Mario Domina, Il viaggio filosofico di Sir Darwin

IL VIAGGIO FILOSOFICO DI SIR DARWIN
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Jean-Jacques Rousseau lamenta nel Discorso sull’origine della disuguaglianza una certa angustia e limitatezza di vedute del sapere filosofico europeo: “Gli individui – scrive – hanno un bell’andare e venire, sembra che la filosofia non viaggi“, e auspica che qualche brillante mente, adeguatamente foraggiata, possa prima o poi intraprendere quello che sarebbe certo “il viaggio più importante di tutti, che bisognerebbe fare con la maggior cura” – che percorrendo in lungo e in largo il pianeta, e indugiando a studiare i popoli e le culture, consenta finalmente di fondare una scienza fondamentale, “la più utile e meno progredita fra tutte le conoscenze umane”, quella cioè dell’uomo stesso.

Un viaggio non meno importante di quello immaginato dal buon Jean-Jacques, sarebbe stato intrapreso, oltre mezzo secolo dopo, da un giovane naturalista poco più che ventenne, un viaggio in verità di tutt’altra natura e con tutt’altro scopo, visto che si trattava di una spedizione cartografica nella quale Charles Darwin, questo il nome del giovane scienziato di bordo, aveva l’incarico di effettuare osservazioni di carattere geologico oltre che di raccogliere campioni di specie viventi sconosciute. Ma quel lavoro “sul campo” durato ben cinque anni, unito ad un acume, ad una capacità intuitiva (e, direi, ad un’immaginazione fuori del comune), avrebbero infine condotto nel 1859 alla pubblicazione di uno dei testi più rivoluzionari della storia della scienza e, più in generale, della storia umana. La teoria evolutiva di Darwin avrebbe cioè modificato alla radice, e in maniera irreversibile, l’approccio stesso allo “studio dell’uomo” invocato da Rousseau, proprio perché la concezione dell’essere umano, della sua natura e del suo posto nel mondo venivano posti sotto una luce completamente diversa.

La maggior parte delle concezioni a proposito della natura umana succedutesi fino al XIX secolo, erano infatti definibili come essenzialistiche: ciò che veniva cercato e che si pensava di avere trovato era un’essenza data una volte per tutte, una “natura” appunto che, come indica il termine stesso, dovrebbe possedere caratteristiche di fissità, assolutezza, stabilità. Qualcosa che è insieme puro, originario ed indelebile. Secondo il paradigma essenzialistico, una volta trovato questo elemento essenziale che sfugge ad ogni contingenza, che non è modificabile, e che individua gli esseri umani (tutti) differenziandoli da ogni altra creatura, abbiamo risolto il nostro problema: l’essere umano viene circoscritto e identificato in un’essenza, ed è quella che lo specifica e senza quella la sua umanità ne è compromessa quando non distrutta. Poco importa che sia un’anima (spirituale o razionale), un istinto biologico, la volontà, o semplicemente qualcosa di più organico o fisiologico.

Ma è proprio nel corso dell’800 che questa lunga tradizione, che risale ad Aristotele, viene per la prima volta seriamente incrinata: si apre cioè in maniera netta un fronte che potremmo definire antiessenzialistico, una linea di pensiero dunque recente, che mette in discussione il paradigma della “natura umana”, o per lo meno che lo ricolloca in una dimensione storica.

Dopo Rousseau e prima di Nietzsche, i due pensatori che più di altri hanno influito e spinto in questa direzione sono a mio parere Karl Marx e Charles Darwin, e non a caso non si tratta di filosofi nel senso tradizionale del termine. La loro opera ha contribuito senz’altro a modificare drasticamente la visione essenzialistica dell’essere umano, che ora diventa ciò che è libero di (o necessitato a) plasmare, modificare, trasformare se stesso, all’interno di condizioni e di leggi date e, ciò che più importa, conoscibili. Ma è sulla svolta darwiniana che vorrei, oggi che ricorre il bicentenario della nascita, brevemente soffermarmi.

Senza entrare nel merito dell’opera del grande scienziato, mi limiterò a sottolinerare le conseguenze filosofiche dell’Origine delle specie e dell’Origine dell’uomo. Prima di tutto fa l’ingresso per la prima volta in natura la dimensione storica: se fino a Darwin il termine “naturale” veniva utilizzato come sinonimo di “assoluto”, “originario”, dato una volta per tutte (generalmente con lo zampino divino), la teoria dell’evoluzione delle specie produce uno slittamento semantico importante: anche ciò che è “naturale” si muove, diviene, si trasforma.

