Patrizia Gioia ,L’amicizia tra H.Hesse e H.Ball

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CERCAVO IL PAPA’,
HO TROVATO IL DADA’
L’amicizia tra Hermann Hesse e Hugo Ball
alla maniera di Patrizia Gioia

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“Hesse ha scritto che il segreto di ogni arte sta nell’affascinare mediante la misteriosa cooperazione fra una non comune spiritualità e un’altrettanto non comune sensualità.
In Hesse i due poli, la spiritualità e i sensi, sono insolitamente sviluppati. Ma non già,
come in chi è nato per l’armonia, nella loro collaborazione, bensì in una accanita ostilità. Fin dall’infanzia il poeta si trova dentro una battaglia su due fronti. In corrispondenza alla sua particolare origine è costretto ad allargare la sfera spirituale per stare all’altezza dei tempi e della moderna civiltà. D’altro canto si trova nella necessità di fa largo ai sensi:
chè il poeta ha bisogno di sensi liberi e innocenti per prosperare, e anche perchè in un’epoca assai spregiudicata gli si dia ascolto. Si tratta dunque di lavorare ininterrottamente in due direzioni, di staccarsi, e per trovare un’ideologia sensuale e spirituale che sia all’altezza dei tempi.”

Queste parole sono di Hugo Ball, uno dei fondatori del Dadaismo e di quella, per i più, strampalata ma stupefacente realtà che si infiammò, e non finirà mai di ardere, a Zurigo nel Cabaret Voltaire.
Gennaio 1916:
Ball affitta le sale del Caseificio olandese nella Spiegelgasse a Zurigo, al fine di fondare
un cabaret letterario.
5 febbraio:
l’osteria degli artisti Voltaire apre i battenti.
Accanto a Ball ed Emmy Hennings ( una straordinaria storia d’amore la loro!) i collaboratori della prima ora sono anzitutto Hans Arp, Marcel Janco, Max Oppenheimer
e Tristan Tzara. Attraverso i giornali, Ball rivolge un “invito a tutti i giovani artisti zurighesi
a trovarsi con proposte e contributi indipendenti da un qualsiasi indirizzo determinato”.
Artisti locali, pochi, ma arrivano i russi con le loro orchestre di balalaiche, vengono letti versi di allievi di Kandinsky ed Else Laser, di Blaise Cendras e Max jacob, di Franz Werfel e Jakob van Hoddis. Ball esegue al pianoforte Debussy e Brahms, accompagna le canzoni di Aristide Bruant e il Revoluzzerliend di Erich Muhsam. Emmy Hennings sta sul palcoscenico senza interruzione, è la stella del cabaret; lei canta Totentanz di Ball, sulla melodia “ così viviamo, così viviamo tutti i giorni”.

Non vi pare una meraviglia, anzi non vi sembra d’esserci?

Ball morì nel 1927, anno in cui uscì la biografia da lui scritta dedicata all’amico Hermann, ma non so se lui fu, come Hermann, speciale nel dissanguare vigne, dentro la grotta che spesso custodiva entrambi e le loro profetiche parole, in quei fiammeggianti giorni e dentro quel giardino che, grazie anche a loro, maturò meraviglie e magie.

E’questo giardino, insieme alla MontMartre dei primissimi del 900 e al Cabaret Voltaire, l’altro luogo dove avrei voluto esserci, per l’intensità di quello che si viveva e di quello che si beveva.
Del resto anche Gesù dice d’essere vigna e i Poeti, come Lui, lo sanno da sempre, come da sempre s’ha da diffidare di un Poeta ( e di un uomo) astemio.

Hesse e Ball mi sono consanguinei e molto cari. Nell’incanto quieto del cimitero, di fronte al doppio filare dei verdi cipressi della Chiesa di Sant’Abbondio, nei pressi di Montagnola,
li vado spesso a trovare; riposano alquanto vicini, Hesse accanto a Ninon, sua ultima moglie, Ball accanto ad Emmy e alla di lei figlia Annemarie.

