Maria Vittoria Vittori, Le donne di Alice Munro

da LIBERAZIONE, 7 GENNAIO 2009
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Maria Vittoria Vittori
Non c’è nessuno come Alice Munro che sappia scrutare così a fondo nei rapporti personali, in quell’ambiguo retroterra di sentimenti che facciamo fatica ad ammettere persino a noi stessi e rappresentarlo in storie di una luminosa, lacerante intensità

Non c’è nessuno come Alice Munro che sappia scrutare così a fondo nei rapporti personali, in quell’ambiguo retroterra di sentimenti che facciamo fatica ad ammettere persino a noi stessi e rappresentarlo in storie di una luminosa, lacerante intensità. Così succede, anche e soprattutto, nei racconti che compongono Le lune di Giove Einaudi (pp. 288, euro 19), una delle sue raccolte più belle ambientata nella familiare regione dell’Ontario. Qui le protagoniste sono colte in momenti di transizione e di svolta; in questo modo la scrittrice si riserva la possibilità di indagare su tutte le fasi e le articolazioni della loro vita intellettiva e amorosa su cui indubbiamente gli uomini esercitano un’influenza forte e spesso condizionante: mai, però, decisiva.

La sensazione curiosa che si insinua a lettura ultimata è che ognuna di queste donne rappresentate in età diverse e talvolta assai distanti – daimaria1.jpg quattordici ai novant’anni – sposate, divorziate, riaccoppiate, con un corredo più o meno numeroso di figli, conservano dentro di sé qualcosa di irriducibile alla vita di coppia e, in senso più esteso, alle relazioni personali. C’è in loro come un fondo di zitellaggine, termine a cui la Munro si premura di togliere ogni residuo di avvilente connotazione : ed è proprio sotto questa insegna che si apre il libro, raccontando in “I Chaddeley e i Fleming” le cugine materne e le zie paterne della protagonista ovvero un folto gruppo di donne nubili fortemente dissimili fra loro. Mentre infatti le cugine materne, tra le quali spicca Iris, si precipitano nella vita di slancio, esponendosi certo al rischio di ammaccature, ma curandosi poi con dosi massicce di immaginazione e cordialità, le zie paterne, che vivono in una cascina isolata, sono talmente incastrate in sé stesse da essere al riparo da ogni ammaccatura esterna ma pure da ogni brivido di vita. E’ il primo modo di essere zitella che affascina: e non solo la protagonista del racconto – che irritata dai commenti del marito, avvocato figlio di avvocati, sull’esuberanza chiassosa della zia Iris, gli scaglia come nelle comiche una torta in faccia – ma anche la scrittrice. Che infatti declina la prerogativa del saper essere sola o dell’imparare a esserlo, in diverse modalità.

Alcune delle sue donne come Lydia di “Dulse” e Roberta di “Festa di fine estate” stanno attraversando una crisi profonda perché si sono accorte di aver dato uno spazio – e dunque un potere – eccessivo al proprio partner. Certo l’età non le aiuta: è a quarant’anni che il corpo comincia ad emanare segnali allarmanti, ma non è solo questo il punto: queste donne, tutte e due separate e riaccoppiate sono consapevoli di aver rinunciato, fin dalla giovinezza, a quel tipo di amore amministrato da altri che era stato appannaggio delle proprie madri ed essersi avventurate in quel territorio minato dove l’amore bisogna «inventarlo e reinventarlo ancora» e dove, soprattutto, il gioco della seduzione e quindi del potere travestito continua ad oltranza, risultando intollerabile. Che fare? Forse il fatto di scoprire, o riscoprire un’opportuna dose di zitellaggine sarà d’aiuto. E’ quello che dimostra il magnifico racconto “Bardon, autobus n. 144” in cui Kay esordisce affermando di pensarsi «come un’anziana signorina, di un’altra generazione» e racconta poi di un suo amore tormentato, della perdita di questo amore e, dopo lunga macerazione, della necessità vitale di tornare a pensarsi signorina. Effetto dello stile incisivo e luminoso della Munro – reso in un splendido italiano dalla traduttrice Susanna Basso – è l’esatta rappresentazione dell’alchimia delle componenti: una fitta di dolore segreta, inaspettata e poi un senso di leggerezza. Che non è solo sollievo, ma una forma di piacere. «E’ il piacere di riconsiderare dal principio tutto ciò che esiste di contraddittorio, persistente e irriducibile nella vita».

In questa prospettiva la figura più paradossale è senz’altro quella di Frances, insegnante di musica ormai trentenne che avvia una relazione clandestina con un collega sposato. Con un epilogo a sorpresa: perché dopo un evento luttuoso (l’incidente, che dà il titolo al racconto) lui lascerà la moglie e si sposerà con Frances, andando a vivere lontano. Tornata al suo paese dopo trent’anni, la donna constata con un misto di fascinazione e di orrore che quella rivoluzione avvenuta nella sua vita – un marito, due figlie, il trasferimento – non ha avuto poi conseguenze così rilevanti: dentro di sé è la Frances di una volta destinata, in vecchiaia, al supremo egoismo di sua madre.

Non ci sono figure di madri canoniche o canonizzabili in questi racconti, né potrebbero esserci, se è vero che le madri, prima di essere tali, sono donne precipitate nella vita e che quindi ne subiscono gli inevitabili contraccolpi. Se la protagonista di Le lune di Giove si offende con suo padre, ora gravemente malato, perché le ha confessato di non ricordare l’infanzia dei figli, lei stessa deve però ammettere che anche l’infanzia delle sue figlie è avvolta da una nebbia; né, del resto, il loro presente le risulta più chiaro. Come ci si salva dallo smarrimento? Anche così: da sola, dentro un planetario, guardando le costellazioni. Ripetendosi i nomi mitologici delle lune di Giove. E non solo lei, ma anche le altre mostrano di credere, nonostante tutto, al potere delle parole: canzoni gioiose e spavalde, vecchie poesie, frammenti di letture appassionate, echi di ininterrotte riflessioni. Depurate, come in questi racconti, da ogni dimensione elegiaca le parole offrono compagnia, suggeriscono possibilità. A volte danno chiarezza, altre volte perturbano, comunque portano acqua al piccolo orto interiore di zitella.

07/01/2009

Maria Vittoria Vittori, Le donne di Alice Munroultima modifica: 2009-01-07T18:25:00+01:00da mangano1
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