Stefania Podda, Intervista a Benny Morris

65e0eb003db58af7727308b156371f2f.jpgda LIBERAZIONE, 11 maggio 2008Benny Morris, «Conosco tutti i crimini di Israele. E li approvo»( per una discussione storica e politica attenta)nella foto : Menachem Begin nel 1946 abbandona l´esercito britannico e aderisce alla Irgun Zvai Leumi++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++Torino nostra inviataMorris, docente all’università Ben Gurion di Beer Sheba è considerato il capofila dei cosiddetti nuovi storici israeliani, gli studiosi che a partire dagli anni Ottanta demolirono l’immagine edificante che la storiografia ufficiale aveva trasmesso sulla nascita di Israele e sulla condotta dei suoi padri fondatori.Nel 1988 pubblica un libro di quattrocento e passa pagine che cambia la storiografia israeliana, inaugurando un nuovo filone. “The Birth of the Palestinian Refugee Problem” documenta l’esodo di massa dei palestinesi, la Nakba che seguì la nascita dello Stato ebraico. Morris non si ferma davanti alle verità che emerge frugando negli archivi. Scopre che la vulgata passata nei libri e nella coscienza dell’opinione pubblica israeliana – che crede che i palestinesi lasciarono la terra per propria volontà o perché convinti dai loro leader e dai paesi arabi, entrambi colpevoli di aver illuso la propria gente su una imminente vittoria finale sugli ebrei – è falsa. Epica, ma falsa. Morris documenta i crimini di guerra commessi dagli israeliani, racconta dei massacri nei villaggi, li segna uno per uno su una cartina. Ma non si spinge sino ad affermare che venne perseguito un piano organico di espulsione, gli mancano i documenti sul periodo 1947-1949, quegli archivi sono chiusi. Otto anni dopo, gli archivi vengono aperti e Morris fa uscire una nuova versione del suo libro. E questa nuova edizione è ancora più difficile da digerire per Israele. Morris scrive sulla base dei nuovi documenti che ha potuto consultare e scrive che i massacri furono in realtà molti di più di quanto pensasse anni prima. Parla di 24 casi documentati, per un totale di 800 morti. Parla dei villaggi sgomberati dalle truppe dell’Haganah (le forze di Difesa che precedettero l’avvento dell’Israeli Defense Force) e dagli attacchi degli estremisti dell’Irgun di Menachem Begin e del Lehi di Yitzhak Shamir. Parla anche di stupri, ma soprattutto parla di David Ben Gurion e gli imputa una precisa volontà di procedere alla pulizia etnica della Palestina. Una volontà non documentata da un ordine scritto, ma da una serie di input che Ben Gurion diede e che erano ben compresi dagli ufficiali e dai soldati che poi sgomberarono i villaggi, costringendo alla fuga decine di migliaia di palestinesi e coltivando anche un senso di impunità per quelle azioni. Azioni coperte – lo dice sempre Morris – dallo stesso Ben Gurion che non punì chi si era reso responsabile di crimini di guerra. Certo,ci furono palestinesi che andarono via per obbedire a precisi ordini dell’Alto comitato arabo e dei leader palestinesi, ma furono pochi casi. Insomma l’eccezione, non la regola.Con l’uscita della prima versione del suo saggio, Morris diventa la bandiera della sinistra. Il suo volume – si dice – aiuta la causa palestinese, svela l’inganno e la tragedia dietro la grande utopia del sionismo. Un bel coraggio, in un paese che sente di vivere sotto assedio e a perenne rischio di scomparsa. I suoi colleghi gli tolgono il saluto, l’establishment accademico lo accusa di aver tradito il proprio paese, la stampa conservatrice lo attacca. Morris lascia che sia il suo testo a parlare per lui e intanto continua a lavorare sulle fonti. Sino alla svolta. A partire dal 2003 comincia a pubblicare sul “Guardian” una serie di interventi che lasciano basiti i suoi estimatori. Dice di non credere più nella pace, che i palestinesi e gli arabi non hanno alcuna intenzione di convivere con Israele, che vogliono distruggerlo, nient’altro. Poi, nel 2004, mentre sta per uscire il suo libro riveduto e corretto, rilancia un’intervista-bomba ad Ha’aretz. Dice di tutto: che la pulizia etnica fu cosa buona e giusta, che Ben Gurion avrebbe dovuto completare il lavoro e bonificare tutto Israele e i territori, che è in atto uno scontro di civiltà tra il barbaro Islam e l’illuminato