S.Piro,La favolosa pazzia dei sotterranei di Napoli

da LIBERAZIONE, 9 gennaio 2009
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E’ scomparso mercoledì lo psichiatra napoletano Sergio Piro. Uno stralcio da un suo intervento del 2001

Vi racconto la favolosa pazzia
dei sotterranei di Napoli
Per questa relazione, che spero riesca breve, ho tratto il primo materiale di ispirazione dal libro di Nora Puntillo, Grotte e caverne di Napoli , edizioni Newton Compton, oltre che dalla nostra frequentazione ed amicizia. Dunque, nel suo libro Nora Puntillo parla del sottosuolo biologico di Napoli e io dovrei parlare del sottosuolo antropologico, cioè psicologico-collettivo, linguistico, doxico e ideologico, demologico, insomma culturale, di Napoli. E delineare questo quadro: Napoli come luogo oscuro e infernale sospeso fra luce e oscurità. Si tratta fin troppo palesemente di una metafora ma anche di una metafora storicamente limitata, una metafora di derivazione in parte psicoanalitica e in parte psico-sociologica. E’ vero, Matilde Serao ha parlato del “ventre di Napoli”, ma lo ha fatto in un’accezione completamente diversa, con un’intenzionalità politica e sociale di altro tipo. Oppure bisognerebbe parlare di un sottosuolo pagano, di una vocazione miracolistica dei napoletani, dei miracoli di San Gennaro o dei fantasmi – che sono molti – che in genere stanno nei palazzi e nel sottosuolo? Si potrebbe fare tutto questo, ma non si tratta affatto di una specificità demologica e la specificità napoletana incontra male la ricerca scientifica perché si dissolve immediatamente, lascia più facilmente ai letterati, ai poeti, una descrizione immediata. Io cercherò di seguire un percorso verso tale s1.jpgspecificità; ma è un percorso che è un po’ indiretto, naturalmente (…).

Ecco, allora, c’è una specificità: qualcosa avranno pure questi sotterranei. E io vorrei riprendere l’esperienza psichiatrica, discorso meno personale e più formalizzabile, e ricordare appunto questo lavoro fatto a Napoli. E vorrei dire qui – in parte per vanità, in parte per necessaria informazione – che il lavoro psichiatrico non ha senso alcuno se non è contemporaneamente e in modo connaturato un lavoro di ricerca antropologica, di psicologia individuale e collettiva, di linguistica diacronica e di linguistica statistica, di antropologia culturale e di sociologia, di demologia in generale: non esistono le scienze umane s2.jpgseparate le une dalle altre, tranne nelle loro articolazioni nomotetiche, di ricerca, di statistica.

L’esperienza di cui io voglio darvi qualche cenno nasce proprio così, dovete pensarla in manicomi del napoletano negli ultimi 40 anni, però sempre in situazioni che si vanno aprendo non verso forme di maggiore libertà e umanità dentro l’istituzione, ma verso il tentativo di mandar fuori la gente (…).

Quando nel 1975 vado a dirigere un piccolo manicomio di Napoli che si chiamava Ospedale Psichiatrico del “Frullone” – Frullone è un toponimo – si inizia questa grande politica di dismissione: io l’ho chiuso nel ’99 con molto ritardo, mentre l’altro grande manicomio cittadino è tuttora aperto. La prima cosa è di dimettere le persone impropriamente ricoverate e scopriamo che ci sono 10 ragazzine minorenni che sono ricoverate tutte non perché pericolose per sé e per gli altri ma, come la legge italiana dettava – che si abolì per fortuna – perché di pubblico scandalo, cioè perché avevano di quelle che allora venivano ritenute irregolarità o eccessi nella condotta sessuale. Io chiamai tutte le madri – ne vennero 9 – spiegai loro la situazione, fu difficile far capire loro perché i padri rimasero fuori, e alla mia spiegazione la risposta fu di un tipo singolarissimo. Erano 9, 5 erano del centro cittadino di Napoli, dei quartieri Sanità e Quartieri Spagnoli, città antica e centro storico, e una di loro mi disse: «Direttore, ma voi state dicendo che noi le abbiamo ricoverate non perché sono pazze ma perché sono puttane?». «Sì» – dissi io; «Allora ce le portiamo via», «E – dissi – se i mariti protestano?». «No, non vi preoccupate, ce le portiamo via». Le quattro che vivevano in zone che sono comune di Napoli o comuni immediatamente successivi dissero: «No, queste sono malate! Se voi le cacciate fuori noi vi denunciamo!». Un’opposizione enorme. Fu clamoroso il fatto che 5 del centro di Napoli capirono il problema, lo espressero in termini rozzi ma capirono che era un problema femminile perché poi avrebbero loro difeso le figlie dall’aggressione del padre geloso ecc, mentre le altre 4… Allora voi dite: al centro di Napoli sono greci e fuori sono osco-sanniti? No, non è così, anche se io pensai che le 5 fossero greche mentre le altre 4 osco-sannite – i sanniti erano duri: ma è una proiezione storica, non è la verità.

