Natalia Aspesi, Mara Carfagna. La violenza sulle donne

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Donne. Quando il nemico è in casa», di Natalia Aspesi – Repubblica 26.5.08

Le violenze in famiglia sono sempre più diffuse Un dramma su cui ora indaga un docu-film che sarà trasmesso da Rai3. Lo abbiamo visto in anteprima: raccoglie le testimonianze delle vittime abusate e picchiate dai mariti. Ma racconta anche gli interventi della polizia negli appartamenti dove le tragedie si consumano. Vi raccontiamo le loro storie
Lui la picchia “perché è innamorato”. Lei lo denuncia e poi si pente
“Ci siamo messi in contatto con le questure di 23 province per seguire il lavoro”
“Mi aveva annullato, convinto che non valevo niente”
Quella frase, gridata, sussurrata, esplosa, prima o poi le accomuna tutte: «Non ce la faccio più ». Sono le ragazze, le donne di ogni età che spezzano un legame che era d´amore ed è diventato un inferno: un sogno angosciosamente scivolato in un incubo che il più delle volte continuerà a rendere la loro vita insopportabile, anche dopo le denunce, la fuga da casa, la cacciata del compagno, la separazione, il cambiamento di città, la speranza di ritrovare finalmente pace e dignità; o che nei casi più funesti finirà nel sangue. Ma perché hanno aspettato certe volte anni prima di liberarsi del bruto che le minaccia, le pesta e le insulta, del nemico che le terrorizza e le umilia, del tiranno che le chiude in casa e che le pedina, del folle che le ritiene fonte di ogni male e di ogni vizio per il solo fatto di essere donna, la donna di loro proprietà? Per paura, per mancanza di denaro, per rassegnazione, perché non si fa, perché la famiglia non vuole e il parroco nemmeno, perché gli altri non devono sapere, ma anche, tante volte, e pare impossibile, per incrollabile amore. Il film La vittima e il carnefice di Mauro Parissone e Roberto Burchelli (in onda su Raitre il 4 giugno), parla di queste vittime e di questi carnefici, di queste donne e di questi uomini, non solo attraverso i racconti drammatici delle protagoniste, ma anche filmando in presa diretta gli interventi della polizia, le registrazioni telefoniche, gli appostamenti, le irruzioni negli appartamenti da cui vengono richieste disperate di aiuto.
«Volevamo raccontare storie vere nel momento in cui succedono», dice Parissone. «Ci siamo messi in contatto con le questure di 23 province, per seguire il loro lavoro di attenzione e prevenzione. Ci interessava riuscire a capire il momento di rottura, quello in cui è ancora possibile impedire che la persecuzione da parte di un maschio ossessivo degeneri sino ad arrivare all´assassinio, come purtroppo capita non così raramente; agli inizi del nostro lavoro era appena capitato a Sanremo, dove Luca Delfino, ex fidanzato di Antonella Multari, più volte denunciato ma mai arrestato, aveva finito per sgozzarla». Da un paio d´anni in tutte le questure si è creata una IV sezione che si occupa dei reati contro donne e bambini, che come è noto avvengono soprattutto in famiglia. E il film segue la squadra della IV sezione di Bologna, il suo paziente e attento commissario Delferraro, e uno dei suoi casi: quello di Francesca e di Salvatore, di una ragazza laureata e insegnante che si innamora di un ragazzo dolcissimo e pieno di attenzioni che poi si rivelerà pregiudicato, marchettaro gay e violento. Lei non lo vuole più, lui ha la prepotenza del padrone e non ci sta: la minaccia, la segue, si apposta, le telefona nella notte, le fa scene di gelosia, la chiama puttana, ninfomane, pazza, criminale e naturalmente tutto questo «perché è innamorato». Lei lo denuncia, poi si pente, poi cede perché malgrado tutto ne è attratta fisicamente e crede di poterlo cambiare, ma la tortura ricomincia, può succedere di tutto, la polizia protegge lei e diffida lui che non demorde, fino a quando gli danno il foglio di via. La storia non è finita, come non sono finite le altre che vediamo con i volti oscurati, storie vere, sconvolgenti, ripetitive, che diventano i numeri di agghiaccianti