P.Luigi Battista, Baruffe nostrane

dal corriere della sera , 14 gennaio 2009

Baruffe nostraneP..jpg

di Pierluigi Battista

Bernard-Henri Lévy
II veri palestinesi sono moderati

Ma è possibile svilire una crisi internazionale nelle beghe della provincia
italiana? È possibile rimpicciolire la tragedia umanitaria di Gaza alle baruffe
politiche italiane, alle rese dei conti nel cortile di casa, alle rivalità che
fioriscono all’ombra delle nostre redazioni e negli angoli dei palazzi romani?
Se questo accade, come accade, è un vero peccato.
Peccato perché è difficile trovare la strada giusta in un conflitto dove le
ragioni e i torti non sono purtroppo concetti astratti e disincarnati. In una P1.jpg
guerra che travolge fatalmente ogni confine tra la dimensione militare e
l’esistenza di centinaia di migliaia di civili, tra l’incubo dei razzi Qassam che
Hamas lancia sulle città di Israele e il terrore che attanaglia la gente di Gaza
in balia dei soldati israeliani. Ci si accosta a quella guerra con timore e senza
iattanza. Lo sappiamo al «Corriere», dove la comprensione per le ragioni di
Israele non ha messo a tacere le voci critiche nei confronti del governo
israeliano, da Amos Oz a Saeb Erekat, uno dei principali negoziatori
palestinesi, allo scrittore franco-algerino Yasmina Khadra.
È sorprendente, perciò, che per spirito di baruffa polemica, il «manifesto»
P2.jpgfaccia nomi e cognomi di una pattuglia di editorialisti «pasdaran », deprecati
come soldati della penna «allineati e coperti » sulla linea degli «aggressori »
israeliani. Una legittima critica politica, beninteso, che tuttavia, visto il
contesto, dovrebbe pur porre ai colleghi del «manifesto » il problema di
interpretazioni, per così dire, molto più «radicali» e sbrigative. Come è
sintomo di un’incoercibile inclinazione alla rissa la reiterata attitudine del
Massimo D’Alema di questi giorni ad accompagnare le sue pur interessanti
analisi con battute rancorose sulla «rozzezza propagandistica di certi
editorialisti nostrani » e sulla «tv italiana che è di fatto un bollettino israeliano
».
Giudizi sommari, pronunciati con una verve bellicosa in singolare contrasto
con la compostezza che, su diversi fronti, stanno conservando il ministro
Frattini e tutti, ma proprio tutti gli altri esponenti di spicco del Partito
democratico. Parole, queste sì, dall’inconfondibile sapore «nostrano»: mentre
il mondo discute del pericolo iraniano o della posizione del presidente eletto
Obama, noi invece veniamo investiti da una piccola polemica casalinga,
come se il dramma mediorientale si confacesse ai toni adoperati nelle
guerricciole che dilaniano il Pd campano.
Rifiutando la rissa, e riflettendo sul D’Alema che equipara l’intervento in
Israele a Gaza a una sproporzionata «spedizione punitiva», sarà invece il
caso di fare attenzione ai conteggi (s)garbati di Andrea Marcenaro che sul
«Foglio», commentando le osservazioni dalemiane secondo cui «non si può
definire guerra un conflitto in cui muoiono 900 persone da una parte e 10
dall’altra», ricorda gli oltre 500 civili periti nelle scuole, negli ospedali, nelle
ambasciate, negli autobus, nelle redazioni tv, nei treni, nelle carceri durante i
«78 giorni di bombardamenti Nato» sulla Serbia e sul Kosovo nella guerra
del ’99 notoriamente condivisa dallo stesso D’Alema: 500 vittime contro zero.
Per meditare sugli orrori e gli squilibri di ogni guerra, anche di quella più
«giusta», e per non disperdersi, attratti dalle ossessioni del cortile, in piccole
diatribe «nostrane». Meno cruente, per fortuna.
Bernard-Henri Lévy
II veri palestinesi sono moderati

