Elvio Ancona, La metafora della rete e il diritto

0f3220832dbdedb4a2279573a9d94347.jpg Figure dell’ordinamento.Dalla piramide alla rete, e oltre… di ELVIO ANCONA Introduzione – Nel corso del Novecento, a partire dalle ricerche di Ivor Armostrong RICHARDS (The Philosophy of Retoric, London 1936), la metafora si è trasformata da topos retorico in strumento di conoscenza, modalità efficace per rappresentare una visione del mondo.Il suo studio si è pertanto rivelato prezioso per indagare, dal punto di vista delle loro implicazioni linguistiche, la storia delle idee.Come è stato notato, in questo studio è raro osservare che alcune metafore subentrino d’un colpo ad altre, sostituendovisi completamente; “in genere – scrive una delle maggiori specialiste della metaforologia politica – si assiste a un lungo periodo di coesistenza di più campi metaforici tra loro, prima che a uno di essi riesca di scavalcare gli altri insendiandosi al loro posto” (F. RIGOTTI, Il potere e le sue metafore, Milano 1992, p. 204).E’ quanto si sta verificando nel caso della rappresentazione dell’ordinamento politico-giuridico, dove l’attuale mutamento di paradigmi è efficacemente rappresentato dal lento ma inesorabile avvicendarsi di due immagini: quella della piramide e quella della rete (cfr. M. LOSANO, Diritto turbolento. Alla ricerca di nuovi paradigmi nei rapporti fra diritti nazionali e normative sovrastatali, “Riv. Intern. Filos. Diritto”, 2005, pp. 403-430; F. OST, M. VAN DE KERCHOVE, De la piramide au réseau? Pour une théorie dialectique du droit, Bruxelles 2002). Come nota Ugo Pagallo in un saggio specificamente dedicato all’emergere dei nuovi paradigmi giuridici, nell’era della globalizzazione e della rivoluzione informatica inevitabilmente affiora anche “la crisi della metafora con cui Kelsen e, con lui, generazioni di studiosi di diritto positivo hanno voluto rappresentare la struttura formale e normativistica dell’ordinamento” (U. PAGALLO, Introduzione a Prolegomeni d’informatica giuridica, Padova 2003, p. 25). La concezione piramidale dell’ordinamentoSotto l’influenza della “reine Rechtslehre” di Hans Kelsen, la piramide è divenuta il simbolo stesso del diritto.Essa rappresenta efficacemente la concezione dell’ordinamento come “costruzione a gradini” (Stufenbau) che Kelsen, perfezionando alcune tesi di Adolf Merkl sviluppa compiutamente nella seconda delle sue opere maggiori, la Dottrina generale dello Stato (Allgemeine Staatslehre) del 1925.Secondo questa concezione la validità di ogni norma (a partire da quelle che Kelsen chiama “norme individuali”, che sono gli atti amministrativi e giurisdizionali) deriva da una norma superiore. Così, per esempio, la sentenza di un tribunale è valida, ossia ha esistenza come norma, perché esiste un’altra norma che attribuisce validità alle sentenze dei tribunali; e questa seconda norma a sua volta è valida, perché posta in essere da organi ai quali la possibilità di emanare norme valide è attribuita da un’altra norma ancora, superiore ad essa.Ma questo processo “a gradini”, per il quale ogni norma trova il proprio fondamento di validità in una norma superiore, non può essere infinito: al suo culmine deve esserci una “norma fondamentale” (Grundnorm), che sia il fondamento di validità di tutto il sistema di norme che costituisce un ordinamento giuridico (cfr. H. KELSEN, General Theory of Law and State, Cambridge (Mass.) 1945, trad. it. Milano 2000, p. 116).La validità di una norma, pertanto, non dipende dal suo contenuto di giustizia, ma dal titolo formale di chi l’ha posta in essere, sulla base di un’ulteriore norma gerarchicamente sovraordinata, fino ad arrivare alla norma fondamentale, presupposta come valida.La norma fondamentale, infatti, non è norma come lo sono tutte le altre norme presenti nell’ordinamento, “non è posta, ma ipotetica e presupposta” (Ivi, p. 408). Costituisce l’apriori della teoria pura del diritto, il cui compito è quello di rappresentare l’insieme degli imperativi del sovrano, sulla base di una convenzione, e dunque convenzionalmente, come sistema ordinato di norme valide, geometricamente disposto in virtù di una struttura razionale rigorosamente ipotetico-deduttiva.