Antonio Gnoli,Le ideologie dell’amore

da LA REPUBBLICA del 29 luglio 2008
ANTONIO GNOLI
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Werther e Bovary. Le ideologie dell’amore

Dalle creature di Goethe e Flaubert sono nati due “ismi” tanto forti quanto estremi e paradossali
Nel suicidio Emma pone fine all´idea che si possa impunemente desiderare
Il wertherismo nelle sue pose romantiche divenne una moda un atteggiamento

Ma poi sarà vero che l´amore è quella passione un po´ folle e dissipativa che ci mette fuori dalle regole e crea una condizione speciale alla quale neppure il più incallito tra i cinici è disposto a rinunciare? L´argomento verrà affrontato durante il festival di Cervia dedicato al tema “Con il cuore e con la mente” che aprirà oggi e andrà avanti fino a domenica. Provate a sfogliare quei due romanzi che hanno fatto dell´amore il più estremo dei sentimenti. Più della paura. Più dell´odio. Più dell´arroganza. Ne I dolori del giovane Werther e in Madame Bovary – settant´anni circa separano i due capolavori – Goethe e Flaubert ci offrono una visione paradossale dell´amore. Creano involontariamente due modelli unici, e assistono, quasi sgomenti, alla loro attuazione. Starei per dire alla loro banalizzazione. Werther e Bovary diventano due “ismi” che poco hanno a che spartire con la politica e molto con la psicologia delle masse. Ecco. Se c´è una possibile incubazione della mentalità collettiva questa deve molto a Goethe e Flaubert.
La forza degli “ismi” , in genere, è nell´ideologia che li pervade, nel caso di wertherismo e bovarismo è nella loro impoliticità ante litteram: essi sovvertono un ordine senza tuttavia cambiarlo realmente. Fanno costume, tendenza, moda, ma non ethos. La loro forza non è tanto nei sentimenti che evocano ma nella persuasione retorica che trasforma il gesto in calco e imitazione. Quanti Werther ha messo al mondo Goethe? Il romanzo fu scritto in pochi mesi nel 1774. Quelle pagine volevano soddisfare una domanda che in fondo era già nell´aria: si può amare una donna, promessa a un altro, sapendo che la parola data, l´onore, la tradizione la condurranno fatalmente al matrimonio? È ciò che accadrà a Werther che si rifugia in una piccola cittadina di provincia e qui conosce Lotte, una giovane della quale si innamora perdutamente. La ragazza è promessa ad Albert, un ottuso e placido funzionario che finirà per sposare. Dunque l´amore anticonformista che Werther nutre per Lotte è destinato a infrangersi contro le leggi e la morale. È una sconfitta che spingerà il nostro eroe al suicidio.
Quel gesto mise in moto un´immensa retorica che dalle pagine goethiane dilagò nella vita. Il wertherismo, nelle sue pose romantiche, divenne un atteggiamento, un gesto, una moda. Il frack azzurrino, i pantaloni e il panciotto gialli che Werther indossa al cospetto della donna amata, diventano una sorta di uniforme del cuore. Quell´abito sgargiante e tenue a un tempo, non privo di bizzarria cromatica, si impose tra le giovani generazioni. Non solo in Germania, ma in tutta Europa, si creò improvvisamente un piccolo esercito del cuore: tamburini che svegliavano le passioni marciando al ritmo del sospiro, dell´esaltazione, della tragedia.
E quante Emme Bovary hanno invaso il campo dell´amore dopo il capolavoro flaubertiano? Lo scrittore non poteva immaginare che tra le pieghe di quel sublime feuilleton – apparso a puntate sulla Revue de Paris nel 1856 – si nascondesse un´eroina in grado di dettare uno stile e una psicologia. Ma quando all´incirca un secolo fa Jules de Gaultier coniò il termine bovarismo, immaginando con ciò stesso di illuminare una parte almeno dell´animo umano, sia maschile che femminile, il dado era tratto. La povera Emma resuscitava per reincarnarsi nelle palpitanti donne che offrivano il loro corpo alla trasgressione.