statistiche. La polizia entra nelle cucine in disordine, nei soggiorni dove bambini terrorizzati si rifugiano nelle loro camerette, in appartamenti borghesi o piccolo borghesi ma mai poveri, nel cuore di una delle tante venerate famiglie da family day, dove il marito pancione dentro una canottiera repellente piange dichiarando il suo amore per la moglie che lo vuole fuori dalla vita perché manesco, ubriacone, perché l´ha chiamata puttana davanti alla scuola, alla bambina, alle madri degli altri bambini. Seguiamo gli agenti negli inferni domestici, nella casa dove l´uomo che non accetta la separazione irrompe furibondo accusando la moglie che vive coi figli, di tradimento, di truccarsi, di bere il te con le amiche dopo il lavoro; in quella dove la ragazza marocchina incinta abbandonata dal compagno e sfrattata vuole buttarsi dal balcone, in altre in cui sono sempre le donne anche in età a non sopportare più quegli intrusi che si sono lasciati andare, che ciabattano per casa pigramente, che si fanno servire umiliandole, che le maltrattano; e sono sempre le donne esasperate a chiamare la polizia, a gridare ai giovani agenti spaventati, «questa vita non la voglio più, quest´uomo non lo voglio più, voglio che se ne vada!». Caterina, 30 anni, un bambino di due, che vive in un paesino in provincia di Massa Carrara, gli autori l´hanno trovata su Internet, in uno dei duecento e più blog in cui dialogano e cercano conforto migliaia di donne che vivono situazioni di disperazione e oppressione familiare, e ancora non hanno avuto il coraggio di denunciare i partner o di parlarne con parenti e amici. Caterina è fragile, affranta, ma anche decisa, ogni tanto le lacrime le bagnano il viso: «C´era tutto, l´amore con la A maiuscola, Davide mi riempiva di attenzioni, mi faceva sentire bella, importante, fortunata. Poi ha cominciato a tornare a casa ubriaco, ad essere violento, a buttarmi a terra, a minacciarmi col coltello, a dirmi che mi avrebbe portato via il bambino. Poi di colpo si metteva a piangere e mi supplicava in ginocchio, però rifiutava di curarsi e tornava cattivo, “Se esci da quella porta per te sarà un inferno” mi diceva». E Caterina finalmente da quella porta è uscita col suo bambino, e la loro vita è diventata un inferno. «Mi aveva annullato, convinto che non valevo niente, ma una volta fuori, mi sono ritrovata». Però la paura non la lascia, se vuole dormire va dai suoi genitori, se no resta sveglia in attesa del peggio, si barrica in casa, tiene di giorno le tapparelle abbassate e di notte la luce spenta, se esce ispeziona prima la strada: «Non voglio toglierti la vita, mi ha detto, ma solo distruggertela. Ma io se muoio ho già provveduto affinché mio figlio sia dato in affido a mio fratello». Caterina vive in un piccolo paese dove non c´è la questura, non c´è la IV sezione, proteggerla è più difficile: la sua storia è sospesa nella paura, va avanti così, non tornerà mai indietro pur sentendo che qualcosa di brutto prima o poi accadrà. Alle storie vere del film si alternano brevi intermezzi in cui le bambole Barbie, manovrate da una bambina, riproducono drammi reali di coppia: «È una invenzione cui teniamo molto» dice Roberto Burchielli, «perché ci serve a riprodurre quel tipo di trasmissione televisiva dove la gente comune litiga o fa finta di litigare, trasformando in spettacolo situazioni allucinanti che accadono nella realtà e che la finzione dello show rende innocue, una specie di gioco destinato a non lasciare traccia. Amori, gelosie, contrasti, tradimenti, vendette, persecuzioni, tutto finto, tutto in un unico copione scritto da altri, che cancella le vere tragedie con un cinismo colpevole». Pare strano che nell´imponente piano sicurezza varato dal governo, che colpevolizza in massa gli stranieri e ha già scatenato i primi episodi di razzismo, nessuno abbia pensato alla sicurezza delle donne soprattutto italiane vessate e anche ammazzate da partner e soprattutto ex partner. I fatti di cronaca nera si ripetono e si ammucchiano nel gelo delle statistiche, ma