Stefano Zurlo, Una storia vera

 da LA STAMPA
domenica 15 marzo 2009
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“Così la giustizia mi ha rapita inventando un padre violentatore”
di Stefano Zurlo

Milano Bambole, animali, oggetti. Angela gioca per tre giorni davanti alla psicologa del Tribunale dei minori di Milano. È la fine del 1995, Angela ha quasi sette anni, abita con papà, mamma e fratello in un paesino dell’hinterland. Una famiglia normalissima, forse definirla un presepe sarebbe troppo, ma all’orizzonte non c’è nulla di anomalo. Angela è stufa di disegnare sempre le stesse cose e allora con la matita traccia sul foglio bianco una linea lunga, poi gli dà un nome: Fantasma. L’esperta sorride, complice, la bambina cambia titolo: Pisello. Angela non lo sa, ma quello sarà l’errore più grave della sua vita. La psicologa afferra quel pezzo di carta, lo osserva, lo trasforma nella prova che cercava. Da tempo, Antonella, la cuginetta di Angela, una ragazzina dall’equilibrio psicologico instabile, va raccontando di violenze sessuali in famiglia e ha coinvolto in un pericoloso crescendo il padre, un fratello, il papà di Angela. Angela si ritrova su un’auto dei carabinieri: la giustizia l’ha rapita, a casa tornerà solo dieci anni più tardi. Per il momento, l’affidano al Caf, il Centro di affido familiare.
I genitori non sanno più nulla di lei. Ma non hanno ancora capito che su di loro sta per abbattersi una sciagura senza proporzioni. Dopo una martellante preparazione che assomiglia ad un lavaggio del cervello, la bambina viene interrogata: ha paura, vuole tornare dalla mamma. Vede un grande specchio, intuisce che dietro c’è qualcuno, ma nessuno la rassicura. Carla, la dirigente del Caf, le propone un baratto: «Se racconti le cose di cui abbiamo parlato tante volte, tu torni a casa». Ma di che cosa avrebbero discusso tante volte? No, Angela non si fida, quel posto è terra straniera, le manca la mamma Raffaella, le manca il padre Salvatore che ha una piccola ditta di costruzioni. Ora però anche l’assistente sociale la fissa negli occhi: «Se dici tutto, ti faccio vedere la mamma». È un ricatto. Odioso. Ma lei non sa dire di no.
E quei cenni di consenso, quei movimenti impacciati e quasi impercettibili della testa questa volta costruiscono le manette che vengono strette ai polsi di Salvatore il 26 gennaio 1996. Un disegno innocente e qualche sì strappato a forza davanti al grande specchio. È l’armamentario che distrugge con tutti i crismi della legalità una famiglia senza problemi gravi, senza segreti, senza misteri.
A leggere il libro Rapita dalla giustizia, scritto in prima persona da Angela L. per Rizzoli con l’aiuto di Caterina Guarneri e Maurizio Tortorella, si resta basiti. Come può essere accaduta una storia del genere? Perché nessuno fra giudici, servizi sociali, esperti, ha messo in discussione quella versione? Domande che non hanno risposta, perché il meccanismo messo in moto dalle sconclusionate affermazioni della cugina non si è più fermato. Non c’è redenzione in questa storia di sottile crudeltà scritta con le carte bollate e i timbri dei tribunali. Non ci sono i buoni e i cattivi, c’è solo il buio che avvolge una bambina che piano piano diventa ragazza, cercando sempre l’uscita dal labirinto. E c’è naturalmente la resistenza della famiglia che lotta per non scomparire: Angela ora è in un kinderheim, ma i suoi non sanno più nulla, nulla di nulla, nemmeno una foto o una lettera; Salvatore è a San Vittore, sommerso da accuse infamanti e terribili; Raffaella è rimasta a casa, col piccolo Francesco che ha il diritto, almeno lui, di crescere. Un incubo.
Gli affetti e il cuore contro la legge, in un duello impari. Il 19 marzo 1997 Salvatore viene condannato a 13 anni per le violenze su Angela e Antonella. La guerra sembra perduta. Ma Raffaella non molla. Il 9 dicembre 1999 Salvatore viene assolto dalla corte d’appello, la Cassazione conferma. Il capo d’imputazione si è sbriciolato. Ma Angela è sempre lontana, lontanissima, irraggiungibile. Anzi, il tribunale dei minori la dichiara adottabile. La motivazione è un capolavoro di perfidia: ora la colpa di Salvatore e Raffaella è la «ridotta capacità genitoriale». Anche se, piccolo dettaglio, stanno tirando su l’altro figlio.
Per ricomporre la famiglia, serve un’ultima metamorfosi: Angelo e Raffaella si trasformano in detective, sulla base di un labile indizio setacciano d’estate le spiagge della Liguria. Alla fine, come in una favola a lieto fine, la riconoscono. È il 31 luglio 2005, dal rapimento sono passati 9 anni e 7 mesi, Angela vive con una nuova famiglia, ma sogna sempre i vecchi genitori di cui non ricorda più nemmeno i lineamenti. Infatti, non si accorge di essere stata scoperta. Tocca a Francesco pedinarla per altri otto mesi. Poi, finalmente, il fratello si svela. E le racconta quel che nessuno le ha mai voluto dire: papà e mamma non hanno mai smesso di cercarla. Il 27 maggio 2006, Angela, ormai quasi maggiorenne, torna a casa. Ora, l’aspetta l’ultima battaglia: recuperare il cognome paterno.

Stefano Zurlo, Una storia veraultima modifica: 2009-03-16T14:42:00+01:00da mangano1
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