Adriano Prosperi, E il vescovo censura il libro sull’Inquisizione

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La Curia di Nocera Inferiore: quel saggio deve andare al macero
E il vescovo censura il libro sull’Inquisizione
Nel volume sono riprodotti documenti su avvenimenti accaduti fra Sei e
Settecento “Potrebbero scandalizzare il lettore”, replica il prelato

di Adriano Prosperi (la Repubblica, 11.06.2008)

segnalazione di Federico La Sala http://www.lavocedifiore.org/SPIP/

NELLA FOTO La recente scoperta a Palermo della CRIPTA DELLE REPENTITE per le ex prostitute diventate monache, il cui mantenimento era affidato alle cortigiane ancora in servizio, costrette a pagare una tassa speciale se volevano vestirsi al pari delle “donne oneste”, un esempio ante litteram di “porno tax”.

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Al lettore normale, smarrito davanti all’abbondanza dei libri e in cerca di
recensioni che lo aiutino a scegliere, diciamo subito che il libro di cui si
parlerà qui non lo troverà in libreria né ora né – forse – mai. Ma il libro
esiste,anche se forse non lo potremo leggere. Ne parliamo perché la sua vicenda
riporta tra lettori annoiati da storie di censure più o meno inventate per
ragionidi bottega il fantasma di una censura antica, che ha operato a lungo nel
passato remoto e che credevamo scomparsa.

Si tratta di un libro di storia che racconta vicende accadute in un luogo
d’Italiain un passato remoto, tra ‘600 e ‘700. Vi si incontrano persone e fatti di vita
quotidiana, passati attraverso il filtro di carte processuali. C’è la storia di
unuomo che aveva l’abitudine di bestemmiare la Trinità, la Madonna e san
Michele Arcangelo, si rifiutava di andare in chiesa, non ascoltava le prediche;
e c’è quella di un francescano che giocava a carte e quando perdeva
prendeva a calci il crocifisso appeso nella sua cella; o quella di una ragazza
che raccontò “con molto rossore” al vescovo e ai consultori dell’Inquisizione
come si fosse trovata a confessarsi da preti che tentavano in molti modi di
rubarle baci e di fare l’amore con lei. Inquisizione: ecco la parola. Una
istituzione ecclesiastica già molto temuta, che esplorava comportamenti e
idee delle persone e i cui documenti sono stati ricercati e studiati dagli
storici.
Per molto tempo la ricerca storica ha dovuto scontrarsi col segreto imposto
dagli archivi delle curie vescovili e dall’archivio del Sant’Uffizio romano,
istituzione che da papa Paolo VI ricevette la nuova denominazione di
Congregazione per la Dottrina della Fede.

Una svolta fondamentale si ebbe quando papa Giovanni Paolo II, preparando
il giubileo del 2000 sotto il segno di una solenne “purificazione della
memoria”, volle l’apertura alla consultazione dell’archivio centrale
dell’Inquisizione Romana. L’annuncio fu dato dall’allora cardinal Joseph
Ratzinger il 22 gennaio 1998 nella sede dell’Accademia Nazionale dei
Lincei. Ratzinger disse fra l’altro: «Sono sicuro che aprendo i nostri archivi
sirisponderà non solo alle legittime aspirazioni degli studiosi, ma anche alla
ferma intenzione della Chiesa di servire l’uomo aiutandolo a capire se stesso
leggendo senza pregiudizi la propria storia».

Da allora circola in questo settore di studi un nuovo fervore di interessi e di
ricerche e un clima di collaborazione tra studiosi e archivisti ecclesiastici.
Un’intesa tra lo Stato italiano e la Conferenza episcopale, del 2000, ha fissato
una serie di punti sulla tutela e sull’apertura alla consultazione degli archivi
diinteresse storico appartenenti a istituzioni ed enti ecclesiastici che dovrebbe
garantire sviluppi positivi alle indagini degli storici. Per quanto riguarda in
particolare i fondi documentari relativi alla storia dell’Inquisizione, il loro
censimento sul piano nazionale è in atto per opera di studiosi di grande e
riconosciuta serietà scientifica. La ragione dell’interesse che oggi guida la
maggior parte degli storici risiede non più in una volontà di polemica
anticlericale ma nella ricerca di una storia più ricca e più viva.
Dall’esplorazione di queste carte emergono migliaia e migliaia di volti umani,
di pratiche, idee e sentimenti che attraverso il filtro del tribunale
ecclesiasticodell’Inquisizione si sono calate in documenti scritti e si offrono oggi al
lettorecome un deposito di uno speciale tipo di archeologia: quella dei pensieri,
delle pratiche, dell’economia morale di un popolo intero.

La ragione è semplice: quel tribunale, la cui segretezza ha alimentato un
tempo fosche fantasie di sadica violenza, era un luogo che faceva parte della
vita quotidiana anche dei piccoli centri. Lì era obbligatorio recarsi per
denunziare la bestemmia del vicino, per riferire con vergogna e rossore la
violenza subìta dal prete in confessione. Di tutto questo serbano memoria le
carte degli archivi ecclesiastici. Su questa faccia nascosta della storia
d’Italia,
sulla folla di storie di vita che si sono sedimentate in quelle carte, da tempo
stanno lavorando gli storici al solo scopo di capire, di restaurare una memoria
meno lacunosa degli atti e dei sentimenti che hanno reso il nostro paese
quello che è. Ma ecco che in una cittadina italiana la cortina del segreto e la
durezza delle intimazioni ecclesiastiche si sono levate di nuovo.

Un libro scritto da una studiosa, Gaetana Mazza, su documenti
dell’inquisizione conservati nell’archivio diocesano di Sarno, Curia
diocesana di Nocera Inferiore, ha scatenato la furia di una entità che
sembrerebbe un fantasma da operetta se non fosse reale: la censura
ecclesiastica. All’autrice, che aveva inviato copia al vescovo della diocesi
prima di mettere in distribuzione l’opera già stampata, è stato intimato di
mandare al macero l’intero secondo volume dell’opera che riproduceva
documenti d’archivio (definiti «testi di dubbia delicatezza, che potrebbero
scandalizzare non poco il lettore») e di sottoporre il primo volume all’esame
di una commissione ad hoc al fine di emendarlo secondo quello che le
sarebbe stato imposto.

L’intimazione riporta in vita l’antico linguaggio e le abitudini della censura
ecclesiastica – quella, per intenderci, dei tempi di Galileo. Ci sarebbe da
credere a uno scherzo, se non fosse che quella intimazione è fatta a termini
di norme concordatarie e sulla base della condizione degli archivi
ecclesiastici che sono da considerarsi non pubblici anche se godono di
finanziamenti statali. In quella intimazione si legge il senso di vergogna di
una istituzione per i comportamenti del clero del passato e per una realtà
antica di uso dei suoi poteri da cui non riesce a concepire la liberazione se
non nella forma della cancellazione o segretazione dei documenti, insomma
di un bavaglio agli storici.

Vedremo presto se questo episodio è – come si potrebbe temere – un segno
di ritorno all’antico o se è solo il riflesso condizionato di una cultura che
nonsi è aggiornata alle intenzioni delle autorità centrali della Chiesa e alle
parolesolenni dell’allora cardinal Ratzinger. Basterà vedere se il libro contestato
arriverà o meno in libreria.

Adriano Prosperi, E il vescovo censura il libro sull’Inquisizioneultima modifica: 2008-06-12T21:58:22+02:00da mangano1
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