De Gaultier prese Bovary e ne fece un sostantivo universale. Ai suoi occhi bovarismo era una caduta dell´immaginario nelle rudezze del reale. Lo definì come «la facoltà concessa al soggetto di concepirsi diverso da ciò che è». Ma in quella proiezione desiderante vide soprattutto un disturbo della personalità, una caduta esistenziale, il fallimento che si nasconde dietro ogni segreta e abominevole ambizione.
A differenza di Werther, Emma è una donna ambiziosa. L´amore più che offrirlo, sembra pretenderlo. Emma Rouault si ciba di letture avventurose, di romanzi amorosi e sublimi, che ricordano vagamente l´atteggiamento di don Chisciotte davanti ai codici cavallereschi. Emma è una sognatrice che va in sposa a un medico la cui professione non rende meno scialba la sua intelligenza. Charles Bovary è bonario e ottuso, accomodante e innocuo. Per quanto la professione di medico lo sollevi al di sopra di gran parte di coloro che cura egli non ambisce alla differenza. Rappresenta una sorta di grado zero della scala sociale, senza il quale non potrebbe costituirsi il percorso di Emma. E´ solo perché Charles non ha inconscio che Emma può scatenare il proprio flusso onirico. È attratta dal bel mondo, dalla conversazione brillante e da quelle figure, che mutuate dalle sue letture, rappresentano modelli d´amore.
Dal punto di vista di Charles, Emma appare una donna realizzata. Ha una figlia, Berthe (che non ama particolarmente), vive un discreto benessere sociale e gode di un certo credito nel paesino di Yonville, i cui abitanti la considerano attraente, fortunata, colta, compassionevole. Sfugge ai più il motivo che la tormenta: la noia. È un sentimento sul quale crescono ambizione e sensualità. Due bellimbusti le attraversano la strada. Sono Rodolphe e Léon, con i quali, in tempi diversi, Emma stringe duetti d´amore. L´autentico che con slancio quasi mistico cerca in loro, si scontra con l´inautenticità che la clandestinità di un gesto, di un pensiero di una scelta impone. Emma è pur sempre un adultera esposta al fuoco del pettegolezzo. Come è diversa da Lotte che Goethe avvolge nell´ambiguità. Essa è a un tempo ordinatamente rassegnata al ruolo di moglie e oscuramente incline all´altro. Lotte è solo un´Emma non ancora dispiegata, non ancora cosciente della propria potenza dissipativa. A leggerne i furtivi comportamenti si intuisce che è l´accessorio che Werther pone al centro della scena per meglio esaltare se stesso. È un narcisismo mascherato da disperazione quello che prorompe dal cuore di Werther. Si direbbe che il suo slancio cerchi come punto di approdo non la semplice conquista di Lotte, ma uno spazio ultimo e definitivo che solo la morte può predisporre.
Il gesto temerario e insensato del suicidio riveste un significato strategico: si muore non già per protesta o per sconforto, ma per allontanarsi dal disordine del mondo. Quel luogo insopportabile, improvvisamente si spoglia dei caratteri caotici e aggressivi. Viene meno il soggetto perturbante. Un ordine, per quanto infelice, è ristabilito. Come lo si realizza? Werther intuisce che la posta in gioco non è la vita, ma ciò che la vita mette in moto nel momento in cui la si sacrifica. La decisione di suicidarsi non è presa nel segreto del cuore. Destina un´ultima lettera nella quale spiega a Lotte gli effetti di quel gesto. Si immola nel nome di un amore impossibile e nel farlo pone le premesse per legare a sé in modo definitivo quell´apparente oggetto del desiderio che la morte renderà invisibile.