ognuno di quei numeri, di quelle percentuali, è un volto, un corpo, una vita, una singola tragedia. Secondo l´Istat del 2007, 2.983 mila donne italiane sono state vittime di violenza domestica, dai tentativi di strangolamento o soffocamento ai pugni, dalla minaccia con le armi ai calci allo stupro. In casa o fuori, da partner e soprattutto ex partner, ovviamente italiani. Un esercito enorme di vittime, essendo la violenza familiare sempre in aumento e ormai la prima causa di morte o di invalidità permanente delle donne. Per migliaia di loro vivere umiliate offese e picchiate sta diventando parte del “pacchetto amore”: infatti il 90% non denuncia il suo persecutore, rassegnato al fatto che giustizia la ottengono di sicuro solo quelle assassinate. Il precedente governo non ha fatto a tempo ad approvare come previsto il reato di “stalking”, quella forma di ossessivo controllo, appostamento, disturbo, pedinamento, intrusione, con cui partner o ex partner rendono impossibile e pericolosa la vita di tante donne. Il nuovo governo ha risposto al bisogno di sicurezza di donne e uomini italiani contro la criminalità straniera. Chissà se in un secondo tempo risponderà con la stessa energia al bisogno di sicurezza delle donne italiane contro il buon cittadino italiano che in casa si trasforma in criminale domestico. Con l´espulsione? Con le ronde? Con le spedizioni punitive? Con l’esercito?

Violenza sulle donne. Intervento su Repubblica 27 maggio 2008 di Mara Carfagna

Caro Direttore,
ho letto con grande attenzione gli articoli di Cinzia Sasso e Natalia Aspesi pubblicati sul suo quotidiano il 26 maggio, che hanno trattato in modo mirabile la delicatissima questione della violenza sulle donne.
Da Ministro della Repubblica ritengo prioritario soffermarsi sul background che sta alla base di un fenomeno doloroso per una società che si definisce civile. Ritengo necessario un grande impegno culturale per ridare serenità alle donne italiane, spesso costrette a vivere in contesti oggettivamente difficili.
Nel vostro speciale c’è un quadro che condivido solo in parte: il contesto familiare viene dipinto come un luogo buio e pericoloso per le donne. Mi sia consentito di dissentire.
La famiglia è da sempre la cellula primaria della società italiana. Essa rappresenta il fondamento del tessuto sociale, spesso funge da vero e proprio strumento di coesione ed ammortizzazione sociale e come tale necessita di tutela. La famiglia, va ricordato, è anche un luogo di realizzazione per la donna, al pari del mondo del lavoro.
Nessuno nega – e non sarò certamente io la prima – il fatto che non di rado è la stessa famiglia a trasformarsi in luogo di commissione di reati ai danni delle donne. Trasformazione dettata da una cultura errata e distorta, a volte maschilista e violenta. Ma è una trasformazione, non è la regola.
Le analisi statistiche da voi riportate e da noi conosciute e studiate, sottolineano anche un altro aspetto: divorzi, separazioni ed affidamento dei figli causano gran parte delle tensioni e dei reati realizzati all’interno della famiglia.
Ecco che diviene necessario un intervento al fine di applicare maggiormente le procedure di affidamento condiviso dei minori, anche per concretizzare il principio di bigenitorialità garantito dalle convenzioni internazionali: il minore ha il sacrosanto diritto di avere un padre ed una madre. Un diritto per il minore che attraverso l’affidamento condiviso può divenire un’occasione in meno di scontro – se non di violenza – tra gli ex partner.
Dal momento in cui il 68.3% delle violenze contro le donne si consumano in casa, quindi in un luogo privato, ed il 93% delle donne non denuncia la violenza subita dal partner, emerge drammaticamente il rifiuto da parte delle stesse che preferiscono la strada del silenzio per evitare la reiterazione del comportamento violento, ma anche per mancanza di fiducia nella giustizia. Senza dimenticare che la mancata denuncia è anche un tentativo di circoscrivere la tragedia personale della donna nella ristretta sfera familiare.
