Walter Vecellio, Che paese è ?

notizie radicali
venerdì 12 giugno 2009

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“Il leone del deserto” e la stupidità della censura. Che paese è, un paese che ha paura di un film?

di Valter Vecellio

“Il leone del deserto”, il film di Mpustapha Akkad che racconta l’epopea di Omar Muktar e la resistenza della guerriglia libica all’occupazione dell’Italia fascista (un film direttamente finanziato e fortissimamente voluto dal colonnello-dittatore libico Gheddafi), è la prova, ennesima, di quanto sia e possa essere stupida la censura. Sempre.

Realizzato nel 1979, proiettato nel 1980 negli Stati Uniti, nel 1982 a Parigi, nel luglio 1983 alla trentaquattresima Mostra internazionale del cinema non professionale, il film di Akkad in Italia non è mai stato proiettato, se non una volta – per quel che ci è dato sapere – nell’ambito del Mystfest di Rimini, diretto da Irene Bignardi. E l’altra sera da Sky. E’ stato vittima di un ostracismo, “Il leone del deserto”, tutto politico. Girato tra il 1979 e il 1980 da una troupe di attori, tecnici e comparse (circa ventimila persone) di varia nazionalità. Le sequenze del film sono state girate nel deserto, sugli altipiani della Libia e a Roma, negli stabilimenti di Cinecittà e al Centro sperimentale di cinematografia. Per girare gli esterni, Shabat e Anjullah, località sperdute nel Gebel cirenaico, sono state trasformate in un grande stabilimento cinematografico: 120 tende, dieci tonnellate di viveri, cinquemila cavalli sono alcune delle cifre che danno l’idea dell’impresa che, si dice, sia costata qualcosa come circa cinquanta miliardi di lire. Nel cast figurano Anthony Quinn (Omar Muktar), Oliver Reed (Rodolfo Graziani), Rod Steiger (Benito Mussolini), John Gielgud (Sharif el Gariani). Scenico, spettacolare, il film è indubbiamente un durissimo atto d’accusa nei confronti dell’Italia fascista. Gli americani, per esempio, si sono letteralmente flagellati nel raccontare la guerra in Vietnam; e non mancano le pellicole crude per quel che riguarda il conflitto in Irak. L’Italia ha un’altra “tradizione”. Un film come “Il leone del deserto” lo si è “semplicemente” censurato. Occhio non vede, cuore non duole.

“Sono fatti accaduti 52 anni fa e che ancora oggi non trovano posto nei libri di scuola”, annotava sul “Messaggero” del 14 marzo 1983 Angelo Del Boca. “Fatti che ora Akkad ci ripropone, con la grande suggestione del technicolor, con l’efficacia del più potente mezzo di comunicazione. Dobbiamo per questo aver paura di un brandello della nostra storia? Dobbiamo tenerlo sepolto, nel brulichio dei vermi, insieme ad altri episodi della nostra storia coloniale, che è ancora una vicenda per iniziati o specialisti? O non potrebbe essere questa, invece, l’occasione per una chiara presa di coscienza collettiva di un fenomeno, come quello coloniale, che è ancora pieno di zone buie, di miti e di agiografiche visioni? Non potrebbe, questo modesto film di Akkad, fornire il pretesto per avviare quel dibattito storiografico che è sinora mancato?”.

Può spiacere, e spiace, che dell’epopea di Muktar si sia appropriato un dittatore come Gheddafi. Muktar era nato a el Batuan, intorno al 1860 figlio di Muktar ben Omar e di Hargia Escia. Ha diciott’anni Muktar, quando il padre muore, durante un viaggio alla Mecca; Omar e il fratello Mohammed vengono inviati a Giarabub, per studiare presso quella scuola cranica. Omar vi rimane otto anni. Ha quarant’anni quando è nominato capo della zavia di el Gsur; due anni dopo è chiamato d’urgenza a Kufra, sono scoppiate le ostilità tra i francesi e le tribù dell’Uadai. Tornata la calma, Omar ottiene il permesso di tornare alla sua zavia di el Gsur, e si dedica all’insegnamento del Corano. Ha tre mogli, l’ultima delle quali è uccisa durante un combattimento nell’estate del 1927. Il suo acerrimo nemico Rodolfo Graziani così lo descrive nel suo diario: “Era dotato di intelligenza pronta e vivace, colto in materia religiosa; palesava carattere energico e irruente, disinteressato e intransigente; infine era rimasto molto religioso e povero, sebbene fosse stato uno dei personaggi più rilevanti della Senussia”; un giudizio sorprendentemente positivo e in netto contrasto con quanto lo stesso Graziani aveva scritto qualche pagina prima: “…Un beduino come gli altri, senza nessuna cultura e nessuna idea del vivere civile, fanatico e quanto mai ignorante; sapeva appena vergare la sua penna…”. Protagonista di una astuta guerriglia contro i soldati di Graziani, alla fine catturato, à impiccato e oggi è considerato uno degli eroi nazionali della Libia.

