Massimo Tomassutti, Il nuovo ponte di Calatrava a Venezia

In divergente e umile opinione. Il nuovo ponte di Calatrava a Venezia

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Mica semplice – con tutta la pomposa e magnificente grancassa mediatica – provare a declinare alcune possibili, umili critiche al nuovo ‘gioiello’ architettonico veneziano: il quarto ponte sul Canal Grande dell’architetto catalano Santiago Calatrava. Già, per nulla facile provare ad esprimere alcune perplessità urbanistiche quando non sei propriamente un “addetto ai lavori”. Rischi di essere tacciato, se ti va bene, di passatismo ‘molmentiano’ (il vecchio senatore veneziano Pompeo Molmenti, “mastino di ogni ortodossia della venezianità” come l’ha definito in acute pagine lo storico Mario Isnenghi), o, se ti va male, di ‘cretinismo’ (alla maniera del Sindaco-Filosofo nostrano Massimo Cacciari). Eppure, a me questo ponte ‘non convince’. E mi pare del tutto naturale che a Venezia tutto ciò che innova il senso urbanistico ed architettonico sia destinato a ‘far discutere’. Non intendo qui dissertare della sua ‘utilità’ (che meriterebbe una trattazione a parte) o sui costi esorbitanti che la sua messa in opera ha comportato. No, qui intendo proprio discutere, umilmente ma con convinzione radicata, alcuni suoi canoni urbanistici in relazione alla secolare forma urbis veneziana. Il ponte costituisce indubbiamente una costruzione suggestiva, ma che, tuttavia, non ‘concorda’ affatto con il senso stesso della “Forma-Venezia”. Rappresenta, infatti, un elemento esterno che vale per sé stesso e che non tiene conto del singolare modo attraverso il quale la struttura urbana di Venezia si è sviluppata; una struttura dove prevale “l’urbanistica sull’architettura” (Sergio Bettini). E’ un’opera ancorata a punti definiti ed immobili di uno spazio urbano tridimensionale, imponendosi con la sua plastica individualità e contrastando così con la forma ritmica, unica di Venezia dove il “primum non è l’edificio singolo, ma ciò che lo lega agli altri in una continuità figurativa, che è il canale, la calle, infine, la città stessa” (Sergio Bettini, il grande storico dell’arte questo scriveva della ‘forma’ di Venezia). Ora chiedo dov’è la ‘continuità figurativa’ di tale costruzione? Forse l’architetto catalano con la sua opera ha immesso nella forma urbis veneziana l’”arbitrio” del proprio (nostro) Tempo: e perciò non ha capito la ‘lingua’ cittadina delle origini, ma l’ha ‘innovata’ tradendola.

Massimo Tomasutti

Massimo Tomassutti, Il nuovo ponte di Calatrava a Veneziaultima modifica: 2008-09-13T18:33:00+02:00da mangano1
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