Livia Manera, Philiph Roth: la guerra,la morte e il sesso

dal CORRIERE DELLA SERA, 25 SETTEMBRE 2008

LIVIA MANERA
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LA NUOVA OPERA DELL’AUTORE DI NEWARK, «INDIGNATION», DIVIDE I CRITICI AMERICANI. MENTRE IN ITALIA STA PER USCIRE «EXIT GHOST»

La guerra, la morte, il sesso:
l’indignazione di Philip Roth
Il romanzo bocciato da Hitchens e promosso da Banville

Èil 1951, morto che parla. Con le budella squartate, una gamba amputata e l’inguine martoriato, il soldato semplice Marcus Messner è consapevole di essere stato ucciso su una collina coreana conquistata dalle truppe cinesi al grido di «indignazione», parola del loro inno nazionale che richiama gli affronti subiti dai giapponesi e che dà il titolo al nuovo romanzo di Philip Roth, Indignation. Ma che può sapere della morte un ragazzo di 19 anni? Quella che Marcus scambia per «afterlife» è soltanto l’agonia che precede il trapasso: un delirio indotto dalla morfina, in cui Marcus Messner, classe 1932, ebreo di Newark, intellettuale in erba figlio di un macellaio kosher, ripercorre con crudele lucidità la propria vita, in virtù di una sorta di condanna a riconsiderare in perfetta solitudine i propri errori. Altro che Giudizio Universale, questo è un dannatissimo Giudizio Personale. E per fortuna non è eterno. Ciò che aMarcus sembra l’eternità dura solo qualche attimo. Tra poco sarà morto. Sono alcuni anni che Philip Roth mette a confronto i protagonisti dei suoi romanzi con l’imminenza della morte e l’impossibilità di prepararvisi nonostante gli avvertimenti.

È ciò che avviene in Everyman, in cui il personaggio principale se ne va durante un’operazione di minore importanza. Ed è ciò che accade in Exit ghost (in uscita il 30 settembre in Italia da Einaudi), malgrado il protagonista, Nathan Zuckerman, stia riscoprendo la vita a settant’anni. In questo nuovo romanzo breve appena uscito negli Stati Uniti, invece – il terzo, in tre anni — Roth decide di spingersi oltre e attraversare l’Acheronte. E cosa scopre, da ateo angosciato e beffardo quale è? Scopre che ad attenderci sulla soglia della fossa è una risata nel buio: la «terribile, incomprensibile» verità che sono «le scelte più banali, casuali e persino comiche, a dare risultati fuori da ogni proporzione ». Si vive per degli ideali, per l’amore e per la conoscenza. E si muore per un’aspirina. È quello che in un certo senso capita a Marcus Messner in Indignation, un romanzo contenuto nella misura ma non nelle ambizioni, che pur avendo l’intensità e l’efficienza di una tragedia greca, ha sollecitato pareri discordi: stroncato come «una tempesta in un bicchier d’acqua» da Christopher Hitchens sull’Atlantic, è stato chiamato «un capolavoro » sul Financial Times da un critico sottile e severo come John Banville, per il quale addirittura «pochi romanzi di Roth si possono dire altrettanto ricchi di fascino e passione»; mentre sul New York Times una vecchia nemica di Roth, Michiko Kakutani, si è accontentata di lamentarsi che le ambizioni e gli obiettivi di Indignation siano assai più modesti di quelli della famosa trilogia post bellica di Roth (Pastorale americana, Ho sposato un comunista e La macchia umana): «Questa è una storia che si legge come uno scherzo macabro. Uno scherzo che Roth sa rendere con consumata abilità e un paio di tocchi di bravura, ma che alla fine non costituisce un vero e proprio romanzo».

