Marco D’Eramo, a mani libere

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dal MANIFESTO 6 LUGLIO 2008 mani libere
Rifugiati sans papiers, lavoratori saltuari, giovani vagabondi con cani al guinzaglio: clochard, o «senza domicilio fisso». Alle Halles, nel centro di Parigi, un’associazione ha creato un luogo di servizio, bagagliaio, accesso internet: una laboriosa infrastruttura collettiva alla precarietà dei singoli
MARCO D’ERAMO
INVIATO A PARIGI

L’interno è un appartamento moderno, lindo, con pareti fragili. Appena dopo l’ingresso, sulla destra, un locale con un lungo tavolo bianco, attorno a cui, alle 7 e 30 del mattino, sono sedute sei persone. Due uomini di mezz’età riempiono parole crociate. Una ragazza (Gwendaline), spilungona occhiali e cappellino da baseball, legge un giornale. Un cinquantenne (Jean) si versa acqua bollente da un thermos per un caffè istantaneo. In una saletta accanto, quattro computer su sei sono occupati da naviganti in rete. Un bengalese trentenne, Sophon Chaudhory, rifugiato politico sans papier, sorveglia una porta dietro cui si apre un bagagliaio con una serie di scomparti occupati da valige, zaini.
Mi trovo nella sede di Mains Libres (Mani libere): non è così che t’immagini un’associazione di senza tetto (prima li chiamavano clochards, ma ora esigono di farsi identificare con la sigla Sdf: Senza domicilio fisso). La grande finestra affaccia sul giardino delle Halles – una delle posizioni più invidiabili di Parigi -, dove un tempo sorgevano i mercati generali, «il ventre di Parigi» raccontato da Emile Zola, e dove da trent’anni idillici giardini e vialetti ricoprono un frenetico centro commerciale stratificato su tre piani sotterranei e uno dei centri nevralgici del traffico metro-ferroviario della capitale francese. Ma anche questa visione è effimera perché, per nuove speculazioni commerciali, il giardino sarà ricoperto da un’immensa tettoia di plastica.
Entrare in questi locali non è stato semplice. Non tanto per la telecamera da cui ti guardano prima di aprirti la porta, quanto perché lo statuto dell’associazione vieta ai soci di farsi accompagnare da amici o conoscenti che non siano iscritti.
Un bagagliaio per vite precarie
Di Mains Libres mi parla per la prima volta Marie-Ange Schiltz, che ho conosciuto negli anni ’70 alla Maison des Sciences de l’Homme dove eravamo ambedue studenti di Pierre Bourdieu. Lei era specializzata in statistica e io avevo appena abbandonato la fisica teorica per la sociologia. Poi la vita ci ha fatto seguire percorsi diversi, al di là di una lunga amicizia: io ho vagabondato per il mondo, lei è rimasta a Parigi dove ha sempre lavorato al Centre de Mathématiques Sociales, ha collaborato con il nostro compagno di corso Michael Pollack (morto nel 1993) alle inchieste sulla sociologia dell’Aids, anche in nome di una comune, rivendicata omosessualità. Da pochi giorni è la segretaria del consiglio di amministrazione di Mains Libres.
«Tutto nacque nell’autunno del 2005 ad Accomplir («compiere»), associazione di difesa della qualità della vita e dell’ambiente nel centro di Parigi, tra le Halles e Montorgueil. Accomplir discuteva con il comune il nuovo progetto delle Halles. Discuteva con i giovani delle città-dormitorio – dove negli anni scorsi sono divampate le sommosse giovanili dei beurs, i figli degli immigrati maghrebini – per cui le Halles cosituiscono il punto d’ingresso in Parigi-città. E poi discuteva anche con gli Sdf sulle iniziative per rendere più vivibile la loro situazione senza fare della carità. Gli Sfd si concentrano in particolare in questo quartiere, anche per i negozi, i ristoranti, la circolazione, i molti spazi coperti all’aperto».
I senza tetto variano con le stagioni, ma nel quartiere si aggirano tra i 100 e i 200. Riprende Marie-Ange: «Emerse l’idea di un questionario per conoscere i desiderata degli Sdf. Il mio mestiere è proprio quello d’impostare tali inchieste e così mi hanno accollato il compito di redigere il questionario, cosa che abbiamo fatto con gli Sdf. Il questionario è stato un successo, con un tasso di risposta molto alto. E il risultato è stato inatteso. Nessuno di noi si aspettava che l’esigenza più sentita dagli Sdf fosse quella di un bagagliaio, un luogo dove poter lasciare i propri beni senza – di giorno – dover portarseli appresso in continuazione e senza – di notte – dover tremare per paura che te li rubassero mentre dormi per strada. C’erano a Parigi altri bagagliai per Sdf, ma aprivano solo un giorno o due alla settimana, senza regolarità né certezza. Quest’esigenza era più acuta era tra le 7 e le 10 del mattino e le 7 e le 10 di sera: alla fine optammo per turni 7-9 e 20-22».
