Giovanna Zincone, Clandestini la macchina inceppata

DA la stampa 23 aprile 2009
giovanna zincone, clandestini la macchina inceppata
giovanna.jpg
Le decisioni pubbliche sono macchine imperfette, si fermano davanti agli ostacoli, fanno marce indietro, non sempre portano a destinazione. Anche la nuova guida dell’immigrazione, che si annunciava ferma e severa, non conduce alle mete prefissate.

A rendere difficile uno dei suoi obiettivi prioritari, la gestione dei flussi irregolari, si frappongono ostacoli esterni. Il caso del mercantile «Pinar», carico di clandestini soccorsi in mare, e le riluttanze di Malta ad accoglierlo hanno ribadito la necessità di utilizzare macchine con targa europea, se si vogliono ottenere certi obiettivi. Quanto alla macchina con targa italiana è stata spesso costretta a cambiare percorso e qualche volta la sua azione sembra aggravare i problemi che voleva risolvere. L’idea di bloccare i clandestini considerando il loro comportamento un reato, con annessi più solerti processi e incarcerazioni, si è trasformata con il tempo in una minaccia di ammenda pecuniaria e di immediata espulsione.

Il progetto, seppure più moderato, continua a incutere timore e ha prodotto un effetto perverso: ha incentivato una corsa in massa ad arrivare prima che scatti la misura. La norma è infatti contenuta nel disegno di legge sulla sicurezza ancora in discussione alla Camera. La stessa molla che spinge a evitare ostacoli all’orizzonte si applica probabilmente anche all’accordo con la Libia che entrerà in vigore il 15 maggio e dovrebbe limitare gli arrivi da quelle sponde. Stando ai dati di Frontex, l’agenzia europea che si occupa delle frontiere comuni, gli sbarchi in Italia, nel secondo semestre del 2008, sono aumentati del 107% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Il ministero dell’Interno segnala invece risultati più confortanti per i primi mesi del 2009. Ma è sensato ipotizzare che la fuga in anticipo da leggi e accordi internazionali più restrittivi abbia fatto crescere i flussi clandestini, certo non li ha bloccati. Si può credere, però, che, una volta che le misure di contrasto dell’immigrazione clandestina siano approvate e applicate, le cose migliorino. Non la pensano così gli oltre 240 tra magistrati e avvocati torinesi che hanno rivolto un appello ai deputati perché non passino la sanzione contro gli irregolari, temono infatti un ingorgo di ricorsi in Cassazione da parte di irregolari riluttanti ad accettare ammende ed espulsioni.

La giustizia italiana ha altre priorità anche in tema d’immigrazione. A questo proposito non pare che il muso duro contro la criminalità straniera abbia moderato l’ondata di reati odiosi. E la confusione tra irregolari e criminali non aiuta. Punire gl’immigrati che non rispettano le regole dell’ingresso e del soggiorno nel Paese non scoraggia i delinquenti veri. Chi stupra una ragazzina, chi spacca la testa a un commerciante, chi sequestra e massacra una coppia di anziani coniugi non si spaventa all’ipotesi di essere trattenuto qualche mese in un centro di detenzione temporanea o di pagare un’ammenda per il fatto di avere un permesso scaduto o per aver attraversato la frontiera di straforo. Con questo non sostengo che si debbano smantellare gli strumenti di controllo dei flussi irregolari. Del resto quelli che un tempo si chiamavano ipocritamente Centri di permanenza temporanea (Cpt) e oggi ottimisticamente Centri di identificazione ed espulsione (Cie) non sono un’invenzione dei governi di centro-destra. In Italia, sono stati introdotti nel 1998 dalla legge Turco-Napolitano. Dovevano servire a identificare e rimandare in patria gli immigrati non in regola.

