Giancarlo Pavanello: Critica antiquaria

Giancarlo Pavanello: critica antiquaria

[20 febbraio 2009]

> [una critica libera, recensioni spontanee senza l’obbligo di occuparsi dei libri editi dagli editori proprietari dei periodici in cui ci si deve dedicare solo a quello che passa il convento, restando attenti a non uscire dai solchi tracciati, ossia nella moderazione che non offende nessuno o con finte stroncature, e così via, cfr. la pubblicistica sulla sociologia della letteratura. con il piacere di trasgredire perfino le regole grammaticali, l’usanza delle maiuscole e quant’altro.]

Un libro degli anni sessanta, dunque un pre-sessantottino: Bruno Caruso, LA TIGRE DI CARTA, Leonardo da Vinci editrice, Bari, 1964.
Erano state stampate anche cinquanta copie numerate, contenenti un’acquaforte originale, numerata e firmata. [un’abitudine dei “vecchi tempi”: ora sembra più opportuno privilegiare le tirature uguali per tutti, senza gerarchie, “libri d’artista”: infatti, non è gradevole avere gli esemplari “normali” quando si sa che altri posseggono quelli introvabili, con il privilegio di un allegato “prezioso”] Fra le illustrazioni, sedici disegni dell’autore, nel segno di un realismo personale, ma non un “iperrealismo”, a volte memore della carica violentemente satirica di George Grosz. Alcuni capitoli di riflessioni: le regole del gioco di chi vuole rientrare nella gang delle “tigri di carta”, come una “malavita ufficiale”: gli “uomini del capitale” legati da una ferrea solidarietà, per dedicarsi a un “affarismo indiscriminato delle alte sfere” senza incorrere in qualsivoglia pena. Il potere politico significa soprattutto detenere il potere economico, “lo strapotere della corruzione”, la legalizzazione di qualunque tipo di delitto [“si tratti di strage, omicidio, tortura, furto, concussione o peculato”: “C’è una nuova malavita che tiene nascosta la sua faccia non più dietro un fazzoletto alzato fino agli occhi, ma dietro la maschera dell’ipocrisia protetta dallo stato, dalla parentela, dalla clientela politica e dal clero”.>
Il “paradiso del capitalismo” è New York con i suoi business men, in grado di creare il clima favorevole all’uccisione del loro Presidente [John Fitzgerald Kennedy], che tendeva a ostacolarne gli affari. Insomma, l’affarismo domina la politica. Un manipolo di prepotenti ha arraffato il potere per fare in modo che “un paese come gli Stati Uniti d’America fosse governato per qualche giorno da piccoli gangsters che hanno cambiato con il loro delitto non solo la linea politica ed economica del paese a piacimento dei loro padroni, ma le sorti del mondo”. E quindi: “Il potere, con la sua sete di onnipotenza, dispone di tutti i mezzi per livellare e uniformizzare la mente dei suoi sudditi”.
Sono “tigri di carta” da scrollarsi di dosso, non solo ad opera dei “proletari” del “terzo mondo” [nel colonialismo e nel neo-colonialismo] ma di tutti i popoli in grado di risvegliare la propria “dignità” e la propria “fierezza nazionale”.
Cambiano i regimi, cambiano gli equilibri internazionali , cambiano i partiti politici ma queste idee-guida restano di estrema attualità. Un libro ispirato alle ideologie e alle forme d’arte visiva che negli anni sessanta si opponevano alle avanguardie e alle neo-avanguardie tendenti alla dissoluzione dei canoni estetici più collaudati, in un realismo della rappresentazione non necessariamente “socialista”.
Nel capitolo “politica e arte”, introdotto da una foto di Pablo Picasso con naso e barba posticcia da clown, l’autore pensa che il gioco sia finito. Condivisibile da un lettore del 2009 la consapevolezza che la scelta politica, coincidente con una scelta morale, condiziona il lavoro dell’artista, ma resta ferma a un bivio quando l’autore si limita a giustificare i “disegni politici” per difendere la propria libertà di espressione, per ribadire un rapporto di coesistenza con il mondo. Senza accettare le direttive di Andrej Zdanov, intende restare, comunque, lontano dall’arte-business, dall’ “arte del capitalismo”, dai “banchieri dell’arte”: “Dall’America non tardò ad arrivare infatti in tutto il mondo l’ordine di ‘comprare l’arte astratta come un pacchetto d’azioni contro il comunismo”. Una disillusione con ingenuità: nella nostra consapevolezza, infatti, sappiamo che si dovrebbe aprire un lunghissimo capitolo di sociologia dell’arte, in un universo totalmente diverso da quello degli anni sessanta, sapendo che per impegnarsi a livello etico e politico bisognerebbe ritrovare l’ottimismo del grado zero, l’osservazione di parcellizzazioni elementari, certezze embrionali più che rifondazioni. La sua: un’arte visiva come rifiuto dell’omertà. [sulla copertina qualcuno ha incollato un ex libris anonimo]
una critica antiquata, recensioni inutili, riflessioni diaristiche in digressioni continue, in un flusso antinarrativo, fra letteratura e arti visive, tanto vale aggiungere qualcos’altro che c’entra poco o nulla: allora, ecco un mio disegno dell’adolescenza, il cui titolo potrebbe essere “due donne” o “due signore”, 1961, esposto in una mia mostra antologica, esibizione bibliografica”, Avida Dollars, Milano, 1989. cercavo di indicare la via che mi aveva portato a scegliere le scritture, la poesia visualizzata, iniziando dalla “grafica”, dal disinteresse per la pittura, all’insegna di una nevrosi dell’età critica che solo in seguito avevo catalogato come “art brut” [di Jean Dubuffet] negli anni delle controculture pre-e-post-sessantottine. una continuità con il fumetto “svestire gli ignudi” pubblicato nel blog “duemila ragioni per cambiare” in data 13 febbraio 2009 nella categoria “arte, musica e parole”. [chissà, forse anche questa è una scelta morale e politica]

giancarlo.jpg
Giancarlo Pavanello: Critica antiquariaultima modifica: 2009-02-27T10:15:00+01:00da mangano1
Reposta per primo quest’articolo