Cogli qui la prima contraddizione di vite che si vogliono sciolte da ogni vincolo («Senza tetto né legge» recitava il titolo del film del 1985 di Agnès Varda con Sandrine Bonnaire), nomadi, libere da ogni ancoraggio, che rinunciano alla proprietà privata e che però sono prigioniere di quei pochi, poveri oggetti che ai loro occhi diventano più preziosi di tesori, e che si trascinano sempre dietro perché non sanno dove lasciarli: non a caso negli Stati uniti le homeless vengono chiamate le shopping bag ladies, le «signore dai sacchetti di plastica», e gli homeless si aggirano per strada spingendo un carrello di supermercato in cui trasportano i loro preziosissimi beni.
Fu deciso allora di formare un’associazione che non avrebbe mai visto la luce senza l’indefessa attività di Elisabeth Bourguinat, 43 anni, un dottorato in lettere alle spalle, che nel quartiere chiamano «la pasionaria delle Halles». La discussione sullo statuto fu molto lunga, in particolare su come chiamare i membri residenti fissi, senza che l’appellativo risultasse offensivo per gli Sdf. Dopo accesi dibattiti, a giugno 2006 fu scelta la dizione Adf (avec domicile fixe, «con domicilio fisso»), stabilita la composizione del consiglio di amministrazione (6 Sdf e 6 Adf con a turno un presidente degli uni e un vicepresidente degli altri: prima presidentessa fu appunto Elisabeth Bourguinat), e deciso il nome dell’associazione per il bagagliaio: Mains libres, in senso metaforico, di libertà (avere mano libera), e in senso proprio, perché avrebbe consentito agli Sdf di andarsene in giro a «mani libere».
Il passo successivo fu di rivolgersi Mylène Stambouli, vicesindaco di Parigi per la lotta contro l’esclusione sociale, per chiedere al comune un locale in cui installare il bagagliaio. Il comune propose vari siti che furono rifiutati, finché nel febbraio 2007, abbastanza presto, trovò questi locali, di un asilo nido dimesso. La soluzione è provvisoria (tra due anni tutto l’edificio sarà buttato giù col riassetto delle Halles), ma il comune si è impegnato a trovare un altro posto se la valutazione del progetto sarà stata positiva. Poi furono cercati i finanziatori: offerte giunsero da Fit Trust, Total, Crédit Mutuel… Una volta trovati locali e denaro, fu codificato il regolamento interno: «Meno male che l’hanno deciso gli Sdf: è così draconiano che se l’avessimo proposto noi Adf, non l’avrebbero mai accettato», dice Marie-Ange.
È il regolamento interno a stabilire che i soci non possano far entrare con sé altri non iscritti. Per questo Marie-Ange ha dovuto chiedere il permesso di farmi entrare, accordatomi solo dopo debita discussione. Il regolamento esige anche che un Sdf non possa presentarsi da solo alla bagagerie, ma debba essere presentato da un’associazione di quartiere, come Agora-Emmaus o Aux Captifs la Libération per assicurarsi che questo Sdf sia un po’ radicato nel quartiere, non sia uno che lascia un bagaglio e scompare per sei mesi.Il regolamento stabilisce anche che le permanenze vanno assicurate da almeno due persone che controllino deposito e consegna bagagli, «per evitare furti e accuse» mi dice Jean Redeuil. Il regolamento stabilisce in quali casi un iscritto può essere espulso. Finora ci sono stati due casi. Uno perché aveva scritto una lettera anonima contro la presidentessa, un altro per affermazioni razziste. All’epoca delle espulsioni ci fu una forte discussione. Alcuni erano contrari, ma gli altri s’imposero con l’argomento: «Se è per trattarsi da uguali a uguali, ok. Se invece è per fare la carità, allora non ci stiamo».
