viale Ripamonti, a Milano.Carla arriva al suo lavoro «fra l’infelice Corso Vittorio Emanuele e Camposanto, /Santa Radegonda, Odeon bar cinema teatro/un casermone sinistrato e cadente che sarà la Rinascente/cento targhe d’ottone come quella/ TRANSOCEAN LIMITED IMPORT EXPORT COMPANY/le nove di mattina al 3 febbraio».Il nome della ditta in stampatello, sull’ottone luccicante, ma dietro quelle parole già anglosassoni c’è il 3 febbraio, un giorno come tanti, definitivo, alle nove di mattina, l’inizio del lavoro nel centro di Milano che ancora tanto attira e accoglie «quella gente che marcia al suo lavoro/diritta interessata necessaria/che ha tanto fiato caldo nella bocca […] sotto questo cielo colore di lamiera/sulla piazza a Sesto a Cinisello alla Bovisa/sopra tutti i tranvieri ai capolinea».C’è il movimento, la frenesia, l’importanza dei mezzi pubblici nella mobilità lavorativa, quasi inusuale se paragonataalla paralisi fisica e mentale che viviamo spesso oggi negli spostamenti difficoltosi e controllanti.Dentro La ragazza Carla c’è ancora la Milano industriale, prima che buona parte dell’industria abdicasse verso forme di guadagno puramente speculative, come le case o i loft dei vernissage o le videochiamate che dovrebbero svelarci un po’ di noi. E ancora: via Meda, via Toscana, via Brembo, piazzale Lodi, Porta Romana. I luoghi abituali della toponomastica e lo stridere dell’allargamento, l’inizio dei traffici lontani: Bombay, Tel Aviv, Casablanca, gli ossi buchi e i commerci, la casa divisa con la madre, il cognato e la sorella, la condivisione degli spazi dovuta alla povertà, una povertà alla quale Pagliarani non concede retorica, Pagliarani la racconta senza cedere alle scorciatoie delle canottiere macchiate di sugo o dei crocifissi di burro.La ragazza Carla ha anche come tema il lavoro. Il mondo lavorativo sta per essere conquistato dalle donne, ma nella durezza della vita di Carla c’è uno spiraglio, nonostante le difficoltà quotidiane si intravede un futuro. Invece, dentro La ballata di Rudi , per dirla con le parole di Andrea Cortellessa (che di Pagliarani nel 2006 ha curato, per Garzanti, l’antologia Tutte le poesie 1946-2005) «c’è un fluido e quasi spettrale scambio di risorse immateriali» o, come ha scritto Tommaso Ottonieri, «forme epiche della modernità in declino»: l’industria milanese e ciò che resta è consegnato ai capitali stranieri. «Stamattina al reparto T.A. il ritmatore/ della Siemens, a San Siro, è stato allentato di una frazione di qualcosa/e il tempo tra i due lampi verdi entro i quali…».La ballata di Rudi ci accompagna dentro decenni della storia italiana: il dopoguerra, la balera, la Romagna, i night, il tassista abusivo milanese col millequattro a metano, lo smarrimento esistenziale di fronte ai rapidi guadagni borsistici, di fronte all’aver lavorato una vita per poi magari perdere in un giorno i soldi guadagnati, lo smarrimento di fronte a un mondo privo di coordinate precise, senza quasi un posto dove andare.Come sempre capita davanti a opere importanti, libri che così tanto hanno influenzato e descritto un’epoca, ci chiediamo, col passare dei decenni, come potrebbe essere la nuova ragazza Carla. Trenta anni fa, La ragazza Carla poteva essere La ragazza Katia. Adesso non so. Hanno ancora importanza i nomi? Dovremmo darle un nickname? Adesso la ragazza non prende sonniferi come nell’esergo, quando Pagliarani ricorda che un’impiegata, così poco allenata alle domeniche cittadine, preferisce prendere un sonnifero al sabato, per dormire fino al lunedì, pronta per una nuova settimana produttiva. Adesso la ragazza non ha diciassette anni, è maggiorenne e lavora di domenica, sale su un treno sporco o sulla propria utilitaria e ascolta una musica avvilente e un notiziario violento. Non vive nemmeno più in una traversa di viale Ripamonti, ma a Peschiera Borromeo o sulla Paullese o a Magenta, Abbiategrasso, nell’espansione della città verso i bordi dove tutto è centro.La ragazza lascia la propria utilitaria al capolinea e legge la stampa imposta dall’essere gratuita, nella calca di un mattino o nella solitudine serale a fine turno. La ragazza fa la cassiera, la commessa o cameriera o risponde alle domande assieme a un nastro registrato mezzo secolo indietro, prima di tornare ad una casa sempre più lontana, passa a piedi, di corsa, in centro, inquadrata dalle telecamere della sicurezza digitale, di una nuova divisione come il ponte di là della ferrovia, incorniciata per il sempre di ventiquattro ore, fino alla prossima vita.27/02/2008

Giorgio Falco,Elio Pagliarani il cantore epico della modernitàultima modifica: 2008-02-27T22:16:34+01:00da mangano1
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