Tutti concordano invece sul fatto cheMarcusMessner sia un personaggio con la statura drammatica della vittima sacrificale. Marcus è un ragazzo serio, studioso, probo ed educato. Sa che lamigliore possibilità di cavarsela, se sarà mandato a combattere in Corea, è legata all’affrontare quella guerra da ufficiale (due suoi cugini sono morti fanti nella Seconda Guerra mondiale). E per ottenere quei gradi che potrebbero significare la salvezza, gli occorrono ottimi voti e almeno tre semestri di studi di Scienze Militari. Cose che per un secchione come Marcus sarebbero a portata di mano, se una di quelle «scelte banali, casuali e persino comiche» che sono capaci di scatenare dei cataclismi, non provocasse la sua espulsione dal college. Il resto è un incubo che si avvera: fanteria, Corea, morte. Morte che adombra la sua vita fin dalle prime pagine del libro: fin da quando, cioè,Marcus frequenta l’ultimo anno di liceo nella scuola di una cittadina «operosa, tosta, corrotta e mezzo xenofoba» come Newark, la piccola città industriale del New Jersey dove è cresciuto lo stesso Roth e dove lo scrittore ha allevato gran parte delle sue creature romanzesche. Marcus non è solo un ragazzo prudente e responsabile. È anche incorruttibile. E sarebbe il primo della sua famiglia a raggiungere il traguardo della laurea se il suo devotissimo padre—forse perché ha le mani sporche del sangue delle bestie che squarta da quando aveva dieci anni; forse perché è appena finita una guerra e ne è appena cominciata un’altra — non temesse in modo nevrotico per la vita del figlio e si mettesse a controllarne ogni mossa, fino a esasperarlo. Marcus non ha scelta, se ne deve andare da casa. S’iscrive a un college dell’Ohio, studia come un forsennato, evita la compagnia degli altri studenti, e si arrocca in un castello di certezze che gli crollano una per una addosso la prima volta che esce con una ragazza, e quella gli regala una fellatio coi fiocchi.

L’inferno è cominciato e Portnoy è ritornato. Anche perché, nel 1951, i rapporti sessuali completi tra studenti non si sognano nemmeno, e di conseguenza, come direbbe Aldo Busi, «è tutto un gran seminare»: in macchina, nei calzini e persino nel letto d’ospedale dove Marcus si riprende da un’appendicite, amorevolmente assistito dalla mano esperta di Olivia Hutton, la ragazza della fellatio: una diciannovenne bellissima, sofisticata, figlia di divorziati (e pertanto esotica come un’orchidea, per un ragazzo come Marcus che viene da un mondo dove divorziare o possedere un cane sono due cose egualmente inconcepibili), che nasconde una natura tormentata e suicidaria. Non vi riveleremo come, a partire dalla fellatio di Olivia, ogni azione e ogni parola pronunciata da Marcus lo condurranno al destino di essere l’unico ragazzo del suo corso a cadere in Corea. Vi diremo solo che l’indignazione che dà il titolo a questo romanzo (e infiamma da qualche anno anche la coscienza politica dell’autore) è allo stesso tempo la conseguenza e la causa di tutto il male che gli accade. Indignazione di Marcus nei confronti della bigotteria del college e del suo corpo dirigente; indignazione per il continuo affronto alla propria libertà di pensiero; ma anche indignazione del presidente del college, che dopo un devastante raid degli studenti maschi nei quartieri delle femmine (al grido di «Mutande! Mutande! Mutande!»), li riunisce per tuonare contro di loro: «Avete la più pallida idea di quanto siete privilegiati ad essere qui a guardare le partite di football… invece di stare laggiù a prendervi delle pallottole in corpo?». Era l’inverno del 1951 e alla fine della guerra di Corea mancavano due anni e quattro mesi. Oggi è l’autunno del 2008, 150 mila soldati americani sono stanziati in Iraq, e il campionato di football sta per cominciare.

Livia Manera, Philiph Roth: la guerra,la morte e il sessoultima modifica: 2008-09-26T00:16:00+02:00da mangano1
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