La bagagerie fu inaugurata nel marzo del 2007 e quel di cui sono più fieri è che non ha mai chiuso per un giorno ed è sempre rimasta aperta. «Non puoi immaginare che lavoro sia, dice Marie-Ange, mostrando il foglio dei turni di presenza. In tutto siamo circa 60 volontari che assicuriamo i turni per 50 posti bagaglio. L’estate i volontari Adf vanno in vacanza e ad assicurare i turni rimangono soprattutto gli Sdf». «Ma anche noi Sdf andiamo in vacanza», mi dice Jean Redeuil, con i suoi occhi vivaci.
Il clochard on-line
Qui emerge la seconda contraddizione: consentire la libertà da un’infrastruttura individuale esige un’infrastruttura collettiva mastodontica: è incredibile che il numero dei volontari dei turni (60) sia solo di poco superiore al numero dei bagagli (50) depositati. Un obiettivo così leggero (un bagagliaio) richiede un apparato così pesante.
Mentre parliamo, entra Bernard Dubois che mi mostra fiero i computer («offerti da varie imprese»). Fin dall’inizio, gli iscritti a Mains Libres furono invitati a frequentare un corso di computer al centro sociale La Clairière (la radura) che ha aperto per ognuno un indirizzo e-mail su Yahoo: «Adesso il computer è diventato per loro importante quanto il bagagliaio, e sono sempre gli Sdf che comunicano di più per e-mail. Ognuno può usare il proprio terminal per non più di mezz’ora a seduta. La stanza dei computer è sempre piena». Sono gli Sdf del terzo millennio: senza tetto ma on line. Sul sito www.mainslibres.asso.fr troverete le foto dei locali e delle feste, i tabulati dei turni per i prossimi mesi, i rendiconti delle riunioni.
Entra un trentenne punk-a-bestia, pantaloni di cuoio, cane al guinzaglio, ganci di metallo, insieme a una donna (Chantal) con un grande zaino.Vanno nello spogliatoio per cambiarsi. Nasce quasi una lite sul cesso che è sempre occupato («la doccia la fanno altrove»), per un livello di litigiosità sempre all’orlo.
Qui parliamo di Sdf quasi sedentari, che hanno una vita un po’ più stabile rispetto agli altri. Gli iscritti a Mains Libres si dividono infatti in giovani, spesso cacciati da case a reddito medio-basso, in «caratteriali» (noi diremmo «quelli della 180»), in clandestini (sans papiers) e in lavoratori saltuari precipitati nel clochardage. I più decisi sono i sans papiers: per loro l’associazione è un mezzo per ufficializzare la propria presenza. La Croce rossa ha organizzato un corso di pronto soccorso concluso con la consegna dei diplomi avallati anche dal Ministero degli interni. Quando Gary Drahamani l’ha ricevuto, quest’omone maliano si è messo a ballare una danza del suo paese per la felicità di detenere il primo documento del ministero degli interni francese.
La solitudine e la burocrazia
Gli alcolizzati invece non entrano nell’asociazione, o ne escono subito. Il momento più difficile è quando un Sdf trova un alloggio fisso: allora si ritrova solo, mentre prima era insieme agli altri, per strada. E poi c’è un’incidenza enorme di malattie, ricoveri ospedalieri, tumori.
Bernard Dubois organizza la bancarella del commercio solidale che espone le sue merci (caffè, cacao, olio d’oliva palestinese, cartoline) nel mercatino accanto alla basilica di Saint Eustache: «Cuciniamo anche dolci perché così aumentiamo il profitto col valore aggiunto del lavoro. Stiamo chiedendo la deroga amministrativa per la licenza di venditori di strada, di solito concessa solo per imprese individuali che espongono tutta la settimana, mentre noi esponiamo solo una volta o due».
Bernard, sulla cinquantina, grande e grosso, con gli occhiali, è responsabile anche di tenere le statistiche: sul foglio è registrato con una croce quale socio entra, e chi in quel giorno usa il bagagliaio: i tabulati vanno inviati al comune che ogni tre mesi valuta la riuscita del progetto.
È l’ultima contraddizione: quanta burocrazia richiede il consentire una vita «senza legge»! Assessorati impegnati in valutazioni; reti di associazioni; consiglio di amministrazione di Mains Libres con riunioni, ordini del giorno; assemblee, elezioni per presidente, vicepresidente, segretario. E’ l’impensato circuito logico di queste vite, dei volontariati innescati, delle azioni intraprese. È quest’impalcatura di realtà che a poco a poco si stratificano sui vari piani dell’esistenza, invisibili a uno sguardo distratto che vede un barbone seduto sul marciapiede.

Marco D’Eramo, a mani libereultima modifica: 2008-07-07T16:31:12+02:00da mangano1
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