“Ciò significa – afferma Francesco Gentile – che l’ordinamento giuridico non è reale, ma puramente virtuale. Non corrisponde a qualcosa di sostanziale, ma è una costruzione artificiale” (F. GENTILE, L’ordinamento giuridico tra virtualità e realtà, 3. ed., Padova 2005, p. 9).L’ordinamento assume così, in questa versione formale e virtuale, una struttura piramidale, per cui i rapporti gerarchici tra norme “attive” e “passive” del sistema giuridico, implicano, risalendo dalla base al vertice, un numero sempre più ridotto di norme sovraordinate, fino alla norma fondamentale, che è appunto unica (cfr. U. PAGALLO, Alle fonti del diritto, Torino 2002, p. 110, n. 35). Dalla piramide alla reteAi nostri giorni tuttavia, come osserva Mario Losano, riflettendo sui nuovi pardigmi dell’ordinamento, “nel ben calibrato ordinamento gerarchico della piramide, trova spiegazione soltanto una parte del diritto odierno, ma non tutto” (M. LOSANO, Diritto turbolento, cit., p. 427).La concezione kelseniana della struttura gerarchica del diritto è stata infatti pensata per lo Stato nazionale sovrano del secolo XIX e della prima metà del secolo XX. A partire dalla metà del secolo XX il modello stato-centrico è stato però posto in crisi dallo sviluppo di poteri pubblici internazionali e organismi sovranazionali. Oggi il mondo è ormai pieno di ordinamenti ultrastatali e gli Stati nazionali hanno perso l’esclusiva della sovranità.In un saggio significativamente intitolato “Gli Stati nella rete internazionale dei poteri pubblici” (pubblicato in S. CASSESE, La crisi dello Stato, Roma-Bari 2002), Sabino Cassese, esaminando l’influenza sulla vita degli Stati dei nuovi poteri pubblici ultrastatali, considera quattro conseguenze:1) Gli Stati sono condizionati, nell’esercizio della sovranità, da istituzioni superiori. Infatti qualunque decisione interna, dal settore postale a quello del trasporto aereo a quello ambientale, è condizionata dal rispetto di standards e criteri posti in sede internazionale o sovranazionale.2) Gli Stati perdono l’esclusività delle loro funzioni, dovendo condividerle con altri organismi.3) Gli apparati esecutivi statali, una volta organi di esecuzione di decisioni statali, divengono ora anche organi di esecuzione di decisioni di altri organismi.4) Gli organi giudiziari nazionali si adeguano in vario modo all’esistenza di organi giudiziari superiori e divengono così potenti veicoli dell’attuazione del diritto sovranazionale all’interno degli Stati (cfr. Ivi, pp. 62-3).Questa situazione determina “un nuovo assetto dei poteri pubblici” che assume l’aspetto di un “ordinamento su più livelli e a rete”: “In altre parole, – scrive l’insigne amministrativista – alla moltiplicazione dei poteri pubblici non ha fatto riscontro una loro gerarchizzazione, per cui ruoli, compiti e posizioni sono solo parzialmente definiti; non vi sono chiare linee di confine per aree o materie, ma interdipendenza strutturale e funzionale; le procedure non sono sequenze articolate lungo chiare linee di autorità, ma azioni svolte a supporto reciproco” (Ivi, p. 64).Questo mondo meno razionale (ma ancor più dominato dal diritto di quanto non lo fossero gli Stati) tende lentamente a sostituirsi al modello Westfalia, secondo il quale soggetti del diritto internazionale erano solo gli Stati e i principi della sovranità degli Stati e della loro eguaglianza giuridica erano assoluti. Se il modello di Westfalia aveva ridotto il numero dei poteri pubblici (basti pensare che gli oltre 500 poteri pubblici indipendenti che vi erano nel XVI secolo in Europa si erano ridotti, all’inizio del XX secolo, a 25), quello che ora tende a prevalere lo aumenta.Un altro aspetto del nuovo assetto riguarda la sua “fluidità e incompiutezza”: i poteri pubblici, ai diversi livelli, si sovrappongono e intrecciano, ma i conflitti vengono evitati grazie all’incompiutezza e fluidità, per cui, come nell’ordinamento dell’Europa medievale, nessuna istituzione è totalizzante e prevale l’“indirect rule” (cfr. Ivi, p. 64).Tuttavia – osserva Cassese in conclusione – “una soddisfacente formula di sintesi per indicare il nuovo regime internazionale… non è stata ancora sviluppata. E’ stata affacciata quella, che dà il titolo a un libro (ed. by J.N. ROSENAU and E.