Giancarlo Pavanello : VIAGGIO
[gennaio-[a M.B.]
l’autunno e l’inverno ritornati normali, una norma discutibile, come ai vecchi tempi, quando le stagioni corrispondevano all’insegnamento elementare dei testi scolastici. ma la mente era fradicia, una nebbia vellutata [un velluto marcio]. un avvoltoio nero planava nel vuoto che, secondo la dottrina zen, era bianco. i viaggi “fuori porta”, linguaggio-cliché adatto alla Pasquetta, non bastavano, e nemmeno le incursioni fuori dal triangolo noto come GE-MI-TO: verso il mare, aria, lontano dalle metropoli, le Cinque Terre. restavano poche foto digitali, perfino qualcuna presa nell’oscurità dall’alto della scogliera lungo la famosa passeggiata di Nervi [Genova]. eppure, barando nella cronologia, tutto era stato sottoposto all’azione corrosiva dei secoli scorsi, le pagine ingiallite [l’estetica del tempo], prima dell’era di internet. infatti, l’azione di questa anti-narrazione si svolgeva nel 1308. poi, all’improvviso, la ripresa della ricerca: io e Franz, o più educatamente Franz e io [entrambi con lo stesso nick-name], avevamo deciso di continuare il viaggio, per scoprire chi aveva assassinato il nostro lontano parente, un ricco homeless, non credendo alla tesi ufficiale del suicidio.
Milano
La Darsena diventava una discarica, uno dei punti più pittoreschi di Milano. Sul genio di Leonardo da Vinci, che l’aveva ideata e realizzata, prendeva il sopravvento l’avidità dei tirapiedi del partito di destra-sinistra destinato a detenere il potere affaristico di un centro eterno, in un’epoca in cui la democrazia era diventata una bandiera insozzata. Là sotto stavano costruendo un mega-parcheggio, come se non ce ne fossero abbastanza nella zona, che nella visione di sindaci e assessori santi sarebbe stata concepita come un quartiere a vocazione pedonale, per la felicità di pedoni e ciclisti. In questo romanzo-saggio, ambientato nella Repubblica dei Ratti, le allusioni a persone e a fatti erano del tutto casuali. Il disgelo dei mucchi di neve polverosa. La pioggia stentata e fuligginosa, in gennaio. Le brutte notizie in TV mentre stavamo nel comfort di un bilocale in zona Navigli: un’informazione da rettificare o da approfondire con comunicazioni più segrete, più navigate. In alternativa: l’unica forma possibile di scrittura poetica consisteva nel rifiuto di comprare libri di poesia, meglio destinare quei soldi all’acquisto di nuove camicie, in saldo.
quanta pioggia quella sera di febbraio, quando una sparuta manifestazione sostava sotto la neoclassica Porta Ticinese di Piazza XXIV Maggio. un’iscrizione in latino dichiarava: “alla pace sospirata dai popoli”, dopo le guerre napoleoniche. erano là per protestare contro la chiusura forzata di una libreria storica: “centri sociali” si chiamavano quei luoghi dell’aggregazione in case abbandonate, ma la polizia non voleva le loro collezioni di pubblicazioni originali degli anni sessanta e settanta del 2100 [la sacralità di ogni archivio VS la barbarie dei roghi di libri], una produzione editoriale della sinistra osteggiata dalla destra, che allora, nella Repubblica Frammentaria, voleva sporcare la storia con una piazza pulita. Primo Moroni, il fondatore della Libreria Calusca nel 1971, era morto, lo avevo conosciuto qualche anno prima. [cfr., scritto con Nanni Balestrini, l’orda d’oro, 1968-1977, “la grande ondata rivoluzionaria e creativa, politica ed esistenziale”, Milano, SugarCo, 1988, con successive ristampe, un’edizione Feltrinelli nel 1997, sui movimenti operai e studenteschi italiani
ma Franz e io, arrivati in Stazione Centrale con un ritardo di un’ora, avevamo fretta, volevamo mangiare verso mezzanotte, prima che chiudessero, e pioveva, come pioveva: pizza contro piazza. i capi che omettevano le misure anti-inquinamento non abitavano in città, un insediamento in abbandono, occupato sempre più dai miserabili dei cinque continenti, in una nazione in declino: “speriamo che gli Stati Uniti d’Europa non ci caccino via dall’Unione in una secessione forzata” aveva detto Franz, in viaggio con me alla ricerca dell’assassino di un nostro lontano parente, un ricchissimo homeless. Entrambi avevamo lo stesso nick-name. Un tam-tam e una danza rituale per indurre il Cielo a ogni forma di precipitazione in grado di ridurre l’irrespirabilità dell’aria. [notata la scrittura primitiva di alcune ripetizioni, che facevano antico poema epico ma moderno, da limare a cura dei redattori delle grandi case editrici in via di sparizione?] [accanto all’ascensore, un grande nastro rosa segnalava ai condomini la nascita di una femminuccia: “forse”, aveva commentato Franz] [entro un mese l’8 marzo, la festa delle donne: “da estendere anche ai maschietti… per le pari opportunità” avevo sottolineato] Palazzolo di Sona [Verona] percorrendo la via che saliva in collina si osservava la pianura con Bussolengo, sullo sfondo i monti, e in primo piano i vigneti nel sonno dell’inverno. l’asfalto diventava sottile, una fanghiglia da percorrere con disinvoltura, la direzione portava ad alcune case di fortunati che là respiravano meglio. ed era vero quello che aveva affermato una vicina: da lassù si intravedeva il lago di Garda. lo sguardo sulle colline circostanti, sia pure in una fredda mattina con foschia in lontananza. Verona Nell’e per finire una mia scrittura poetica su vapore acqueo su vetro, eseguita a Lestans di Sequals [Pordenone], novembre 2008 [l’opera era una fotografia digitale], senza la necessità di fare tanta fatica ad allestire mostre personali nelle gallerie d’arte in via di sparizione, trasformate in botteghe con pochi affari in cui imperava un malcostume di vecchia data. mi raccontavano che perfino molti critici famosi si facevano pagare per redigere note sugli artisti, per presentarli in catalogo. come potevano essere credibili, costoro, quando pubblicavano libri o quando insegnavano nelle università? nessuna vergogna? non arrossivano? l’apparire contava più dell’essere in quell’alto medio-evo. visitatori virtuali VS visitatori reali: www. g.carlopavanello.it