Tralasciamo il «Morte agli ebrei» su alcune bandiere durante le
manifestazioni di Bruxelles, Parigi o Madrid. Tralasciamo il sindacato italiano
della Flaica-Cub che in «segno di protesta» contro l’operazione israeliana a
Gaza fa un appello — avvenimento senza precedenti in Europa, da tre quarti
di secolo — a «non comprare più nulla nei negozi appartenenti a membri
della comunità ebraica». Non avrò la crudeltà di insistere sull’asse, a dir poco
nauseabondo, che si forma quando la signora Buffet ( dirigente del partito
comunista francese, n.d.t.), il signor Besançenot ( dirigente di un nuovo partito
anticapitalista N.P.A, n.d.t.) e altri vengono raggiunti in testa di corteo dal
faurissoniano ( Robert Faurisson, celebre negazionista, n.d.t.) Dieudonné (
attore comico francese, n.d.t.) o quando il suo degno compare, Jean-Marie Le
Pen, si unisce al coro per paragonare la Striscia di Gaza a «un campo di
concentramento».
Per un caso, proprio da Ramallah, capitale dell’Autorità palestinese, e poi da
Sderot, la città israeliana alla frontiera di Gaza continuo bersaglio del fuoco
dei razzi Qassam, scopro le immagini di simili manifestazioni di sostegno alla
«causa palestinese». Proprio da questi due luoghi, vedo le folle di europei
urlanti, vociferanti e scatenati: le immagini scorrono mentre sono in
compagnia di persone la cui sola preoccupazione resta, malgrado le bombe,
le sofferenze e i morti, quella di non perdere mai il filo della convivenza e del
dialogo. Voglio dunque aggiungere alcune riflessioni a quelle già fatte nei
giorni scorsi e che hanno dato vita, da parte degli internauti di Point, a una
enorme serie di reazioni. Primo.
Che sollievo vedere i palestinesi veri, reali, anziché quelli immaginari che, in
Francia, pensano di fare la resistenza prendendo di mira le sinagoghe! I
primi, lo ripeto, si impongono di essere moderati e con ammirevole sangue
freddo si sforzano di mantenere le chance della convivenza di domani; i
secondi sono rabbiosi, più radicali dei radicali, pronti alla violenza, nelle
strade di tutta Europa, fino all’ultima goccia di sangue dell’ultimo palestinese.
I primi considerano e riflettono, sanno che niente in questa storia è tutto nero
o tutto bianco, e conoscono la schiacciante responsabilità di Hamas nel
disastro in cui sta precipitando il loro popolo. I secondi, come se la
confusione non fosse già abbastanza, si bevono di gusto le enormi panzane
della propaganda anti-israeliana e fanno dei teorici dell’attentato suicida e
dello scudo umano, dei nuovi Che Guevara, di cui sfoggiano emblemi e
simboli: anziché infondere calma, mettono in scena la politica del peggio,
infiammando gli animi.
Secondo. Quale regressione, quale azzeramento del pensiero e dell’azione,
da parte di costoro, che da lontano, ignorando i contorni del dramma,
fomentano odio, quando invece si dovrebbe fare di tutto per andare nel senso
della pace e della riconciliazione! La pace vuole due Stati che accettino di
vivere l’uno accanto all’altro, e che comincino a dividersi la terra; la pace
vuole, da entrambe le parti, la rinuncia all’estremismo, a posizioni radicali, ai
luoghi comuni, e perfino ai sogni. La pace implica, per esempio, che Israele si
ritiri dalla Cisgiordania così come si è ritirata dal Libano e da Gaza, ma
implica l’esistenza di una parte palestinese che non tragga vantaggio dalla
ritirata per trasformare, ogni volta, il territorio evacuato in una base per il
lancio di missili sui civili. La pace deve passare per il cessate il fuoco, per la
fine della guerra che sta facendo un insostenibile numero di vittime,
soprattutto tra i bambini. Ma questa pace passa anche attraverso
l’eliminazione politica di Hamas, cui poco o nulla importa delle vittime, e della
pace — e che, non essendo stata capace di imporre la sharia al suo popolo,
lo trascina sulla via del «martirio» e dell’inferno.

Terzo. Sono a Ramallah, dunque. A Sderot e a Ramallah. E vedendo da
Sderot e da Ramallah questa mobilitazione contro un «olocausto», che nel
momento in cui scrivo è di 888 morti, mi faccio una semplice domanda.
Dov’erano i manifestanti quando si trattava di salvare, non gli 888, ma i
300.000 morti dei massacri programmati del Darfur? Perché non si sono visti
nelle strade quando Putin radeva al suolo Grozny e trasformava decine di
migliaia di ceceni in tiro al bersaglio? Perché hanno taciuto quando, tempo
prima, e per anni, e stavolta nel cuore stesso dell’Europa, sono stati sterminati
200.000 bosniaci, il cui solo crimine era quello di essere nati musulmani? Per
alcuni, i musulmani sono buoni solo quando sono in guerra con Israele.
Meglio ancora: ecco i nuovi seguaci dell’antico «due pesi, due misure » che
si preoccupano della sofferenza di un musulmano solo quando possono
attribuirne la colpa agli ebrei. L’autore di questo articolo ha manifestato, in
prima fila, per il Darfur, per la Cecenia e per la Bosnia. Si batte, da 40 anni,
per un valido stato palestinese accanto a quello di Israele. Mi si permetterà di
considerare questo doppio atteggiamento ripugnante e frivolo.
Bernard-Henri Lévy
14 gennaio 2009

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P.Luigi Battista, Baruffe nostraneultima modifica: 2009-01-14T19:20:00+01:00da mangano1
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