da lapoesiaelospirito
Per i morti sul lavoro
Posted by giorgiomorale on June 12, 2008
di Gianni D’Elia
E li chiamano incidenti sul lavoro,
ma non li dovrebbero chiamare
piuttosto, incidenti sul capitale?…
Meno soldi e meno diritti,
questa è la danza che s’ha da danzare,
il ballo del lavoro col capitale!…
E le chiamano morti bianche,
ma non dovrebbero chiamarle
piuttosto, morti tante, tante, tante…
Tante morti sui luoghi del capitale:
cantiere, sterro, officina,
sui ponteggi, al tornio, sotto terra,
questo ballo del lavoro è una guerra!…
Morti e feriti, ogni giorno, e via!…
Questo è il ballo italiano e globale…
Meno soldi e meno diritti, mafia,
questa è la danza illegale,
il ballo del lavoro col capitale!…
Chi non ci lascia la pelle,
ci lascia qualcos’altro,
Ogni parte del corpo è buona!…
Buona la faccia, buona la mano,
buono il braccio, l’occhio, il moto umano!…
La vita rubata qui si assapora…
“E quindi uscimmo a riveder le stelle.”…
Sì, ora ho tutto il tempo per la poesia,
ma sulla mia sedia a rotelle!…
E li chiamano incidenti sul lavoro,
ma non li dovrebbero chiamare
piuttosto, incidenti sul capitale?…
*
Questo carico di morte
di Ferruccio Brugnaro
La morte in questi giorni
non ha limiti.
La fabbrica ingoia la vita
nella più totale indifferenza.
Morte e solo morte.
7 operai bruciati lo scorso mese
alla Thyssenkrupp
2 asfissiati stanotte anche
a Porto Marghera
nella stiva di una nave.
Tutti i giorni
tutti i giorni
giovani vite
stritolate schiacciate cadute…
Il sole tanto amato è lontano.
Chi fermerà mai questa guerra?
Chi smaschererà il pianto generale
su questa strage?
Non certo la devozione esasperata
al prodotto interno lordo
alla corsa illimitata alla produttività
al profitto.
Non tornerà indietro tutto questo carico di morte
non tornerà indietro questa immensa solitudine.
*
Ieri è crollata di schianto la gru l’elevatrice
di Luigi Di Ruscio
Ieri è crollata di schianto la gru l’elevatrice
ognuno sparì dietro quella grande polvere
uno spezzarsi improvviso dei materiali si spezza
in piena notte la botta il guidatore vidi in un salto salvarsi
prima che la grande polvere si alzasse vidi quel salto
l’acrobata trovò un filo teso in un punto giusto implacabile
corse per tutta la linea del reparto scintilla di fili elettrici toccati
brucerà la grande valvola aspettare che la grande valvola bruci
il capo reparto prese un libro
dove tutte le grandi cadute dovrebbero essere previste
basta un pugno di segatura per fermare tutto
(non potete prevedere tutto)
occorre un consenso totale
se basta un pugno di segatura per fermare tutto
iniziano le telefonate notturne
amori appena cominciati
svegliare tutti i capi riparatori
i sottocapi riparatori e quelli che riparano
vengono con le fiamme ossidriche intorno all’animale
intorno al crollo
correvano avanti e dietro intorno al cadavere
controllavano gli orologi
misuravano le viti spezzate di netto improvvisamente spezzate
(bolla d’aria)
quando viene il panico ogni uomo corre in avanti e indietro
basta un pugno di segatura per fermare tutto
una macchia d’olio la scorza di banana
il guidatore s’è salvato
e venne la gioia vederlo così appeso e felice
sotto di sé vedeva lo schianto tra le polveri
il correre di moltiplicate scintille
la fiamma ossidrica buttava nel reparto grandi ombre mobilissime
così il sistema dovrebbe cadere di schianto
e noi appesi sui fili felici e salvi
in una grande polvere in un mare di scintille
fuochi fatui lucciole festive
di notte cupa parvenze
semi di un giorno felice.
*
Construcao
CONSTRUCAO (Chico Buarque de Hollanda Amou daquela vez como se fosse a última |
Quella volta amò come se fosse l’ultima Bevve e singhiozzò come se fosse un naufrago Bevve e singhiozzò come se fosse una macchina |
Charles C. Ebbets, Lunch a-top a skyscraper, 1932. Celeberrima foto presa durante la costruzione del GE Building del Rockefeller Center, New York.