I trans… Un giorno venne da me, mandata dall’Istituto di medicina legale, una donna – io dico – un transessuale il quale dopo molto tempo e con molto sacrificio era riuscito ad avere delle iniezioni di silicone per far venire un seno, o quello che sembrava tale; ma uno di questi due seni era marcito e si era dovuto asportare. Il problema era appunto di riconoscere questo danno al pari e come – e così io attestai all’autorità giudiziaria – se una donna avesse perduto un seno, perché questa persona lo aveva desiderato in tutta la sua infanzia, nella sua adolescenza e infine, racimolati i soldi, ottenuto. Parlando della sua vita mi disse: «io vado a lavorare alle otto di sera – lavorare significa vestirsi, truccarsi e andare a fare la prostituta perché i trans, almeno in quel periodo, altro mestiere non potevano fare – però fino alle 8 di sera nel mio quartiere – che era sotto il Ponte della Sanità – la mattina faccio un po’ di spesa e di servizi per me, il pomeriggio vado a casa delle mie amiche e cuciamo, lavoriamo all’uncinetto, ci guardiamo i figli e la mia amica mi fa cucinare».

L’esperienza era questa: la convivenza delle donne per bene, sposate, con un transessuale, che dovrebbe essere il massimo del rifiuto della mentalità conservatrice. Questa tolleranza del centro cittadino mi è stata confermata anche da altri ricercatori. La dismissione – cioè smantellamento – dei manicomi significò l’inizio della dimissione dei pazienti, dei malati mentali – io devo dire che il centro di Napoli accoglie ancora i malati mentali meglio di quanto abbiano fatto Milano e Torino, tanto per dare due esempi alternativi. A piazza Plebiscito, che è stata liberata dalle macchine, è stata resa una piazza turistica, importante ecc, c’è il porticato della chiesa di Paola: lì da un po’ di tempo alcune delle botteghe sono state date al locale Centro di Salute Mentale, che accoglie la “bottega della follia”, che però è molto frequentata anche da gente dei quartieri popolari vicini e questo permette anche, a quelli che di noi ritengono si debba continuare in questa via, di fare una prima, attiva azione di “self-help”, cioè di istigazione alle persone sofferenti psichiche di andare dagli psichiatri solo quando è strettamente necessario e invece di auto-organizzarsi in forma di associazioni, sia per la tutela dei loro diritti – comunque e dovunque anche nella civilissima Italia del post-Basaglia – sia per la possibilità di scegliere la cura che l’essere insieme determina, o anche la necessità dello specialista.

Sto per concludere ma, a questo punto, le idee sono piuttosto confuse perché si sono capovolti molti punti: intanto, nella mia vita personale i sotterranei di Napoli sono un qualche cosa che ha positività; poi, questa violenza cittadina enorme. Giorgio Bocca dice che i napoletani sono molto cattivi: io personalmente penso che sia una situazione molto diversa perché poi, in certe occasioni, i napoletani sono molto buoni. E forse il punto è questo: se andiamo a vedere più da vicino, risulta che anche la presenza di “bravi”, di “guappi”, di “malommi”, di camorristi, ecc. non è poi molto diversa da tutte le grandi città del mondo conosciuto; non c’è una situazione di imposizione molto maggiore, c’è magari qualche situazione di inefficienza più evidente.

Allora viene fuori un punto di diversità: il sottofondo forse non va cercato né nelle vicende di costume né nel modo in cui la gente appare, perché sono tutte definizioni che sfuggono (…). Secondo me è questo che fa di Napoli un luogo oscuro e infernale, sospeso tra luce e oscurità: le sue caverne e i suoi sotterranei hanno invece portato alla città materiale di costruzione, acquedotti buonissimi, ricoveri contro le bombe, basi di lotta per la libertà. Le caverne e le grotte di Napoli sono state spesso una risorsa grande e una benedizione; l’infrastrato scuro e infernale di Napoli è il vortice che attira la sua gente verso il passato e verso la rassegnazione.

Per questa città se c’è una luce è quella del futuro.

09/01/2009

S.Piro,La favolosa pazzia dei sotterranei di Napoliultima modifica: 2009-01-09T23:14:00+01:00da mangano1
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