In secondo luogo le teorie di Darwin innescano una crisi a catena in tutte le visioni teleologiche del mondo, cioè in quelle concezioni che immaginavano la natura come preordinata e determinata da un disegno divino e che, in virtù di ciò, avesse nell’uomo una sorta di fine, di scopo, di compimento.

Parallelamente, Darwin dà un duro colpo anche alla visione antropocentrica, dopo quelli già inferti a livello cosmologico da Copernico, Galileo e Giordano Bruno: non solo l’uomo non è più al centro dell’universo, non è nemmeno al centro della natura, la sua è una specie tra le altre.

Infine con Darwin si compie il tentativo rinascimentale, materialistico e terrestre, di spiegare la natura iuxta propria principia, attraverso leggi interne, immanenti, senza alcun bisogno dell’intervento divino. Questo significa che non solo la natura ma anche l’essere umano funzionano in modo autonomo, nessuna provvidenza li sostiene e sorregge. L’uomo non ha un padre nel regno dei cieli (o se ce l’ha si fa gli affari suoi): è solo e sperduto nell’universo-mondo e deve fare affidamento solo su se stesso, sulle proprie facoltà e potenzialità. Ma questo è anche il suo punto di forza.

Mi rimane di accennare di sfuggita al tentativo un po’ audace e fallimentare da parte di Darwin, di fondare la morale su basi naturali: riconoscendo nell’uomo una sorta di istinto alla socievolezza, egli pensa che questo possa essere sufficiente per giustificare la dimensione etico-politica, che dunque non sarebbe del tutto artificiale, ma che così troverebbe un fondamento biologico. La debolezza di questa tesi è abbastanza evidente: anche l’egoismo o l’aggressività possono essere ritenuti impulsi naturali, dai quali possono conseguire morali ben diverse da quelle socievoli o amorose; in secondo luogo, come spiegare la contraddizione tra impulsi biologici opposti quali la selezione naturale e la socievolezza? La discussione su questi argomenti è naturalmente apertissima, mi pare però di dover sottolineare la pericolosità di far derivare dalla biologia teorie di carattere etico o sociale – anche se le intenzioni di Darwin potevano essere molto oneste e “progressiste”.

Non così quelle di gran parte dei sostenitori della sociobiologia, del darwinismo sociale o delle teorie razzistiche del Novecento. L’uso della biologia a scopi politici, e il nazifascismo dovrebbe avercelo insegnato una volta per tutte, apre sempre scenari inquietanti, contribuendo a produrre ideologie che in epoche di crisi sociali o economiche favoriscono il prodursi di immani tragedie.

Certo, il viaggio darwiniano non avrebbe mai potuto fermarsi al livello “naturale” o biologico: già dire che non siamo nient’altro che scimmioni che hanno avuto la fortuna di avere il pollice opponibile e un’encefalizzazione di un certo tipo, stravolge e di parecchio tutta la costruzione ideologica sulla nostra presunta superiorità, radicale diversità, spiritualità, ecc. ecc. – anche se è dura da digerire, ed anzi il fatto che le teorie essenzialistiche siano ben lungi dallo scomparire dimostra quanta strada c’è ancora da fare su questo fronte.

Se però non c’è alcun disegno o fine, e il caso ha una sua precisa funzione nel viaggio tutto terrestre della vita, bisogna sempre essere cauti anche nel voler strafare (e sovradimensionare) le spiegazioni di ordine deterministico. Saremo anche pre-determinati, ma le variabili sono così tante e così complesse (come anche la genomica sta dimostrando), i fattori in gioco talvolta così imprevedibili – e il “mistero” dell’essere ancora così profondo – che dubito possa esserci in futuro il pericolo di una totale riduzione alla spiegazione scientifica e causale, e ciò vale anche per quella strana superstizione – un fenomeno del tutto sfuggente all’osservazione scientifica – che denominiamo libertà.

Mario Domina, Il viaggio filosofico di Sir Darwinultima modifica: 2009-02-16T19:37:00+01:00da mangano1
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