-O. CZEMPIEL, Cambridge 1992, ndr.), di Governance without Government. Ma questa tradisce in parte la realtà che vuole cogliere e sintetizzare, sia perché nella realtà sono presenti poteri pubblici ancor più numerosi che in passato, sia perché la formula sottintende la ricerca di un centro mondiale di governo che non esiste e non può esistere in un ordinamento a rete” (Ivi, p. 65).Commenta Pagallo: “Mentre la metafora della piramide implica tradizionalmente i rapporti di gerarchia impliciti nella ripartizione statica delle competenze e nell’unidirezionalità delle relazioni tra regola e regolato, l’immagine reticolare del diritto suggerisce invece una “moltiplicazione dei poteri pubblici” che sfugge alle gerarchie tradizionali. L’“interdipendenza strutturale e funzionale” tra i diversi snodi della rete comporta una ripartizione dinamica delle competenze per cui, come nel caso della sussidiarietà, “ruoli, compiti e posizioni sono solo parzialmente definiti” e “non vi sono chiare linee di confine per aree o materie” (U. PAGALLO, Introduzione a Prolegomeni d’informatica giuridica, Padova 2003, p. 29). La concezione reticolare dell’ordinamentoD’altra parte, la metafora reticolare dell’ordinamento ancora più efficacemente rispecchia la progressiva informatizzazione del diritto, per lo meno nella misura in cui il mondo del diritto diventa sempre più un mondo digitale. Così nota Pagallo che “l’aspetto più paradossale dei temi dell’informatizzazione del diritto dipende dalla circostanza che le raffigurazioni usuali del sistema giuridico, con i “nodi” e con le “reti”, saranno sempre meno considerate semplici “metafore” e, più spesso, “metafore assolute”… Si prepara un futuro in cui l’interazione comunicativa dei soggetti sarà mediata da “centri” terminali disposti reticolarmente” (PAGALLO, Introduzione, cit. p. 61). E così Paolo Heritier osserva che le trasformazioni indotte dalla telematizzazione della società determinano il passaggio “dal diritto della rete alla rete del diritto” (P. HERITIER, La rete del diritto, Torino 2001, pp. 8, 159). E’ sufficiente citare dallo Studio di fattibilità per la realizzazione del progetto “Accesso alle norme in rete” del Ministero della giustizia. Dopo aver rilevato che gli indici per soggetti devono rispondere a criteri di rigorosa scientificità, ma anche alle esigenze pratiche del cittadino medio, si afferma: “In proposito può essere particolarmente importante rilevare che la stessa struttura ipertestuale di World Wide Web consente finalmente di superare la rigidità delle strutture gerarchiche verticali di tipo arboriforme: infatti, percorsi concettuali, in cui si proceda gradualmente da categorie più generali ad altre più specifiche, potranno essere integrati dalla compresenza “virtuale” (in quanto ottenuta non con la ripetizione della stessa sottocategoria, bensì mediante la moltiplicazione di link ad essa collegati) di una stessa sottocategoria all’interno di più categorie generali distinte. Sotto l’aspetto tecnico ciò importa che gli Indici sistematici di risorse risultino strutturalmente simili piuttosto a “grafi” che ad “alberi”: a uno stesso nodo si può arrivare attraverso percorsi tutti alternativi, tutti ugualmente validi” (in “Informatica e diritto”, 2000, p. 23). Espressa con l’immagine del passaggio dagli alberi ai grafi, piuttosto che con quella del passaggio dalla piramide alla rete, la riconfigurazione del sistema normativo in forma ipertestuale trova comunque nella figura del nodo il suo simbolo più significativo. Come scrive ancora Pagallo: “La rappresentazione reticolare dell’ordinamento, che si prospetta con i temi dell’informatica giuridica, abbandona il concetto di “vertice” tipico dei modelli teorici imperniati sul principio di sovranità, e analizza il significato dei vecchi e nuovi centri decisionali con il concetto chiave di “nodo”. Affrontando le nuove frontiere tecnologiche del diritto secondo questa prospettiva, l’elemento costitutivo della rete coglie infatti il genus proximum delle fattispecie maturate a seguito della informatizzazione del diritto secondo quel denominatore che hanno in comune i (per ora contrastanti) fenomeni emersi dall’indagine di Cassese; vale a dire, la presenza di “centri decisionali” di potere che implicano il “mutuo riconoscimento” tra le parti del tutto, e il permanere di rapporti orientati gerarchicamente con il passaggio da una struttura ordinata dall’alto a un congegno autordinantesi” (PAGALLO, Introduzione, cit., p. 32). La figura del nodo evidenzia pertanto il modo in cui i media elettronici mettono in discussione la tradizionale versione geometrica delle istituzioni e riconfigurano il principio fondativo del diritto nel senso, appunto, di una “rete”. Metafora ambivalente: rete come trappola o come tessuto?