Altro dato allarmante emerso dallo speciale del Suo quotidiano è che solo il 2,8% delle donne si rivolge ai centri anti-violenza. Alla luce di questi dati, mi sembra doveroso intervenire al fine di rivedere, ripensare e rafforzare tali centri.
Di certo, il problema della violenza sulle donne non si risolve solo da un punto di vista culturale.
Il mio obiettivo come Ministro per le Pari Opportunità sarà quello di accelerare i tempi per l’approvazione del progetto di legge contro lo stalking, ripartendo dal testo già approvato in Commissione Giustizia, che sicuramente otterrà il sostegno dell’opposizione.
Non credo esista strumento migliore della concretezza per dare risposte ad un problema che da anni affligge le donne e la società italiana. È su questa linea che intendo indirizzare la mia attività.

Lettera aperta dell’Associazione Nazionale Giuristi Democratici, Gruppo di studio Generi e Famiglie, alla Ministra per le Pari Opportunità Mara Carfagna, in merito alle dichiarazioni rilasciate sulla violenza degli uomini contro le donne. 30 maggio 2008
La violenza e le discriminazioni compiute dagli uomini ai danni delle donne, siano esse di tipo fisico, psicologico o economico, aldilà del contesto in cui vengono compiute, non rappresentano mai una “trasformazione” della realtà, un evento eccezionale, una “anomalia” connessa a qualità personali del singolo uomo che le compie, ma, come espresso nel Preambolo della Convenzione per l’Eliminazione di ogni forma di discriminazione contro la donna (CEDAW), sono la “manifestazione di un potere relazionale storicamente diseguale tra uomini e donne…uno dei principali meccanismi sociali attraverso i quali le donne sono costrette ad occupare una posizione subordinata rispetto agli uomini.”
Il contesto famigliare è il luogo privilegiato di espressione della disparità di potere nella relazione tra coniugi: perché inevitabilmente il duplice ruolo che la donna in questo contesto è chiamata a ricoprire di moglie e madre la rende soggetta ad una serie di “aspettative” da parte del coniuge e della società stessa, che la vedono ancorata ad un ruolo primariamente di cura e riproduttivo, di servizio, e non, come dalla Ministra affermato, di realizzazione.
Infatti, statistiche, indagini criminologiche e studi psicologici di levatura internazionale sono concordi nell’affermare che la violenza dell’uomo in seno alla famiglia si scatena proprio nel momento in cui la donna sceglie di abbandonare il proprio ruolo di moglie e madre o “interpretarlo liberamente”, cercando di esprimere le proprie qualità anche come cittadina e donna, dunque come soggetto, prima ancora che come oggetto di “funzioni” legate al suo ruolo.
E’ in questo momento che l’uomo si sente legittimato, imponendo la propria forza fisica, il proprio potere economico, il bene “superiore” della famiglia, a dissuadere la donna dalla possibilità di scegliere come costruire la propria vita, a sminuire la scelta di autonomia della donna come scelta debole, a cercare di tenerla al suo servizio con tutti i mezzi possibili, dalla minaccia allo stupro, alla violenza sui figli.
Perché deve sapere, Ministra, che alto è il tasso di violenze da parte degli ex coniugi ai danni di donne e figli in casi di affido condiviso, non perché questa sia occasione di scontro sui figli, ma perché l’affido condiviso viene sovente concesso anche quando già erano state avanzate da parte della donna precedenti denunce penali al marito per percosse, minacce, maltrattamenti.
L’incapacità di valutare la pervasività della violenza dell’uomo in famiglia, che non solo si rivolge contro la donna, ma anche è violenza assistita per i figli che indirettamente la subiscono, porta a concedere l’affidamento congiunto anche in questi casi, consentendo all’uomo violento di continuare a trovare spazi per distruggere fisicamente e psicologicamente le persone, donna e figli, che hanno deciso di sottrarsi dalla sua potestà.

Natalia Aspesi, Mara Carfagna. La violenza sulle donneultima modifica: 2008-06-02T20:03:13+02:00da mangano1
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