Aless.Agostinelli,Com’eravamo

1900742350.jpgda il manifesto del 26 Luglio 2008

COM’ERAVAMO… RAGAZZI DI IERI E QUELLI DI OGGI Bamboccioni ANNI 70

Una chiacchierata fra due scrittori nel vagone ristorante di un eurostar tra Venezia e Bologna, per ripercorrere le abitudini delle generazioni precedenti. Giovani che vivevano tra il Dams, le canzoni di Bob Dylan, la stagione degli scontri sociali e del femminismo, ma con la sfiducia addosso che le cose si potessero risolvere. E adesso il «futuro» di un tempo non c’è più
ALESSANDRO AGOSTINELLI

Allora. Nel 1969 si sciolgono i Beatles. E iniziano gli anni Settanta.
I giovani del tempo cominciano concretamente a rifiutare il modello di vita dei genitori e scappano di casa. Adesso, invece, come diceva una canzone di Sergio Caputo, «il bimbo ha quarant’anni o giù di lì, e la mamma gli dà le vitamine…». Ecco così spalmato in musica il disprezzante leit motiv dell’homo italicus: il mammismo. Qualità che ai giorni nostri è stata declinata in una qualifica più cruda, quella di bamboccione.
Si possono fare paragoni tra i ragazzi di ieri e quelli di oggi?
Con Enrico Palandri ci proviamo, consumando il pranzo nel vagone ristorante di un eurostar (stranamente in orario) che ci scarrozza da Venezia a Bologna, in una mattina assolata. Ci siamo rivisti in occasione della lettura di una storia inedita, dedicata a Orfeo ed Euridice, che Palandri ha presentato alla rassegna Raccontami una storia a cena presso una antica istituzione culturale veneziana, la Fondazione Querini-Stampalia. Lui trent’anni fa scrisse Boccalone, il primo romanzo giovanile che dette il via alla nuova narrativa italiana. Aveva 22 anni e compì l’eroico gesto di parlare del «popolo alto dei giovani».
Ora, noi siamo appollaiati su questo tavolino di Trenitalia, e stiamo guardando il paesaggio che sfila dal finestrino, in un accavallamento di zone industriali e nuove urbanizzazioni che forse hanno preso il via proprio trent’anni fa.
Sto mangiando spaghetti al pomodoro. Enrico mangia penne al cinghiale.
Lui sostiene che in Italia il cambiamento vero sia stato dopo il 1972, quando si è cominciato a realizzare tutto quello che si preannunciava nel decennio precedente.

Bob Dylan
Secondo lui quello che racconta meglio di tutto quest’epoca è il film-documentario su Bob Dylan, No directions home, girato qualche anno fa da Martin Scorsese, ma secondo me lo dice perché è fissato con Dylan. Il film è un gran lavoro sui movimenti dei diritti civili con cui ha a che fare Dylan nella prima parte della sua carriera. A Enrico, questa pellicola di Scorsese è piaciuta perché riesce a tenere in equilibrio cultura, politica e impegno, ma anche perché da giovane era proprio appassionato di musica – e soprattutto era innamorato di Dylan. Uno che scarnificò la musica e scriveva testi come fossero parabole uscite dalla Bibbia, con un tono sempre un po’ predicatorio.
Stiamo finendo le nostre pastasciutte e il cameriere del treno ci offre il secondo. Il treno sta fendendo l’aria della pianura padana e dalle casse acustiche non esce la musica di Dylan, ma la voce gracchiante e digitale di una signorina che elenca la stazione di turno.

Né partito, né chiesa
Una cosa che ho capito, quando mi sono messo un po’ a studiare gli anni Settanta, per scrivere il saggio La Società del Giovanimento era che, in quel periodo venivano meno, nell’attenzione dei ragazzi, i grandi sistemi, che fossero il cristianesimo o il comunismo. Le generazioni precedenti inquadravano i problemi in maniera tradizionale. Con gli anni Settanta emergono gruppi che si interessano anche di un solo argomento, ma lo fanno con determinazione ed energia. Si voleva capire un problema alla volta, cercare di radicarsi in quello e non identificarsi in nessuna parrocchia.
Enrico, dice che il femminismo è stato importante perché ha rotto il senso ideologico dell’appartenenza, perché ha sempre lavorato contro la politica e contro il partito. Enrico pensa che probabilmente è anche per il femminismo che vengono fuori alcuni valori dell’individuo contrapposti a quelli della comunità. E crede che gli anni Settanta siano stati segnati da un lato da una grande violenza e dall’altro da una grande intelligenza, cioè la capacità delle donne di affrontare istituzioni e partiti che erano tutti guidati da uomini.

