Gianf.Cercone, Crepa padrone ma con eleganza

da NOTIZIE RADICALI, 16 aprile
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“Louise Michel” di Benoît Delépine e Gustave Kervern: crepa padrone, ma con eleganza!
di Gianfranco Cercone

Quand’è che un film cade nel formalismo?
Quando la forma (lo stile, la composizione delle inquadrature, i colori, ecc.) non è al servizio di un contenuto da esprimere, di una storia da narrare; ma è oggetto di una ricerca di armonia o di estrosità che non vuol dire altro che se stessa, o rispetto alla quale il contenuto è un pretesto.

“Louise Michel” è un film formalistico? Un po’ sì, un po’ no. La storia è quella di un film “impegnato”; ma nel quale il “messaggio” politico è, deliberatamente, molto semplificato.
Una fabbrica nella provincia francese chiude di colpo i battenti. Le operaie, disoccupate, mettono insieme le loro miserabili liquidazioni, per assoldare un killer che faccia fuori il padrone.

Ma chi è il padrone? ’è il direttore della fabbrica, il quale dipende dal direttore della compagnia, il quale dipende dal direttore della corporazione; e così via, forse all’infinito.
Ma le operaie non si perdono d’animo; e, pazienti ma determinate, li fanno ammazzare uno dopo l’altro. Del resto, i padroni se lo meritano: tanto le operaie sono solidali, quanto loro sono egoisti, ipocriti, subdoli, snob e arroganti.

Ora, non importa che si creda nel comunismo o nel libero mercato, ma ci si può accontentare di una morale in cui il bene e il male sono così nettamente individuati e contrapposti?
Certamente no. E i primi a non accontentarsene sono gli autori, che applicano a questo schema rudimentale, una serie di correttivi.
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Il primo è conferire a tutto il racconto un tono paradossale.
Nella realtà, potrà anche accadere che gli operai decidano di ammazzare il padrone. Ma non accadrà mai come accade nel film: la decisione viene presa per alzata di mano dopo una breve e pacata discussione; l’organizzazione dei delitti è affidata a un’operaia manifestamente squilibrata; la quale ingaggia il più goffo e il più vigliacco dei killer possibili. (Eppure, ecco ancora il paradosso, gli omicidi vengono puntualmente eseguiti).

Secondo correttivo: creare ambienti e atmosfere da deserto industriale (contrapposto alle vecchie strade del paese), popolato di figure solitarie, bizzarre e alienate. Il risultato è una suggestione di maniera, che ricorda, per esempio, alla lontana, il teatro di Beckett.
Il terzo correttivo mi riporta al punto di partenza: il formalismo. Se il contenuto del film è scopertamente ingenuo, la forma è invece colta e consapevole, controllata con rigore, raffinata fino alla squisitezza.

Un esempio, tra i tanti possibili: l’inquadratura del campo di roulottes dove vive il sedicente killer: con le fiancate delle roulottes combinate come in un quadro cubista, e il colore marroncino chiaro della vernice intonato al rosa stinto della tenda all’ingresso della roulotte in fondo.

Oppure: il primissimo piano, sul finale, dell’operaia folle, con i suoi occhi gelidi e limpidi (prima di farsi lei stessa giustiziera), esaltati come oggetto estetico dal taglio e dal prolungamento dell’inquadratura.

Insomma, mi si passi un’immagine: il messaggio politico, rozzo e schematico, messo fra virgolette (che lo distanziano, ma non lo mettono in discussione), impreziosito dalla qualità dell’esposizione, fa la figura di un reperto primitivo, custodito in una teca dentro un museo post-moderno.

L’operazione non è priva di fascino. Ma a me sembra che voglia dir poco.

Gianf.Cercone, Crepa padrone ma con eleganzaultima modifica: 2009-04-16T19:50:00+02:00da mangano1
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