“D’altro canto – prosegue Pagallo, riprendendo un’osservazione dello storico delle religioni Mircea Eliade (cfr. Il dio legatore e il simbolismo dei nodi, in Immagini e simboli, Milano 1981, pp. 100 ss.) – l’immagine appare ambigua proprio perché… il nodo raffigura tanto un legame che unisce, quanto qualcosa che lega” (U. PAGALLO, Introduzione, cit., p. 33). All’ambiguità del nodo corrisponde del resto l’ambivalenza della rete, che può essere tanto la rete del tessuto, quanto la rete di una trappola, tanto la rete come struttura che connette, tanto la rete come strumento di controllo (cfr. P. HERITIER, La rete del diritto, cit., pp. 145 ss.).Questa ambivalenza si rende particolarmente evidente in riferimento alle problematiche poste dall’informatizzazione del diritto. Essa infatti simboleggia efficacemente “il dilemma dell’odierna informatizzazione del diritto”, in quanto stretta tra la concezione dell’ordinamento come mezzo tecnico di controllo sociale e il diritto come modalità dell’interazione comunicativa dei soggetti (cfr. PAGALLO, Introduzione, cit., p. 33; GENTILE, Ordinamento giuridico, cit., pp. 11-12). La rete come tessutoDella valenza “benevola” della rete può costituire un’efficace esemplificazione la concezione di Tim Berners-Lee, uno degli ideatori del World Wide Web, che riprende continuamente l’immagine del Web come “tessuto distribuito di connessioni” o come “trama di fili” che veicolano contenuti; fino a dichiarare, in un afflato di entusiasmo, che noi, gli operatori della rete, “link dopo link, costruiamo sentieri di comprensione nella rete dell’umanità. Siamo i fili che tengono insieme il mondo” (T. BERNERS LEE, L’architettura del nuovo web, Milano 2001, p. 177).L’immagine dell’intrecciare fili, sia pure digitali, ci riconduce peraltro alla raffigurazione archetipica dell’ordinamento, rinvenibile nel Politico di Platone, allorché il filosofo, per illustrare la natura dialettica dell’attività politica, ricorre appunto al modello fornito dall’arte del tessere: “Quale paradigma che si riferisca allo stesso genere di attività della politica, modello di minime proporzioni, potrebbe assumersi come termine di confronto, così da scopire e conoscere in modo sufficiente ciò che stiamo cercando? Per Zeus, vuoi, Socrate, che, se non abbiamo altro sottomano, scegliamo allora l’arte del tessere? E anche questa non tutta, se possibile? Forse basterà solo la tecnica relativa ai tessuti di lana…” (PLATONE, Politico, 279a7-b4). Come nota Francesca Rigotti, infatti, l’arte di reggere lo Stato è l’arte del combinare e dell’intecciare secondo misura. E se il filosofo è colui che intesse in questo modo i fili del pensiero, sarà lui il miglior politico, perché introdurrà la stessa arte nel governo, intrecciando misuratamente e sinfonicamente la trama e l’ordito della città (cfr. F. RIGOTTI, Il filo del pensiero, Bologna 2002, pp. 170-1),. “L’arte di lavorare la lana – scrive la studiosa – ne è la metafora comprensiva perché è lì che si può vedere il momento della separazione di ciò che era congiunto insieme e poi quello della unione, … l’articolazione della realtà nel confronto di molpeplicità e unità, il momento diacritico (il cardare la lana e il passar la spola nell’ordito) e il momento sincritico (la torsione dei fiocchi di lana, la preparazione dei fili e l’intreccio dell’ordito e della trama). Questo è il ritmo del telaio e il ritmo del pensiero e ha da essere il ritmo della politica” (Ibid.). Il cui scopo, quindi, secondo Platone, sarà quello di congiungere le diverse parti dello Stato e di intrecciare le nature deboli con quelle forti come si intrecciano i fili duri dell’ordito coi fili molli della