“Tu eri per noi un modello. Nella disciplina del tuo pensiero, nella severità del tuo senso di responsabilità linguistico, a incessante servizio della parola, nella consapevole lotta contro la tendenza dell’epoca alla trascuratezza e alla mancanza di responsabilità nel pensiero e nel discorso. Come ti eravamo riconoscenti per l’accanito, spietato istinto di verità della critica del tuo tempo!”

Così di Ball parlava Hesse, parole che sembrano fatte apposta per i nostri giorni d’oggi. Del resto, nel suo testamento spirituale che è quel bel tomo, che non tutti riescono a leggere o a terminare e che ho invece letto tutto d’un fiato meglio che un’avvincente giallo: “Il gioco delle perle di vetro” , aveva già profetizzato quel che saremmo diventati e quel che sarebbe stato necessario fare: unire oriente ed occidente, unire arti e scienze, intuizione e razionalità, per giocare armonicamente e tentare “l’uomo nuovo”, inseparabile del cosmo e dal divino.

Hesse e Ball si incontrano il 2 dicembre 1920 presso un comune amico, Englert, e
questo incontro segna subito l’inizio di un’attrazione reciproca.
Ball si è già convertito al cattolicesimo ed è impegnato completamente nel lavoro di approfondimento sui primi padri della chiesa, lavoro che entrerà nel suo libro Cristianesimo Bizantino. Hesse soffre ancora della lunga crisi vissuta durante la stesura della prima e della seconda parte di Siddharta, ed è ancora immerso nel pensiero indiano.
A questo si aggiunge il fascino di Eros, che non deve essere inteso come una mera corporalità, bensì come una vigorosa forza vitale di tutto l’Essere, ammaliante nei confronti degli altri.
Hesse, biondo e con una figura fine, possiede ancora un’aspetto giovanile. Ha un viso spirituale con occhi blu chiaro e un sorriso sommesso e sottile, oltremodo attraente e misterioso al tempo stesso . Ball al contrario sembra un ecclesiastico, grande, ascetico, scuro con un viso forgiato dal sacrificio. Eppure più tardi alla domanda di Englert, su
come gli piaccia Hermann Hesse, arrossisce come una ragazza.
Due giorni dopo Hesse va in visita ai Ball nella loro casa di Aguzzo e vi rimane per più di dodici ore!

Questi, per me, sono i veri incontri: un ritrovarsi!
Un po’ come quello di Freud con Jung, il tempo è ben altro che quello di un fine settimana, altri spazi, altri odori, altre visioni, altre parole. Ci si riconosce, punto e basta.
E non si smetterebbe più di ricordare e di progettare. Il sentire, che ci pareva anche un po’ folle e solo nostro, improvvisamente è sentito e condiviso pienamente dall’altro, quelle immagini pensate e magari tenute nascoste per non sembrare folli, ecco che si disegnano nella “relazione” e nulla più è delirante (fuori dalla lira), tutto si depone nel solo luogo dove doveva essere, tutte le tessere del mosaico formano ora il disegno. E non siamo più soli, e da qui partiranno altri “dadaisti”.
Come me, per esempio, che grazie a queste orme non mi sono più sentita sola.

“Il Dadaista sa che la vita si afferma nella contraddizione…ilDadaista non crede più alle comprensione delle cose da un unico punto di vista, ed è tuttavia ancora compenetrato nell’unità di tutti gli esseri, così convinto della totalità, che egli patisce delle dissonanze fino all’autodissoluzione…il Dadaista coltiva la curiosità per la quale prova una divertente gioia invece che un’incerta opposizione”.

Così scrive Ball in “Fuga dal tempo”, e così termino questo “flash” su un’amicizia che mi ha ammorbidito ancor di più mente e cuore , facendomi proprio dire che: “cercavo il papà, ho trovato il dadà”.
E se non siete Dadaisti non lo capirete mai!

Patrizia Gioia, alla mia maniera
Le notizie sono stateraccolte dal catalogo della bella mostra tenutasi al Museo Hesse di Montagnola qualche anno fa: Hugo Ball: Poeta Pensatore Dadaista.

Patrizia Gioia ,L’amicizia tra H.Hesse e H.Ballultima modifica: 2008-06-18T20:39:45+02:00da mangano1
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