Anna Simone, Il ciclone Foucault

da LIBERAZIONE 27/08/2008

Anna Simone, Il ciclone Foucault
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Quando, a partire dagli anni Sessanta, si diffuse in tutta Europa e poi anche in Giappone come negli Stati Uniti il ciclone Michel Foucault, nessuno avrebbe potuto prevedere la lungimiranza delle sue analisi sul funzionamento del potere, sulla sessualità, sulla follia e sul sistema penale

Quando, a partire dagli anni Sessanta, si diffuse in tutta Europa e poi anche in Giappone come negli Stati Uniti il ciclone Michel Foucault, nessuno avrebbe potuto prevedere la lungimiranza delle sue analisi sul funzionamento del potere, sulla sessualità, sulla follia e sul sistema penale. Disdegnato dal Partito comunista francese e dal Partito socialista dell’epoca per aver detto più volte che il disegno del potere e la negazione delle libertà era pressocchè identico, sia all’interno delle società capitalistiche che all’interno delle società socialiste (all’epoca il suo unico riferimento era ovviamente l’Urss) – pur prestando sempre attenzione ai rapporti di produzione e alla loro innegabile funzione nella definizione del potere e nei processi di sfruttamento -, questa “strana” ed inquieta figura non cessa mai di essere attuale.
Come fare, infatti, per leggere i dispositivi di sicurezza del presente, la persecuzione degli omosessuali e delle lesbiche, l’infamia della sostituzione del lessico dei diritti con quello della pena e dei processi di criminalizzazione di tutte le figure sociali che dissentono dalla norma, il ritorno del sette in condotta, la crisi delle Università e dei saperi liberi senza i suoi testi più importanti (da La Storia della follia a Sorvegliare e Punire , da Le parole e le cose all’ Archeologia del sapere sino alla Volontà di sapere etc.)? Foucault amava dire che il ruolo dell’intellettuale non è quello di dare indicazioni di voto, ma di svelare il funzionamento del potere, le forme di limitazione delle libertà individuali e collettive per apportare un suo contributo specifico alla politica, un contributo teorico-pratico. L’intellettuale, diceva Foucault, se davvero vuole porsi l’obiettivo di orientare alcune scelte politiche deve farlo sempre e solo a partire dalla volontà dei soggetti e non a partire dalle strategie messe in atto dai partiti per creare egemonia sui soggetti. Deve analizzare e pensare la società, deve porsi e porre delle domande, deve partire dai soggetti o dalle «soggettività non assoggettate» – come amava definirle lui -, deve indagare a partire dai margini e, contemporaneamente, a partire dalle istituzioni per svelarne le nefandezze. Inoltre questo lavoro avrebbe dovuto anche inventare delle pratiche quotidiane in grado di produrre movimenti, lotte, conflitti contro ogni forma di dominio.
E infatti Foucault non è stato affatto “solo” un grande accademico, anzi. Le sue ricerche storiche, genealogiche erano sempre intervallate da innumerevoli micro interventi sparsi su riviste e giornali (prevalentemente Le Nouvel Observateur e Il Corriere della sera ), da innumerevoli interviste, da due esperienze politiche militanti interessantissime, una più nota con il Gip (Gruppo di informazione sulle prigioni) e una meno nota con il Gis (Gruppo di informazione sulla sanità). Quest’ultimo gruppo nacque in Francia nel 1972 ad opera di alcuni medici impegnati nella lotta per la depenalizzazione dell’aborto accanto al Movimento di liberazione delle donne. L’11 ottobre dello stesso anno, infatti, Marie Claire, una ragazza di 17 anni compariva dinanzi al tribunale dei minori di Bobigny per aver abortito, un delitto allora punito dall’articolo 317 del Codice penale francese. Il processo, che si doveva svolgere a porte chiuse a causa della minore età dell’imputata divenne, invece, un momento pubblico accompagnato da un manifesto del Movimento delle donne attraverso cui in 400 dichiaravano di aver abortito e da un manuale pratico pubblicato dal Gis sulla demedicalizzazione dell’aborto e sulla necessità di diffondere il metodo dell’aspirazione (meglio noto come “metodo Karman”). Parallelamente, invece, Simone de Beauvoir e l’associazione Choisir redigevano un progetto di Legge che legalizzava l’aborto riconoscendo solo ed esclusivamente alla donna il diritto di scegliere. Foucault fu convocato dinanzi alla polizia giudiziaria e per denunciare l’evento scrisse un intervento (“Convocati alla polizia giudiziaria”) assieme ad altri due membri del Gis su Le Nouvel Observateur . Questo testo, insieme a moltissimi altri interventi sulla sessualità, sui movimenti omosessuali, sulla follia, sul diritto penale, sul potere e il ruolo degli intellettuali, sull’Urss e sulle prigioni, costituiscono la micro rete di un lavoro “disperso e mutevole” che prende corpo nei famosi Dits et écrits pubblicati per intero in Francia e in modo frammentato in Italia, un po’ da Feltrinelli negli Archivi Foucault e ora anche da Marietti in un bel volume curato da Mauro Bertani e Valeria Zini (Michel Foucault, Discipline, Poteri, Verità. Detti e scritti 1970-1984 , pp. 263, euro 25).