trama. “Ché infatti – dice lo Straniero nelle ultime battute del dialogo – unicamente in ciò si riassume tutta l’opera di questa regia arte del tessere, nell’intrecciare una trama di consensi, di onori e glorie, di reciproci scambi, di impegni matrimoniali, componendo mediante tali elementi un tessuto liscio e, come si dice, fine” (PLATONE, Politico, 310e).Socrate conclude il dialogo lodando il forestiero per aver magnificamente definito la figura del politico e dell’attività politica, il cui scopo è riunire le vite degli uomini in comune consenso e amicizia, realizzando “il più stupendo e il più prezioso di tutti i tessuti” (Ivi, 311c).Come nota Pagallo, nel caso di Platone la metafora della tessitura e dei nodi propone una configurazione reticolare dell’ordinamento (politico, giuridico, economico), la cui specificità “consiste nel fatto che ogni nodo della rete rappresenta, a suo modo, un centro e, a sua volta, ogni centro istituzionale di potere è solo relativamente tale” (Introduzione, cit., p. 38). Inizierebbe ad affiorare così il principio dell’autonomia personale, non a caso rinvenibile esemplarmente proprio negli “snodi della rete informatica”, nei processi di autoregolamentazione telematica cui ha dato vita il fenomeno di internet (cfr. G. PASCUZZI, Il diritto dell’era digitale, Bologna 2002, pp. 186-7). Per restare nel nostro contesto metaforico, esemplare è da questo punto di vista il caso della “net-iquette” (cfr. S. NESPOR, Internet e la legge, Milano 2002, pp. 40, 383). La rete come trappolaPer considerare viceversa il profilo “insidioso” della rete, possiamo partire da una osservazione di Sabino Cassese. Egli nota che quando il termine indica “una struttura risultante da elementi che si intersecano e formano una trama con maglie, rami e nodi”, questo uso è già metaforico, “nel senso che trasferisce il significato della parola dal senso proprio ad un altro figurato che ha con il primo un rapporto di somiglianza”. E il senso proprio è quello di essere “un attrezzo costituito da fili intrecciati e annodati, usato per catturare pesci e uccelli” (S. CASSESE, La rete come figura organizzativa della collaborazione, in ID., Lo spazio giuridico globale, Roma-Bari, 2003, p. 21).La rete, dunque, era originariamente intesa come trappola o come strumento di controllo, il cui aggiornamento gius-cibernetico può essere ravvisato ai nostri giorni nella teoria sistemica di Niklas Luhmann (cfr. N. LUHMANN, Sistema giuridico e dogmatica giuridica, Bologna 1978). Per il sociologo tedesco la società è un “sistema complessivo”, all’interno del quale si collocano una serie di sistemi parziali o sottosistemi, la cui funzione è quella di ridurre la contingenza e la complessità sociale. Tra i vari sottosistemi vi è quello del diritto: rispetto agli altri sottosettori della teoria dei sistemi, il compito del diritto si costituisce in rapporto alle procedure formali tendenzialmente automatizzate del sistema, che, per quanto possibile, mirano a ridurre l’imprevedibilità dell’interazione umana: l’input che traduce la volontà politica del sovrano con programmi informatici o sistemi esperti, corrisponde all’output che punta ad “applicare” il diritto con reti neurali e procedure telematiche (cfr. PAGALLO, Introduzione, cit., p. 42). In tal modo, però, la teoria di Luhmann non propone altro che un approfondimento cibernetico della ricostruzione “virtuale” dell’ordinamento, inteso, ancora e solo, come sovrapposizione convenzionale di norme alla naturale entropia intersoggettiva (cfr. PAGALLO, Introduzione, cit., p. 43). Così alla specifica dimensione virtuale dell’ordinamento more geometrico concepito, si aggiunge l’illusione autoreferenziale del giurista informatico, dando luogo a quella che felicemente Pagallo chiama “virtualità al quadrato” (ivi, pp. 6, 11).Ma allora, nella misura in cui, in un sistema del tutto informatizzato, l’interazione comunicativa dei soggetti può essere ridotta a snodi rudimentali che si limitano a ricevere input in vista di output prescelti, la struttura reticolare si ritrova così anche alla base della modalità con cui le più recenti e avvertite rappresentazioni sistemiche e cibernetiche dell’ordinamento rinnovano la sua configurazione come