Ulrich Beck,Il rischio nell’era globale

da LA REPUBBLICA, 22 settembre 2008

ULRICH BECK,conditio humana, il rischio nell’era globale
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segnalato da FEDERICO LA SALA ( “LA VOCE DI FIORE”)

Cosmologia… e cosmopolitismo. UmaNITA’….
LOCALE E GLOBALE: IMPARARE A PENSARE E A GUARDARE (E CON
DANTE E NON CON HOBBES) LA TERRA DALLO SPAZIO. Nulla di ciò che
accade nel mondo è un evento soltanto locale. Alcune pagine della “Conditio
humana. Il rischio nell’età globale” di Ulrich Beck – a cura di Federico La Sala
Il punto decisivo è che d’ora in poi il compito principale è la preoccupazione
per il tutto. Non si tratta di un’opzione, ma della condizione.
lunedì 22 settembre 2008.

[…] All’inizio del XXI secolo vediamo la società moderna con occhi diversi? e 435633140.jpg
questa nascita di uno “sguardo cosmopolita” fa parte dell’inatteso, dal quale
deriva una società mondiale del rischio ancora indeterminata. D’ora in poi
nulla di ciò che accade è più un evento soltanto locale. Tutti i pericoli
essenziali sono diventati pericoli mondiali, la situazione di ogni nazione, di
1005542767.jpgogni etnia, di ogni religione, di ogni classe, di ogni singolo individuo è anche
il risultato e l’origine della situazione dell’umanità. Il punto decisivo è che
d’ora in poi il compito principale è la preoccupazione per il tutto. Non si tratta
di un’opzione, ma della condizione. Nessuno lo ha mai previsto, voluto o
scelto, ma è scaturito dalle decisioni, dalla somma delle loro conseguenze,
ed è diventato conditio humana. Nessuno vi si può sottrarre. Si profila così un
cambiamento della società, della politica e della storia che finora è rimasto
incompreso e che già da qualche tempo indico con il concetto di “società
mondiale del rischio”. Quello che finora conosciamo è soltanto l’inizio […]
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Nel nuovo saggio “Conditio Humana” il sociologo approfondisce la tesi di
una società globale esposta a minacce impossibili da arginare
D’ora in poi nulla di ciò che accade nel mondo è un evento soltanto locale

OCCIDENTE A RISCHIO

Come cambia l’esistenza nel XXI secolo

La situazione di ogni singola etnia ci riguarda e -dobbiamo farcene carico

di Ulrich Beck *

Dal nuovo saggio di Ulrich Beck, “Conditio humana. Il rischio nell’età globale”
(Laterza, pagg. 416, euro 18), anticipiamo parte di un capitolo

Viviamo in una società mondiale del rischio, non solo nel senso che tutto si
trasforma in decisioni le cui conseguenze diventano imprevedibili, o nel
senso delle società della gestione del rischio, o in quello delle società del
discorso sul rischio. Società del rischio significa, precisamente, una
costellazione nella quale l’idea che guida la modernità, cioè l’idea della
controllabilità degli effetti collaterali e dei pericoli prodotti dalle decisioni, è
diventata problematica; una costellazione nella quale il nuovo sapere serve a
trasformare i rischi imprevedibili in rischi calcolabili, ma in questo modo a sua
volta produce nuove imprevedibilità, ciò che costringe alla riflessione sui
rischi. Attraverso questa “riflessività dell’incertezza” l’indeterminabilità del
rischio nel presente diventa per la prima volta fondamentale per l’intera
società, sicché dobbiamo ridefinire la nostra concezione della società e i
nostri concetti sociologici.

Nello stesso tempo la società mondiale del rischio genera una “spinta
cosmopolitica”, ad esempio nel confronto storico con l’antico cosmopolitismo
(Stoà), con lo jus cosmopoliticum dell’illuminismo (Kant) o con i crimini contro
l’umanità (Hannah Arendt, Karl Jaspers): i rischi globali ci mettono a
confronto con “l’altro”, apparentemente escluso. Essi abbattono i confini
nazionali e mescolano l’indigeno con l’estraneo.(…)

Entrambe le tendenze ? la riflessività dell’incertezza e la spinta cosmopolitica
? sono riconducibili a un meta-mutamento complessivo della “società” nel XXI
secolo:

a) le messe in scena, le esperienze e i conflitti del rischio mondiale
compenetrano e modificano i fondamenti della convivenza e dell’agire in tutti
gli ambiti, a livello nazionale e a livello globale;

b) dal rischio mondiale si può evincere la nuova forma di rapporto con le
questioni aperte, il modo in cui il futuro viene integrato nel presente, quali
forme assumono le società ad opera dell’interiorizzazione del rischio, come si
trasformano le istituzioni esistenti e quali modelli organizzativi finora
sconosciuti si creano;

c) ora, da un lato, vengono in primo piano i grandi rischi (non voluti), come il
mutamento climatico; dall’altro, l’anticipazione delle minacce di nuovo tipo
provenienti dagli attacchi terroristici (voluti) crea una costante aspettativa
pubblica;

d) si compie un mutamento culturale generale. Nasce un altro modo di
intendere la natura e il suo rapporto con la società, ma anche di intendere noi
e gli altri, la razionalità sociale, la libertà, la democrazia e la legittimazione ?
e perfino l’individuo. (…)

