Ferdinando Camon, Figli di un dio affamato

ddab710438c36ac673935b3db273d911.jpgFerdinando Camon, Figli di un dio affamatoda LA STAMPA, 5 giugno 2008I popoli denutriti non sono mai stati un rimorso per i popoli supernutriti, perché il mercato, che fa tutte le regole, fa anche le regole della coscienza: tutto è rimesso alla competizione, se non hai il necessario devi procurartelo, se non te lo procuri è colpa tua. La fame di un popolo si spiegava con la sua civiltà: i Primi Mondi si son creati una civiltà della produzione e del consumo, il Terzo e Quarto Mondo non hanno sviluppato né la tecnica né l’agricoltura, hanno un tasso spropositato di analfabeti, regimi antidemocratici, se andiamo a portargli un regime democratico uccidono i nostri soldati, sono sempre in guerra gli uni contro gli altri, tutto questo non abbassa la miseria ma la aumenta, e dal punto di vista occidentale la aumenta giustamente. Non è soltanto un confronto fra popoli, ma anche fra individui: quando andiamo nei paesi della fame, in Africa, in Asia, in Sud America, e ci confrontiamo con gli indigeni che incontriamo, abbiamo l’impressione di una differenza di merito: noi abbiamo tutto perché facciamo tutto, loro non hanno niente perché non fanno niente.Si parla di «mal d’Africa» per indicare l’attaccamento all’Africa che prende l’europeo che vi soggiorna per alcuni anni. Ci si domanda se il mal d’Africa esiste. Certo che esiste: è la tua sensazione di essere più che uomo, un dio, in mezzo a uomini che sono meno che uomini, tu vivi una super-vita mentre intorno a te vivono una mezza vita, e a volte neanche quella. C’è chi, anche tra i grandi scrittori, girando per l’India dice di «sentire gli dèi». Mi chiedo quali dèi può sentire un europeo che cammina tra i morenti. Ho l’impressione che più che «sentire gli dèi» gli europei in India «si sentono dèi», in paradiso. Se in giro per il mondo ci accompagnano i nostri figli, abbiamo l’impressione che giustamente domani loro domineranno mentre i figli degli indigeni li serviranno. Perché i nostri sanno e gli altri sono analfabeti. Non sanno usare una matita. A volte sanno cos’è un’arma, perché sono sempre in guerra, e questo li rende più colpevoli. Non ci rendiamo conto di una cosa: la guerra produce nuova fame, e la nuova fame produce nuove guerre. La fame rende stupidi.Ho un figlio adottato a distanza in Amazzonia, per farmi piacere mi manda un disegno ogni anno: un anno mi faceva l’America come due triangoli, adesso me la rifà come due strisce verticali, abuliche. Ho scritto alla suora che lo educa: «Ma non migliora». Mi ha risposto: «I bambini dell’Amazzonia non migliorano crescendo, ma peggiorano». Le malattie che hanno avuto sono bombe a scoppio ritardato: guariscono, ma non ragionano più, o sempre meno. In Brasile mi son trovato di fronte a una squadra famelica di niños de rua che mi fissavano e ho avuto paura: la preistoria fissava la storia. Sono dei perdenti che, diventando uomini, generano perdenti. Perché avere fame significa essere figlio di genitori che avevano fame. La fame si eredita.Adesso la crisi alimentare aggrava la fame sul mondo, c’è gente che ha più fame oggi di ieri: ma è gente che non ha mai mangiato. Per una stortura del loro progresso, ammesso che si possa chiamare così, il campo in cui questa gente progredisce di meno è l’agricoltura: arano come migliaia di anni fa. Le malattie che in città fanno ammalare in campagna fanno morire. Se la situazione è a questo punto, è perché abbiamo creduto, fino alla fine del ’900, che se ci sono popoli affamati noi siamo sicuri e loro no. Errore: se ci sono popoli affamati tutto il mondo è insicuro, e noi più degli altri.o

Ferdinando Camon, Figli di un dio affamatoultima modifica: 2008-06-05T16:43:33+02:00da mangano1
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