Occidente.La colomba si è fatta falco, e la sinistra e gli altri “nuovi storici” non apprezzano. Nessuno si spiega perché nei suoi libri sveli la tragedia dietro la nascita di Israele, e poi nelle interviste e negli articoli sposi posizioni e scelte della destra più estrema. Un caso di dissociazione? No, piuttosto un pervicace rifiuto di applicare categorie morali alla storia. Un conto è lo studioso, un conto è l’uomo. E l’uomo si rifiuta di condannare quanto emerge dai suoi studi, anzi lo condivide e lo avalla.Professor Morris, lei ha raccontato la nascita dello Stato di Israele in una versione molto lontana da quella ufficiale, sulla quale si è costruito il consenso. Ha documentato crimini di guerra e espulsioni di massa. Davvero approva?Capisco e dunque approvo. Guardi, si deve essere pragmatici, il moralismo nella storia è un impiccio, un ostacolo. La verità è che non poteva sorgere uno Stato ebraico che avesse al suo interno una minoranza araba ostile e numerosa. Ben Gurion ne era convinto e aveva ragione. Se non li avesse espulsi, non ci sarebbe Israele.Stiamo parlando dell’esodo forzato di almeno 800mila persone nel giro di due anni, di un intero mondo distrutto. Non le crea problemi essere di fronte a un caso di pulizia etnica, per come lei stesso lo ha storicamente certificato?Io ho documentato i crimini di guerra, comunque minimi se si pensa alle grandi tragedie di quel secolo, che furono commessi dalle truppe dell’Haganah e dai gruppi terroristici ebraici, e anche le intimidazioni e le violenze indiscriminate sulla popolazione. Ma la pulizia etnica non è di per sé un crimine di guerra, allora era una necessità. Il problema fu piuttosto non aver portato a termine quella strategia, così ora Israele ha al suo interno una vera e propria bomba ad orologeria e mi riferisco soprattutto agli arabi che vivono in Israele.E che sono cittadini israeliani.Sì, ma il problema è che in questi anni si sono progressivamente “palestinesizzati”, se così si può dire. La loro lealtà non va certo allo Stato di Israele, ma all’Anp. Se fossero cittadini leali, sarebbe diverso.Forse sarebbe diverso se non fossero cittadini di serie B.Ma questo non è vero, sono una minoranza con tutti i diritti, considerato che siamo in guerra con la loro gente. Possono anche votare.Ma non è solo il voto a determinare la piena cittadinanza, le discriminazioni passano anche per altre strade.Diciamo che l’unica vera differenza con gli ebrei è che non possono servire nell’esercito.E dunque non possono avere una serie di opportunità previste in un paese che ha fatto dell’Idf il cardine della sua sicurezza.Certo, ma non credo davvero che vorrebbero giurare fedeltà a Israele e mettersi la nostra divisa. Detto questo, non vogliono nemmeno andare nel futuro Stato palestinese, vogliono restare in Israele perché sanno bene che possono comunque vivere meglio. Come vede, non c’è soluzione.Quindi Ben Gurion avrebbe fatto bene a completare l’opera.Sì, da persona pragmatica devo dirle di sì. E anche come storico penso che la precarietà di Israele oggi dipenda da scelte poco lungimiranti. Oltre che dall’indisponibilità dell’Anp e dei paesi arabi di arrivare ad un accordo di pace.Deve essere stato un colpo per i suoi colleghi ed estimatori di sinistra sentirla improvvisamente parlare così.Ma guardi che io sono ancora di sinistra. Ho fatto tutta la trafila e ho tutte le credenziali a posto: sono cresciuto in un kibbutz, mi sono rifiutato di fare il militare nei Territori e mi sono fatto tre settimane di carcere. E ho sempre votato a sinistra, laburisti e Meretz. Però a sinistra la accusano di essere un estremista reazionario e a destra di danneggiare Israele con i suoi saggi storici. E’ una condizione anomala, come la vive?In effetti è un inferno. Ma da storico non posso che scrivere quello che riesco a tirar fuori dalla ricerca sulle fonti, senza posizioni preconcette e senza timori reverenziali. Come uomo, ho le mie idee politiche che – lo ammetto – sono piuttosto forti.E non ha mai pensato di fare solo lo storico e non il polemista politico?Forse avrei dovuto, ma oramai è tardi.

Stefania Podda, Intervista a Benny Morrisultima modifica: 2008-05-11T22:09:23+02:00da mangano1
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