Il significato onnicomprensivo del rischio mondiale ha conseguenze molto
rilevanti, poiché ad esso si lega un intero repertorio di nuove
rappresentazioni, timori, paure, speranze, norme di comportamento e conflitti
di fede. Queste paure hanno un effetto collaterale particolarmente fatale: le
persone o i gruppi che diventano (o sono fatti diventare) “persone a rischio” o
“gruppi a rischio” sono considerati come non-persone, i cui diritti
fondamentali sono minacciati. Il rischio separa, esclude, stigmatizza. Si
formano così nuovi confini della percezione e della comunicazione ? ma
nello stesso tempo vengono anche compiuti sforzi che travalicano i confini
per risolvere problemi sottoposti per la prima volta a un’influenza pubblica. Di
conseguenza, la messa in scena del rischio mondiale dà luogo a una
produzione e costruzione sociale della realtà. Il rischio diventa così la causa
e il medium della riconfigurazione della società. Ed è strettamente connesso
alle nuove forme di classificazione, interpretazione e organizzazione della
nostra vita quotidiana, al nuovo modo di mettere in scena e di organizzare, di
vivere e di configurare la società in riferimento al presente del futuro.

Il salto dalla società del rischio alla società mondiale del rischio può essere
chiarito richiamandosi a due testimoni: Max Weber e John Maynard Keynes, i
classici della sociologia e dell’economia moderne. In Max Weber la logica del
controllo vince nel confronto moderno con il rischio, e vince in modo così
irreversibile che l’ottimismo culturale (Kulturoptimismus) e il pessimismo
culturale (Kulturpessimismus) vengono riconosciuti come due lati della
medesima dinamica. In forza del dispiegamento e della radicalizzazione dei
princìpi basilari della modernità, e in particolare della radicalizzazione della
razionalità scientifica ed economica, incombe un regime dispotico, come
conseguenza, da un lato, dello sviluppo della democrazia moderna e,
dall’altro, del trionfo del capitalismo orientato al profitto.

Speranza e preoccupazione si condizionano a vicenda: dal momento che le
incertezze e gli effetti collaterali imprevisti e non voluti prodotti dalla
razionalità del rischio non cessano di essere affrontati “ottimisticamente”
grazie a un incremento della razionalizzazione e della logica del mercato, la
preoccupazione di Weber non riguardava ? a differenza di Comte e Durkheim
? la mancanza di ordine e integrazione sociale. Egli non temeva il “caos delle
incertezze” (come Comte). Al contrario, egli vedeva e affermava che la sintesi
tra scienza, burocrazia e capitalismo trasforma il Moderno in una sorta di
“prigione”. Questa minaccia non emerge come un fenomeno marginale, ma
come conseguenza logica della razionalizzazione del rischio riuscita: se tutto
va bene, sarà sempre peggio. La razionalità strumentale depoliticizza la
politica e mina la libertà degli individui.

Allo stesso tempo, nel modello di Max Weber è contenuta un’idea che spiega
perché il rischio diventa un fenomeno globale, anche se non spiega ancora
perché esso dà luogo alla società mondiale del rischio. Secondo Weber la
globalizzazione del rischio non è legata al colonialismo o all’imperialismo,
cioè non è portata avanti con il fuoco e con la spada. Piuttosto, essa procede
lungo la via della coazione non coatta dell’argomento migliore.

La marcia trionfale della razionalizzazione si basa sulla promessa di
beneficio del rischio e sulla delimitazione a sua volta razionale degli effetti
collaterali, delle incertezze e dei pericoli ad esso collegati. È questa
autoapplicazione del rischio al rischio, finalizzata al perfezionamento
dell’autocontrollo, a globalizzare l'”universalismo”.

L’idea che proprio l’imprevisto, l’indesiderato, l’incalcolabile, l’inatteso,
l’incerto, reso permanente dal rischio, possa diventare la fonte di possibilità e
pericoli non anticipabili che mettono seriamente in questione l’idea-guida
della razionalità del controllo nel modello weberiano è un’idea impensabile.
Essa sta alla base della mia teoria della società mondiale del rischio. (…)

All’inizio del XXI secolo vediamo la società moderna con occhi diversi? e
questa nascita di uno “sguardo cosmopolita” fa parte dell’inatteso, dal quale
deriva una società mondiale del rischio ancora indeterminata. D’ora in poi
nulla di ciò che accade è più un evento soltanto locale. Tutti i pericoli
essenziali sono diventati pericoli mondiali, la situazione di ogni nazione, di
ogni etnia, di ogni religione, di ogni classe, di ogni singolo individuo è anche
il risultato e l’origine della situazione dell’umanità. Il punto decisivo è che
d’ora in poi il compito principale è la preoccupazione per il tutto. Non si tratta
di un’opzione, ma della condizione. Nessuno lo ha mai previsto, voluto o
scelto, ma è scaturito dalle decisioni, dalla somma delle loro conseguenze,
ed è diventato conditio humana. Nessuno vi si può sottrarre. Si profila così un
cambiamento della società, della politica e della storia che finora è rimasto
incompreso e che già da qualche tempo indico con il concetto di “società
mondiale del rischio”. Quello che finora conosciamo è soltanto l’inizio.

Ulrich Beck,Il rischio nell’era globaleultima modifica: 2008-09-22T19:03:00+02:00da mangano1
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