Lo slancio febbrile, la sofferenza acuta, la solitudine profonda, il corteo di passioni romantiche che lo guidano verso la fine cercata non lo conducono dunque a un semplice nulla nel quale lasciarsi inghiottire, ma a un luogo – un Aldilà – dove potersi rincontrare con Lotte. Quell´Aldilà non richiama alcuna tentazione teologica, è il fantasma che un narcisista di talento proietta fuori di sé. È come se Werther dicesse a Lotte: c´è un piano (quello del luogo comune) sul quale non ci incontreremo mai; ce ne è un altro dove il cuore è sovrano, lì «noi saremo! Noi ci rivedremo». Con ogni evidenza si tratta di un differimento. Per trionfare in futuro Werther deve perdere nell´immediato. Affinché insomma la macchina retorica del wertherismo dia i frutti sperati, occorre che il protagonista (e prototipo) si congiunga con il dato drammatico, si sacrifichi realmente. Le pistole che con una scusa chiede in prestito ad Albert e con le quali si suicida (armi toccate da Lotte e dunque feticizzate e purificate) sono lo strumento per far coincidere Assoluto e Amore.
Anche Emma, è noto, ricorrerà al suicidio. Gesto preceduto dalla rovina: la reputazione che scema, i debiti che la travolgono, gli amori che fuggono. È un crescendo di emotività che mette a dura prova i suoi già fragili nervi. Ma davvero essa soffre di questa condizione che l´abbassa e l´umilia? A cosa le servirebbe un´onorabilità senza prospettive, un riconoscimento senza identità? Nella quiete di Yonville, Emma si vive come una figura opaca, intristita dalle attenzioni di Charles. Il medico è un uomo senza desideri, interamente appagato nella placida convergenza di cecità e candore. Egli ama, è vero, ma come si amerebbe una reliquia. La devozione per Emma ha qualcosa di superstizioso. Tanto Charles è l´uomo giusto nel posto sbagliato, quanto Rodolphe e Léon sono gli uomini sbagliati nel posto giusto. Ma che importa? Solo nella compromissione, nel dilatare della vergogna Emma ritrova l´ardore del rischio, la felicità di un gesto che insieme la spinge alla rovina e al trionfo. Ma gli amanti non parlano lo stesso linguaggio dell´eroina flaubertiana: sono pavidi, deboli, ipocriti, narcisisti. Sono infinitamente meno interessanti di Charles. Ma Emma li ha scelti per la loro immensa distanza da Charles. Li ha scelti perché un amore non ha mai nulla da donare veramente. Un amore, Emma ne è oscuramente consapevole, minaccia le regole stesse del desiderio.
La sola legge alla quale il desiderio può rispondere è il desiderio stesso. Se Emma si desse dei limiti finirebbe col negare ciò che la tiene in vita e che la spinge a rompere con Yonville. Lo spazio dell´amore nel quale si trova a suo agio non è anche lo spazio dell´altro. Quello di Rodolphe, di Léon e di Charles, per intenderci. Essi sono veri e propri fraintendimenti amorosi, e per questo corrispondono a una condizione più alta che la Bovary non può dichiarare: nell´amore si è sempre soli. Consegnato a questa segreta condanna lo spazio dell´amore non ha nulla di reale, è solo una metafora di tutto quanto Emma ha già vissuto attraverso i libri.
Per la nevrotica Madame Bovary – afflitta dalla noia e dal pianto, dal furore e dalla malinconia, la morte è un territorio che più che l´espiazione rappresenta l´estremo rilancio di ciò che essa è stata: la fragile e perdente scommessa che l´amore trionfi sulle convenzioni. Nel suicidarsi Emma pone fine all´idea che un soggetto possa impunemente desiderare. La lenta dissolvenza – tra i dolori causati dall´arsenico che si procura in casa del farmacista Homais – non restaura un ordine che in realtà non è mai stato minacciato né infranto. Colloca semplicemente questa eroina del nulla nel punto più esterno della storia, il solo a partire dal quale il racconto diviene possibile.

Antonio Gnoli,Le ideologie dell’amoreultima modifica: 2008-07-29T17:35:00+02:00da mangano1
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