Tonino Bucci, Basaglia e la filosofia del 900

DA Liberazione, 10 dicembre 2008
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Tonino Bucci
Il Sessantotto, checché se ne dica, una rivoluzione l’ha fatta

Il Sessantotto, checché se ne dica, una rivoluzione l’ha fatta. Si chiama
Basaglia. La legge 180 dà fastidio a molti ancora oggi. L’accusa più morbida
che si possa sentire è che Basaglia, criticando la psichiatria finì con il cadere
nell’antiscienza e nell’irrazionalismo. Se ne parlerà oggi nel convegno
“Franco Basaglia e la filosofia del ‘900” con Eugenio Borgna, Mario Colucci,
Romolo Rossi, Massimo Recalcati, Ota De Leonardis, Alessandro Dal Lago,
Carlo Sini e Pier Aldo Rovatti (Milano, via Festa del Perdono 7, aula Crociera
Alta, dalle 9 alle 17). Cosa è vivo, cosa è morto della svolta basagliana? Lo
chiediamo a Massimo Recalcati, psicoanalista e docente di psicopatologia tonino1.jpg
del comportamento alimentare.
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Cosa c’è che non funziona nella 180 e cosa continua ancora oggi a
funzionare?
La battaglia di Basaglia contro l’istituzione del manicomio è stata anche una
battaglia svolta all’interno della psichiatria, contro la psichiatria, ovvero contro
il suo ruolo sociale di difesa della società dal folle, dal deviante, dal pazzo. La
chiusura dei manicomi è stato un atto giusto di soppressione di istituzioni
tanto violente, oscene e brutali quanto inutili ai fini terapeutico-riabilitativi. Ma
Basaglia era preoccupato per il futuro della psichiatria e del trattamento della
malattia mentale dopo l’approvazione della Legge. Il suo ragionamento non è
mai stato: poiché la malattia mentale non esiste ma è solo il prodotto del
manicomio se chiudiamo il manicomio risolviamo per sempre il problema
della malattia mentale. Per Basaglia l’abolizione dei manicomi significa
piuttosto l’assunzione di una nuova responsabilità da parte delle istituzioni
per promuovere una logica alternativa di intervento rispetto a quella
disciplinare e segregativa; una logica reticolare, frammentata, indebolita. La
battaglia culturale e politica auspicata da Basaglia all’indomani
dell’approvazione della Legge 180 è ancora da giocarsi.

Si accusa Basaglia di aver negato che la psichiatria è una scienza. E’
davvero così?
In realtà Basaglia rifiutò sempre di considerarsi un antipsichiatra, anzi egli
rivendicò il suo far parte della psichiatria. Il rifiuto dell’antipsichiatria e il rifiuto
nei confronti di una esaltazione ideologica della follia si spiegano
considerando l’atteggiamento di fondo di Basaglia: cambiare dall’interno la
psichiatria, produrre una rivoluzione nel discorso della psichiatria, nella sua
stessa identità e nelle sue istituzioni. Se si rileggono gli scritti di Basaglia si
resta colpiti da un movimento di cesura che li attraversa. Sino alla metà degli
anni sessanta è un giovane psichiatra di impostazione fenomenologica che si
occupa da psicopatologo della malattia mentale con la preoccupazione
vivissima di salvaguardare la soggettività del malato di fronte alla violenza
del sapere psichiatrico e della sua attitudine a ricoprire la dimensione più
misteriosa e dunque più particolare dell’essere umano con un uso anonimo e
oggettivante delle categorie nosografiche. Basaglia avvertiva allora la
necessità di operare una sospensione, una epoché, di tutte queste categorie
sclerotizzate per poter ridare parola al paziente. Dalla metà degli anni
sessanta il protagonista dei suoi scritti cambia; non è più la soggettività
sommersa del paziente e il suo essere ridotto ad oggetto da un uso reificato
del linguaggio psichiatrico ma è il manicomio come istituzione capace di
produrre un soggetto alienato. Esso non rappresenta solo un’istituzione
disciplinare brutale che distrugge la soggettività degli internati ma è anche
l’espressione del carattere ideologico della psichiatria che, attraverso il
manicomio, risponde all’esigenza di ordine sociale della borghesia
confinandovi coloro che deviano dalla norma stabilita dalla ragione. Si
consuma qui il passaggio dalla fenomenologia al marxismo. E’ necessaria
una strategia politica più articolata e più radicale che investa la struttura
stessa del potere psichiatrico, cioè il manicomio. Ma il motivo di fondo
dell’insegnamento di Basaglia è sempre stato un motivo umanistico: salvare
l’uomo dall’alienazione, liberare la soggettività dalla prigione del
sapere-potere.

La follia non è malattia. L’analista deve restare in ascolto dell’altro e
spogliarsi d’ogni certezza. E’ questo l’aspetto più attuale di Basaglia?
Indubbiamente di fronte alla avanzata recente della cosiddetta psicologia
scientifica, vedi, per esempio, le terapie cognitivo-comportamentali e delle
sue nuove tecniche di addestramento disciplinare del soggetto, l’appello di
Basaglia all’importanza dell'”incontro” con il paziente, al rifiuto di trattamenti
coercitivi, alla valorizzazione dell’ascolto della parola e della storia del
paziente, alla critica nei confronti di un uso difensivo e violento delle
categorie diagnostiche, ma soprattutto la sua problematizzazione dialettica
della nozione di confine, di confine tra normalità e anormalità, tra razionalità e
irrazionalità, tra corpo individuale e corpo sociale, tra soggetto e istituzione,
laddove ritiene che questo confine non può funzionare da barriera, non deve
servire cioè a definire solo delle identità chiuse, separate le une dalle altre,
ma deve essere in grado di rendersi permeabile a transiti differenti, ebbene
tutta questa problematica ha un respiro etico tale da apparire ancora oggi
come una riflessione di grande valore e non solo nel campo della clinica. La
questione basagliana del confine pone il problema di come iscrivere la libertà
individuale in una comunità che non operi per esclusioni del diverso ma per
la via della sua integrazione.

Basaglia contesta la scienza in quanto legittimazione ultima del manicomio.
C’è affinità con il gesto etico di Lacan contro il “soggetto presunto sapere”?
Basaglia e Lacan hanno lavorato negli stessi anni ma si sono più o meno
ignorati. E sarebbe prezioso ricostruire un possibile dialogo tra questi due
grandi figure della storia della psichiatria e della psicoanalisi. E se
provassimo a ricostruire questo dialogo mancato potremmo notare che
esistono diversi motivi comuni. Uno tra questi è la critica non tanto alla
scienza in quanto tale, ma alla sua degenerazione scientista,
disumanizzante, violenta, segregativa. Per Basaglia e per Lacan la
dimensione particolare della soggettività è ciò che più conta. Con una
precisazione però; la soggettività di cui entrambi parlano non coincide affatto
con l’individualità chiusa su se stessa, con l’interiorità psicologica, di cui una
certa psicoanalisi dopo Freud ha fatto l’elogio. Un altro motivo comune è
anche la critica radicale alla versione “borghese”, direbbe Basaglia, della
psicoanalisi. Quella versione che isola e separa astrattamente il mondo
interno dal mondo esterno, l’individuale dal sociale, e che pone come
obbiettivo di una cura psicoanalitica l’adattamento acritico del soggetto al
principio di realtà, all’ordine stabilito, al mondo così com’è, spegnendo di fatto
ogni slancio creativo e ogni prassi capace di realizzare trasformazioni.

Tonino Bucci, Basaglia e la filosofia del 900ultima modifica: 2008-12-10T22:05:00+01:00da mangano1
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