In quest’ultimo volume appena edito, infatti, che contiene anche il breve scritto “Convocati alla polizia giudiziaria” è possibile rintracciare almeno tre tra le molteplici linee tracciate da Foucault lungo l’arco di una vita appassionata ed intensa di cui vale la pena discutere sulle pagine di Liberazione : la sessualità, il diritto penale, il potere. Per quest’ultimo Foucault non ha mai inteso la classica teoria del potere che fa riferimento solo alla forma Stato bensì l’insieme delle relazioni che permettono agli uomini di governarsi all’interno della famiglia, della scuola etc. A suo modo per Foucault anche le relazioni d’amore sono delle relazioni di potere: «I genitori governano i figli, l’amata governa il suo amante, il professore governa gli alunni etc.». Tali micro società consentono al potere di attraversare qualsiasi relazione e qualsiasi individuo, il potere stesso è una relazione. La teoria classica del potere, invece, pensa di poter trasferire sulla famiglia, sulla sessualità, sulle condotte scolastiche etc. il proprio potere anche se la storia, dalla Grecia antica in poi, ci dice tutt’altro. Ci dice, infatti, che la nascita dello Stato ha utilizzato queste forme di potere già esistenti tra gli individui per poi istituzionalizzarle. Di conseguenza lo Stato non può che avere una matrice primigenia patriarcale, non può che stabilire ciò che è bene e ciò che è male, non può che intervenire sistematicamente, per il tramite delle sue istituzioni, sulle condotte degli individui. Accade nelle democrazie contemporanee così come è avvenuto durante il fascismo. Dice Foucault ne “L’intellettuale e i poteri” -intervista fattagli dalla Revue nouvelle nel 1984 – «I padri di famiglia tedeschi non erano fascisti nel 1930, ma, perché il fascismo potesse attecchire, bisognava anche prestare attenzione, tra molte altre condizioni -non dico che fossero le sole – alle relazioni tra gli individui, al modo in cui le famiglie erano costituite, alla forma in cui veniva impartito l’insegnamento, a un certo numero di presupposti di questo genere». Uno schema che potrebbe tranquillamente essere applicato oggi per riuscire a dirci, in tutta franchezza, che la forza di Berlusconi non consiste nella sua forma Stato ma nell’antropologia berlusconiana e cioè in un sistema di vacuo pensiero che attraverso le tv ha permeato la società mutandone desideri e bisogni nel profondo.
L’altro nodo centrale contenuto in questo volume appena edito da Marietti attraversa la critica del diritto penale e del sistema delle prigioni. Un sistema contenitivo che oggi più di ieri permea l’intera società a causa dei dispositivi di sicurezza e a causa di nuovi universi concentrazionari come i Cpt. La nascita dell’uso della pena, della prigione e di tutti gli universi concentrazionari lungi dall’essere la risposta più avanzata della razionalità politica costituiscono, per Foucault, l’evoluzione dell’idea di vendetta, una sorta di faida “buona”, senza omicidio. Perché ciò che sottende tutte le geografie dei codici penali non è tanto il diritto quanto un’idea tattica e strategica di un uso funzionale della pena? Un uso in grado di riuscire a riprodurre un’idea di società che mette al bando ciò che essa stessa produce, come, per esempio, la propensione a delinquere? Il filosofo francese, infatti, a più riprese dichiara in molti scritti contenuti nel volume di avere cominciato a studiare il diritto penale, sia durante la sua esperienza nel Gip, sia durante la stesura di Sorvegliare e Punire , salvo essersi immediatamente accorto della necessità di interpretarlo solo ed esclusivamente come una tattica, come una strategia messa a punto per esercitare delle relazioni di potere per il tramite delle prigioni. E allora perché, si chiedeva, non riflettere su altre esperienze di erogazione delle pene, come, per esempio, il sistema delle ammende adottato in Svezia? Perché continuare a pensare la razionalità politica solo attraverso il tramite delle strutture disciplinari e contenitive? Oggi la disciplina ha lasciato ampio spazio ad un’ideologia del controllo più diffusa e capillare, alla sicurezza, come abbiamo più volte scritto anche su queste colonne che, però, si pone in linea di continuità con la nascita delle prigioni. Tanto è vero che l’esito più grossolano di queste politiche diviene visibile attraverso i dati raccapriccianti concernenti il sovraffollamento delle carceri.
E infine la sessualità, o meglio il rapporto che intercorre tra sesso, sessualità ed identità. In alcune interviste rilasciate ad alcune riviste gay Foucault sottolinea come il grande tema non sia quello del rivendicare un’identità omosessuale da opporre alle altre bensì l’indispensabilità di costruire, di creare, di inventare un «divenire gay» intendendo con ciò la realizzazione di una forma di vita e di un sistema di pensiero in grado di produrre e di salvaguardare un’idea di libertà all’interno della società. Una libertà non discriminata e perseguitata. In poche parole chiedeva ai movimenti degli omosessuali, delle lesbiche e anche delle donne di non fermarsi al dire “chi sono”, ma di provare a cambiare la società con tutti i suoi apparati di norme istituzionalizzate e non, di farsi cultura non-identitaria. Una cultura scevra da qualsivoglia forma di cristallizzazione identitaria perché è il mondo stesso a mutare continuamente sotto i nostri occhi. E’ ovvio allora che la grande eredità foucaultiana vada rintracciata soprattutto nell’aver spostato l’asse dell’analisi classica dei marxisti dal capitale al potere, così come è ovvio che la sua tensione principale sia stata quella di ricercare le vie della libertà. Una libertà intesa come ricerca continua del piacere, anche di fare politica, una libertà intesa come pratica di resistenza perché, come scriveva lui, «si è liberi almeno finché si ha la possibilità di trasformare le cose». E quindi se vogliamo far nostro il pensiero di Foucault non possiamo più vedere la società “solo” come un rapporto di produzione dettato dal capitale. Dobbiamo altresì essere in grado di vedere tutti i luoghi e le relazioni di potere, tra cui la famiglia, la sessualità, le condotte, gli ordini gerarchici e via discorrendo. In fondo è ciò che ci chiede il presente. Il presente e non il ‘900.

Anna Simone, Il ciclone Foucaultultima modifica: 2008-08-27T15:51:00+02:00da mangano1
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