strumento della volontà sovrana (cfr. ivi, p. 59). Come se non si trattasse di altro che di “sostituire la norma fondamentale di Kelsen con un “grande” computer “centrale” (Ibid.). In fondo non è un caso se alcune tra le più fosche previsioni sul futuro dell’umanità hanno assunto nel nostro immaginario la forma a ragnatela di “Matrix” (il riferimento è alla celebre produzione cinematografica dei fratelli Wachowski)! Conclusione: metafore o sineddochi?Nella sua ambivalenza, la metafora della rete dunque non sembra molto più rassicurante di quella della piramide.La rete può essere sia strumento di connessione, sia mezzo di controllo sociale, tanto luogo in cui si pratica la relazione civile tra liberi e uguali, quanto ambiente di imprigionamento e schiavitù.La ragione di questa ambiguità tuttavia non risiede probabilmente nella natura “neutra” o “neutrale” del mezzo, suscettibile di venire utilizzato per svariate finalità, e quindi “buono” o “cattivo” a seconda della connotazione assiologica del fine cui è rivolto.Si può infatti dire della figura della rete ciò che Pagallo dice di ciò che essa rappresenta, della riconfigurazione informatica dell’ordinamento: che il “mezzo” in questo caso ha una natura propria, la quale incide sulla stessa operazione cui dovrebbe servire (cfr. PAGALLO, Introduzione, cit., pp. 8, 12, 24, 57, 65). La rete infatti sembra una figura caratterizzata dalla stessa struttura geometrizzante e artificiale della piramide e dunque incapace di rappresentare il superamento dell’ordinamento artificiale more geometrico concepito. Non è infatti possibile descrivere il superamento dell’ordine geometrico e artificiale in termini geometrici e artificiali. D’altra parte, riferite a tale concezione dell’ordinamento, più che metafore, la piramide e la rete sembrano essere delle sineddochi. E nel caso della sineddoche le sorti del significato sono tutt’uno con quelle del significante, essendo entrambi, per continuare a parlare comunque in termini metaforici, “della stessa stoffa”.Per superare l’ordine artificiale geometrico non avremo forse allora bisogno anche di un linguaggio figurale diverso? La risposta affermativa, che a questo punto sembra d’obbligo se le figure impiegate devono essere adeguate all’oggetto, ci pone d’altro canto il problema della sua individuazione.Un suggerimento al riguardo ci viene ancora da Cassese. Il giurista osserva che l’odierna figura organizzativa reticolare ha un importante precedente nell’ordinamento prestatale medievale. Tale ordinamento, in particolare, era caratterizzato “dalla presenza di un insieme di autorità, in posizione di dipendenza reciproca per alcuni versi, di concorrenza per altri: comuni cittadini e rurali, città-stato, università, signorie rurali, feudi, stati regionali, papato, impero” (S. CASSESE, La rete come figura organizzativa, cit., p. 22). Orbene, nel Medioevo la metafora più usata per rappresentare tale ordinamento policentrico è sicuramente quella organicistica, che ritrae la comunità politica come un corpo e lo fa in molteplici varianti, da Giovanni di Salisbury a Tommaso d’Aquino a Marsilio da Padova (cfr. T. STRUVE, Die Entwicklung der organologischen Staatsauffassung im Mittelalter, Stuttgart 1978). Ma, ancora una volta, si tratta di una metafora o di una sineddoche? Il fondamento giusnaturalista dell’ordinamento medievale non lascia dubbi: anche in questo caso – per parlare metaforicamente – il linguaggio usato è della stessa “natura” dell’oggetto espresso. Cosicché possiamo concludere che, se il superamento della concezione geometrica e artificiale dell’ordinamento deve condurre anche ai nostri giorni alla riscoperta della sua naturalità, allora il linguaggio figurale adeguato all’“oggetto” dovrebbe essere altrettanto naturalistico, come appunto accadde nel caso dell’organicismo medievale. L’interdipendenza strutturale e funzionale potrebbe così combinarsi finalmente con quei rapporti di subordinazione e sovraordinazione gerarchica che risultano necessari per la salute e l’ordinato sviluppo del cosiddetto “organismo sociale”.

Elvio Ancona, La metafora della rete e il dirittoultima modifica: 2008-03-25T17:06:45+01:00da mangano1
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