Jacopo Jacoboni,Quando mamma mi parlava delle BR

“Quando mamma mi parlava delle Br”

• da La Stampa del 18 febbraio 2009, pag. 39
jacopo.jpg
di Jacopo Iacoboni

I migliori vanno davvero via presto. A volte lasciano tracce carsiche, come questo Diario di una giurata popolare al processo delle Brigate Rosse (Lindau), le pagine che Adelaide Aglietta scriveva sulla Torino e l`Italia del `78, che se la faceva sotto – come sempre, del resto – a far rispettare la legalità e celebrare il processo alle Brigate Rosse di Curcio, Franceschini, Ferrali. Ma che Italia e che Torino erano, quelle, al di fuori del bunker della caserma Lamarmora, dove la Aglietta svolse il ruolo di giurato accettato solo da 6 torinesi, dal 4 marzo fino al 19 giugno 1978? E chi era la donna che camminava contro la militarizzazione incrociata, patto di ferro Dc-Pci? «Sono sempre stata un po` combattuta nei miei ricordi su di lei», racconta Alberta Rocca, una delle due figlie di Adelaide, oggi quarantenne, ricercatrice nel campo dei diritti civili a Venezia. «Da una parte, quando la mamma ha cominciato a far politica, è stata un`evoluzione non prevista, i miei genitori in quel periodo si sono separati, poi lei è andata via, e noi questa cosa ce la siamo portata dietro. Già ci additavano, nella Torino borghese in cui vivevamo, quelle due sono le figlie della Aglietta, guarda, le tira su il padre da solo… Così noi soffrivamo la sua assenza. Certo, lei veniva a trovarci appena poteva, però non averla a dormire a casa non era una cosa normale. Dall`altra, via via, è cresciuto un senso d`orgoglio. Andando a Roma, alla presentazione del Diario alla Camera, il bigliettaio della stazione di Fiumicino mi ha visto col libro sotto braccio e mi ha detto “sa, questa è stata una delle donne più importanti della mia vita”». È inusuale allora vederla raccontata con gli occhi di una figlia, impegnata come lei quando accettò di far parte della giuria popolare al processo contro le Br, una giuria in cui nessuno voleva sedere, per «sindrome depressiva», alias paura.
Zaccagnini, Berlinguer, Romita, tutti gli altri segretari di partito si affrettarono a dire che loro avrebbero accettato «senza esitazioni»: bella forza, la legge li esentava. «Certo che aveva paura», racconta Alberta. «Durante il processo ricordo che c`era un clima di nervosismo, con i nonni, i genitori della mamma, erano tutti molto tesi. Lei poi con noi era molto diretta, ci raccontava tutto. Ricordo le lunghe chiacchierate notturne sul letto, gli infissi delle stanze di Torino…» Già, Torino. «Nel `78 vivevamo come in una bolla, abitavamo alle Terrazze, dove eravamo quasi una banda di bambini, fuori dalla città, ma sapevamo benissimo che era una bolla, e cosa succedeva fuori. Un po` gliene volevamo anche, alla mamma. Ci siamo stati fino all`81, in città, poi quando papà è andato a Milano, e la mamma a Roma, mia sorella voleva stare a Roma così io la seguii. Il passaggio non poteva essere più stridente. L`avvocato Zancan ricorda sempre che mia madre veniva dalla borghesia moderata della città, una “crocettina”, i maglioni di flanella, le camicine rigide…; ma questo ricordo ha sempre scocciato un po` mio padre, e anche lei, in fondo anche dei giovani alla Crocetta potevano accorgersi di quello che succedeva fuori. In ogni caso quando passammo da Torino a Roma fu una specie di choc. Da una certa impostazione rigida passavamo a vivere in una comune radicale, in via Giulia, una casa dove stava per due mesi Marco (Pannella), poi andava via, o Emma, o Gianfranco (Spadaccia)… ». Non fu un periodo facile, anche con la madre. «Con lei avemmo spesso anche scontri, in quella fase». Cose tipiche, da mondo radicale. «Con Emma qualche attrito l`hanno avuto. Ma era in fondo normale, tra i radicali la vita si mischiava così tanto alla politica… Non abbiamo praticamente mai fatto vacanze come gli altri, cioè, affittavamo una casa sul litorale laziale, e veniva Cicciomessere, veniva Marco, c`era Emma e le due bambine adottive, andavamo per lo più a Sabaudia, o al Circeo, un anno a Gaeta. Perciò fummo molto deluse quando, negli anni della malattia di mamma, Marco ed Emma sparirono. Anche se io credo che non sparirono per via della malattia, sarebbero spariti comunque. Marco ha questo atteggiamento: quando esci dall`ovile, chiunque tu sia, anche Adelaide Aglietta, sei fuori. E mamma aveva scelto i verdi».
«Poi oltre ai litigi ricordo incontri impressionanti. Leonardo Sciascia che le voleva bene. Enzo Tortora divenne nostro amico. Con il mondo padovano siamo rimasti legati, attraverso Emilio Vesce, che ho incontrato di nuovo a Padova. Toni Negri no, con lui non c`è mai stata confidenza. Mentre so che mamma è stata tanto amica di Sofri, che però non frequentava casa, ma che ha scritto il più bell`articolo quando lei è morta, nel 2000, sul giornale di Ferrara. E oggi a Bruxelles viene Dani Cohn Bendit a presentare il Diario». Quell`Italia e l`alterità di Torino l`hanno accompagnata anche nelle metamorfosi degli ultimi anni, il trionfo del berlusconismo. Alberta rivela: «Quando la mamma fu eletta coi verdi arcobaleno, subito dopo ci fu l`alleanza dei radicali con Berlusconi. Lei ricevette una telefonata, “signora Aglietta, la vorremmo capolista nel nord ovest”. Si incazzò come una iena, gli rispose “ma come vi viene in mente!”. Poi mi ricordo di quando Emma prese l`8 per cento alle europee, e la mamma da una parte era contenta, dall`altra ebbe il rimpianto di non esserci». Quella Torino, a dispetto delle sue paure, le era rimasta dentro, più di Roma, già prona alla trasmutazione odierna. «In una delle presentazioni Emma ha detto “in fondo negli anni settanta si stava male, ma il popolo era più avanti”. Ora non c`è neanche più quello, e la mamma sarebbe fin troppo inattuale».

Jacopo Jacoboni,Quando mamma mi parlava delle BRultima modifica: 2009-02-18T23:21:00+01:00da mangano1
Reposta per primo quest’articolo