Di fatto dai centri di detenzione temporanea passa solo una goccia del vasto mare di irregolari e clandestini. E sono ancora di meno quelli che, fermati nei Cie, si rimandano davvero in patria. I Cie servono ad affermare un principio: abolirli significherebbe accettare che chiunque possa entrare e stare in Italia senza rispettare le regole, vorrebbe dire eliminare le frontiere non solo italiane, ma indirettamente anche quelle europee. Il fatto è che questi centri stracolmi e mal gestiti si sono trasformati in intollerabili luoghi di pena, in focolai di rivolta, in occasioni di sproporzionate repressioni. Lo strumento che doveva produrre ordine è diventato una fucina di dolore e disordine. Perciò, in Senato l’articolo che voleva alzare i tempi di permanenza fino a 18 mesi non è passato e il tentativo di riproporlo con una riduzione a 6 mesi nel decreto anti-stalking è fallito. Per ora, perché gira l’ipotesi di ripresentarlo nella versione aumento a 4 mesi,massimo 6. Insomma questa è una macchina che va a singhiozzo. Resta il fatto che, più i tempi aumentano, più i centri si riempiono e degradano.

Intanto la proposta di consentire e di fatto obbligare gli operatori sanitari, in quanto incaricati di pubblico servizio, a denunciare i pazienti senza permesso di soggiorno stava anch’essa producendo guai prima di essere approvata. Innanzitutto, promesse e dichiarazioni di disobbedienza civile che hanno coinvolto la gran parte del personale sanitario, inclusi molti elettori dei partiti di governo. Ma soprattutto la paura di essere denunciati aveva già drasticamente ridotto il numero degli irregolari che si facevano curare. In alcuni ospedali erano già state rilevate diminuzioni intorno al 15%, in altri fino al 50%. Anche se le strutture specificamente dedicate agli immigrati erano riuscite a tranquillizzare gli animi, questo non valeva per tutti gli ospedali e gli ambulatori, con la conseguenza di casi di malati ridotti in fin di vita pur di evitare il ricovero. Le associazioni dei medici hanno evidenziato anche la potenziale espansione di malattie infettive: un pericolo non vistoso e diluito nel tempo, quindi elettoralmente poco temibile. L’insieme di queste considerazioni pare che possa spingere a stralciare questa norma dal disegno di legge sulla sicurezza e a ripresentarla a parte magari debitamente riformata. Insomma si parte in quarta spensierati e poi si fa marcia indietro con un po’ più di pensiero. Si annuncia, si propone perché spesso quel che conta a livello elettorale è più l’altoparlante che la macchina: la retorica pubblica, la proclamazione di intenti, i comportamenti vistosi. Come nelle vecchie campagne elettorali, di fatto, le macchine delle decisioni pubbliche si muovono lentamente, cambiano percorso, possono persino cappottare e andare fuori strada, ma gli altoparlanti continuano ad andare a tutto volume. L’elettore spesso ci casca. Però il gioco della strombazzante macchina inconcludente non regge in eterno.

Ma quella macchina è sempre e necessariamente inconcludente? Se così fosse, staremmo freschi. Faccio solo due esempi positivi riferiti al governo in carica. La legge anti-stalking contro i comportamenti persecutori ha dato subito buoni frutti: solo nel primo mese sono state 54 le persone messe sotto accusa per minacce e molestie ripetute. Anche i vari provvedimenti voluti dal ministro Brunetta stanno avendo successo. Ad esempio, l’assenteismo nel settore pubblico si è molto ridotto rispetto ai dati di partenza, con una media che si può valutare intorno al 45%, ma con punte massime come quelle dell’Ispra che hanno raggiunto il 94%. E, quanto al referendum elettorale, la Lega fa bene a temerne il successo, perché, consegnando al partito che ha semplicemente più voti la maggioranza assoluta sufficiente a governare, renderebbe il suo ruolo superfluo. Come pure superfluo risulterebbe l’eventuale ruolo dell’Udc come possibile ruota di scorta in caso di defezione leghista. Berlusconi completerebbe in tal modo e senza colpo ferire l’opera di controllo sui suoi dopo aver contribuito a scompaginare con successo la squadra avversaria. Ma l’esito di un sì vittorioso dovrebbe impensierire un po’ tutti: quel che verrebbe fuori somiglia infatti in modo preoccupante alla legge Acerbo di fascista memoria. Insomma, talvolta le macchine delle decisioni pubbliche fanno retromarcia o avanti e indietro, vanno persino fuori strada, talvolta raggiungono le mete prefissate o almeno ci si accostano molto. Altre volte le mete le raggiungono sì, ma sono luoghi piuttosto insalubri per la democrazia.

Giovanna Zincone, Clandestini la macchina inceppataultima modifica: 2009-04-23T21:02:00+02:00da mangano1
Reposta per primo quest’articolo