Il grembiule di Alda Merini
Oddio il mio grembiule
guarda come mi torno indietro
era una bobina di anima
ogni giorno un filo d’amore
ogni giorno quelle ore che mi massacravano
io ogni giorno non ridevo mai
e la sera tornavo così stanca
e vedevo mio marito che mi guardava
e io mi giravo dall’altra parte
ma il mio grembiule era pieno di rose
erano tutti i baci che avrei dato a lui
invece di quello sporco lavoro
non hanno voluto pagarmi
né il grembiule e neanche la vita
perché ero una donna che non poteva sognare
ero una volgare operaia
che in un giorno qualsiasi
e chissà perché
aveva perso di vista il suo grembiule
per pensare soltanto a lui.
*
Antonio Schiavone è morto
di Enrico Cerquiglini
Antonio Schiavone è morto
Roberto Scola è morto
è morto anche Angelo Laurino
è morto anche Bruno Santino
alla Fiat di Cassino S.P.
è stato schiacciato da una bisarca
e muoiono ogni giorno fratelli e compagni
in cantieri fabbriche campi
muoiono come bestie
per chi li tiene nella miseria
bestie sono e da soma e dispongono solo
di silenzio e di morte
di notizie che disturbano il criminale
sogno borghese.
Malpagati, malvisti, maltrattati
sfruttati e poi depredati
infine schiacciati, uccisi dal fuoco
volati senza ali
infilzati senza scuse in pilastri in costruzione
costretti a vergognarsi
d’esistere, ridotti a oggetti
a costo del lavoro da ridurre
da contrarre da minacciare,
ricattati da capi, politici, capipopolo,
merde ridenti e inceronate,
costretti a contare i centesimi
a stringere la cinghia
a negarsi la vita.
“Finirai operaio!”,
minacciano insegnanti e pedagoghi,
operaio tra negri e albanesi,
tra musulmani e cinesi.
E ridono le iene svisonandosi
in prime alla Scala
in sottoscale del benessere assassino.
E piangono a comando
politici, sindacati, preti,
giornalisti che mettono i vostri corpi
tra le tette rifatte
dell’ultima videomignotta
e le luminarie di un Natale
da nazismo liberista.
*
La fabrica
di Giovanni Santacatterina
Maledeta la fabrica che fuma,
maledeti i telari e le navete,
da vint’ani la vita me consuma
ste machine, ste mostre maledete!
E spesso un qualche deo le ne frantuma,
mi porto un brasso qua co le bolete,
par tera el sangue mio fasea la sbiuma
carne mia go lassà su do ruete.
Mi no’ son fato par el telaro…
Co fasso un filo, penso al me orteselo…
a l’aria sana, a un libro, al calamaro
che sbocia i bei fioreti del Parnaso
apena criveladi dal cervelo.
Ma chi xe che me tira par el naso?
Chi xelo mai, chi xelo
sto sacrenon che me comanda e tase
e fa fare ’l mestier che no’ me piase?
La fabbrica
di Giovanni Santacatterina
Maledetta la fabbrica che fuma,
maledetti i telai e le navette,
da vent’anni la vita mi consuma
queste macchine, questi mostri maledetti!
E spesso qualche dito ci frantuma
porto ancora ferito un braccio,
per terra il sangue faceva schiuma
carne mia ho lasciato su due pulegge.
Non sono fatto per il telaio…
Quando filo, penso al mio orticello…
all’aria sana, a un libro, al calamaio
che sboccia i bei fiori del Parnaso
appena crivellati dal cervello.
Ma chi mi prende per il naso?
Che sarà mai, chi è
sto delinquente che mi comanda e tace
e mi obbliga ad un mestiere che non mi piace?
Grazie, Attilio, i morti sul lavoro sono la più incommensurabile accusa verso questo sistema, nient’altro dice allo stesso modo il disprezzo della vita umana e della dignità del lavoro.
“così il sistema dovrebbe cadere di schianto
e noi appesi sui fili felici e salvi
in una grande polvere in un mare di scintille
fuochi fatui lucciole festive
di notte cupa parvenze
semi di un giorno felice”