“Il leone del deserto”, racconta Akkad, “tratta di avvenimenti recenti e , e tanti combattenti, compagni di lotta di Muktar, sono ancora in vita; li abbiamo incontrati e abbiamo avuto da loro informazioni e documenti utili; la selezione che abbiamo operato su tutti questi materiali e su queste testimonianze potrà far nascere delle critiche in quanto alcuni personaggi dell’epoca menzionati dagli intervistati non sono stati presentati nel film insieme all’eroe principale. La sceneggiatura del film tuttavia si basa sulle testimonianze di coloro che hanno combattuto a fianco di Omar Muktar e ci hanno fornito quindi notizie attendibili di una realtà non precisa…”.

Nel suo “Cirenaica pacificata”; Graziani racconta il processo a Muktar: “Alle ore 17 del giorno 15, nel salone del palazzo Littorio, già sede del parlamento pirenaico, ebbe luogo il processo. E non a caso questo clamoroso dibattito fu celebrato colà. Volli che vi si tenesse per dimostrare chiaramente a tutti come la politica di compromessi di altri tempi era tramontata per sempre. Una folla compatta si metropolitani e di indigeni corse ad assistere all’interessante dibattimento; altri, che non avevano potuto trovare posto nell’aula, ne attesero fuori l’esito. Il tribunale era presieduto dal ten. col. Marinoni. Pubblico Ministero l’avv. cav. uff. Bedendo. Capitano Lontano, difensore.
Omar Muktar ammise tutti i capi d’accusa, negando solo di aver direttamente ordinato sevizie sui nostri prigionieri in genere. Dopo l’arringa del P.M. e quella della difesa, il tribunale, riunitosi in camera di consiglio, avendo ritenuto Omar Muktar responsabile dei reati a lui ascritti, lo condannava alla pena della morte. Tradotta la sentenza al giudicato, questi disse: “Veniamo da Dio e a Dio ritorniamo”…”.

La sentenza viene eseguita il giorno successivo. Ancora Graziani: “Il mattino del 16, alle 9, nella piana di Sarouk, presenti tutti i notabili confinati a Benina, e quelli bengasini, nonché molta popolazione convenuta dai campi vicini, ebbe luogo l’esecuzione capitale secondo gli usi locali. L’impressione prodotta fu profondissima. Assistettero non meno di ventimila persone. La salma, trasportata a Bendasi, fu inumata al cimitero dei Sabri. Con la scomparsa del capo della ribellione pirenaica una nuova vita si iniziava per la colonia che ardentemente aspirava alle opere di pace…”.

Per la cronaca: al momento della cattura di Muktat, sul Gebel rimanevano ancora 714 armati, che successivamente – così si esprime Graziani – “vennero eliminati”: 280 uccisi, 136 confinati, 298 sottomessi. Il costo della repressione non può essere calcolato con esattezza, data la scarsità e la genericità delle cifre rese note. Secondo le valutazioni ufficiali italiane, la Cirenaica negli anni Venti aveva circa 225.000 abitanti, che nel censimento del 1931 risultarono ridotti a 142.000 più 18.500 italiani. Circa 20.000 arabi erano fuggiti in Egitto, gli altri 60.000 morirono per la fame, la fatica o le malattie nel corso della deportazione. Cifre, come si è detto approssimative; dati più credibili probabilmente sono sepolti negli archivi italiani, se solo si trovasse il coraggio di renderli noti. Il bestiame, che costituiva l’unica ricchezza della popolazione, venne massacrato scientificamente; si passò da oltre un milione di pecore e capre, a meno di centomila; da ottantamila cammelli a quindicimila; da ventiquattromila bovini a duemila. La società semi-nomade del Gebel fu così distrutta alle radici con un genocidio freddamente preparato e portato a termine sotto la copertura della censura e della propaganda fascista.

“Il leone del deserto” racconta questa pagina non edificante della storia recente italiana; in un paese maturo non si avrebbe paura di un film del genere. Magari si organizzerebbe una rassegna che comincia, per esempio, con “L’altra razza” di Augusto Camerini; prosegue con “Fiamme abissine” e “Alima”, di Gino Cerruti; propone “Kiff Tebby” e “Il grande appello”, di Mario Camerini, “Lo squadrone bianco” di Augusto Genina; documentari dell’istituto Luce come “Sulle orme dei nostri pionieri” e “Il cammino degli eroi”; e il classico “Scipione l’Africano” di Carmine Gallone; e ospita infine il film di Akkad. Un paese maturo non ha paura della sua storia, anche quando è una brutta pagina di storia; la studia, la analizza, riflette, si confronta. Un paese che ha paura di un film, come l’Italia ha avuto paura de “Il leone del deserto”, che paese è?

Walter Vecellio, Che paese è ?ultima modifica: 2009-06-15T12:01:08+02:00da mangano1
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