Il Dams a Bologna e Boccalone
Enrico ha avuto il battesimo più intenso della vita a Bologna nel 1975. E, mentre mangia una braciola ai ferri, dice che l’università è stata un’esperienza molto forte. Il Dams era un posto interessante: era un po’ la roccaforte del Gruppo ’63. Ci insegnavano Umberto Eco, Alfredo Giuliani, Gianni Celati, Giuliano Scabia, Renato Barilli, Paolo Fabbri, Carlo Ginzburg. Insomma una generazione un po’ particolare, che ha avuto il pregio di far passare in Italia l’esperienza dello strutturalismo e di intendere l’accademia in maniera un po’ diversa.
Senz’altro lui qualcosa di diverso l’ha fatto, scrivendo «una storia vera piena di bugie», e cioè la storia di un amore tra due giovani studenti universitari, le frenesie e le confessioni di piazza. Boccalone nasce da un contesto, ma anche da un’emozione, da una vita, da un desiderio, però è tutta roba collettiva. Si capisce che il protagonista non è solo. E forse la cosa bella è non essere soli. Improvvisamente c’è il senso di un mondo amico. La speranza di appartenere a un’onda positiva che crea solidarietà e simpatie.
Enrico spiega che la fortuna per lui e i suoi coetanei è stata di vivere in una stagione di forte scontro nella società italiana, dove c’era la possibilità di esprimere la propria dissidenza. Oggi, dice Enrico, se un ragazzo volesse esprimere la propria dissidenza che cosa potrebbe fare?

Il potere e l’amore
Forse dovrebbe porsi il problema di non venire a patti col potere, di criticare lo stato delle cose. Però chi ha il coraggio e la volontà di rendersi così autonomo, in un’epoca tanto omologante?
Così a Enrico, degli anni Settanta, è rimasta una certa sfiducia nel fatto che nella storia le cose si risolvano. Non vede di buon occhio la fiducia nell’ottimismo, che è la propaganda di qualunque sistema politico. E ricorda che anche Hitler diceva ai suoi che vivevano nel migliore Stato del mondo, eppure Hitler ha coltivato l’orrore. Ma tutti i politici sono coinvolti in questo giudizio. Cioè uno prende il potere e dice: sarà bellissimo. Oppure: è la cosa migliore che possiamo fare, state con me. Enrico dice che in queste cose non ci crede.

L’Italia
Ma alla fine Palandri, che ha insegnato per tanti anni in Inghilterra, dice che l’Italia è un buon paese, specie nell’ambito formativo, nella scuola. Dice che da noi c’è una società più composita che nel mondo anglosassone e nelle scuole italiane si studia di più. Lui sostiene sempre che gli italiani lo sorprendono spesso in positivo. Che, al di là della politica che è scoraggiante, ci sono tanti gruppi di persone che portano avanti bei progetti, molte associazioni che si interessano degli altri.
Io ho qualche timore in più e penso che questo paese sia un disastro, ma – come diceva Enzo Biagi – pieno di umanità.
Quindi, alla fine, mentre abbiamo già bevuto il caffè e pagato il conto, e stiamo uscendo dal vagone ristorante, perché Bologna è vicina, forse non siamo riusciti a capire le differenze tra i giovani di oggi e quelli degli anni Settanta. Eppure quello che non piace a entrambi sono coloro che vorrebbero fare di tutta l’erba un fascio, quelli che dicono che gli anni Settanta sono stati solo terrorismo, quelli che credono che era più bella la fantasia al potere, quelli che ignorano le conquiste civili di quegli anni, quelli che dicono che si stava meglio quando si stava peggio…
Il punto è questo, che oggi non c’è più il futuro di una volta!

Aless.Agostinelli,Com’eravamoultima modifica: 2008-07-28T17:39:00+02:00da mangano1
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Un pensiero su “Aless.Agostinelli,Com’eravamo

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