Lucia Annunziata, Lo stupro come simbolo

da LA STAMPA
28 gennaio 2009

LUCIA ANNUNZIATA, Lo stupro come simbolo
lucia.jpg

Guardando le immagini di Guidonia, quelle in cui arrabbiatissimi abitanti del luogo cercano di linciare i romeni presunti responsabili della violenza e dello stupro di una coppia di giovani fidanzati, mi viene un dubbio: hanno vinto finalmente le donne, oppure sta vincendo una nuova forma di barbarie?

Non tanto tempo fa, penso agli Anni Ottanta, epoca modernissima di questo Paese, per far riconoscere lo stupro come reato, non contro la morale ma contro la persona (in questo caso basta citare quello del Circeo, 1975), le donne dovettero calare in massa davanti ai tribunali, incatenarsi ai pali della luce, improvvisare volantinaggi sotto i più importanti media per rompere la teoria secondo la quale ogni donna era in realtà colpevole dell’abuso sessuale che aveva subito. Oggi assistiamo invece a un’enorme reattività in difesa delle vittime di violenza.

Lo stupro e la morte della signora Reggiani prima e quello quasi immediatamente dopo di una giovane africana sono stati la materia più scottante della campagna elettorale nazionale un anno fa. Le violenze sulla coppia di Guidonia hanno portato quasi al linciaggio, mentre per il giovane che a Capodanno ha stuprato una ragazza durante una festa del Comune di Roma, un coro nazionale ha chiesto il massimo della pena, oltraggiati tutti dal fatto che un giudice (donna) gli avesse concesso «solo» gli arresti domiciliari. La nazione, insomma, sembra scossa da un’indignazione protettiva nei confronti delle donne che si può paragonare solo a quella che negli anni ha suscitato la pedofilia.

La sensibilità sociale si è evidentemente evoluta, dobbiamo concludere. O no? Forse c’è un’altra domanda che andrebbe fatta alle donne nell’attuale momento: è questo che la loro mobilitazione di anni voleva ottenere? È questo il tipo di reazione, protezione, per cui hanno lottato? Ovviamente, è meglio avere una difesa che il disprezzo; è meglio pensare di avere un padre, un marito, un fratello che mena le mani per te, e un Paese che chiede a gran voce la tua sicurezza. Ma, parlando senza arroganza, c’è qualcosa di ugualmente espropriante della persona donna in questa levata di scudi.

La prima espropriazione ha a che fare con il «tipo» di stupro che suscita proteste: si tratta inevitabilmente di quelli commessi in ambienti pubblici. L’Istat ha pubblicato una ricerca sulla base della quale le donne dai 16 ai 70 anni che in Italia hanno subito in totale violenza sono 6 milioni 743; di cui un milione e 150 mila nel 2006: di queste un milione 400 mila ragazze hanno subito violenza sessuale prima dei 16 anni. Autori della violenza? Il 69 per cento sono partner, mariti o fidanzati. Statistiche più recenti ci dicono addirittura che solo il 10 per cento degli stupri è perpetrato da stranieri. Inutile dire che per questa vasta zona grigia di crimine «in famiglia» non ci sono né proteste, né denunce: possibile che nessuno mai se ne accorga?

Ma se lo stupro fa rabbia solo quando è fatto da «stranieri», forse entriamo in un diverso campo, in cui diventa simbolo (fortissimo, ma pur sempre simbolo) di mancanza di sicurezza, di degrado dell’ambiente, e di una guerra per il controllo del territorio. Insomma, lo stupro indigna quando si carica di una battaglia più ampia di quella della difesa delle donne. Una battaglia in cui, paradossalmente, le donne si trovano di nuovo «oggetto», in quanto proprietà collettiva di un gruppo contro un altro. Una versione dello scontro globale che ritorna a livello tribale. Per chi avesse perso memoria, ricordo che anche nella ex Jugoslavia, una guerra che è stata il massimo dello scontro tribal-identitario, lo stupro femminile è stato usato come «sfregio» di un’etnia contro l’altra.

Come vedete, qualcosa di molto inquietante si accompagna sempre al corpo femminile. Su di esso inevitabilmente pare calare il destino dell’appropriazione da parte di altri. Non era certo questo per cui hanno combattuto le donne di anni fa: volevano innanzitutto la propria dignità come cittadini contro i quali ogni assalto è proibito dalla legge. Ma non credo volessero nessun taglione, nessuna vendetta. Tantomeno diventare parte di un ingranaggio così vasto, di cui alla fine si rimane comunque ostaggi.

Lucia Annunziata, Lo stupro come simboloultima modifica: 2009-01-28T18:53:00+01:00da mangano1
Reposta per primo quest’articolo