Mario Domina, Specchio delle mie brame

La Botte di Diogene – blog filosofico

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Specchio delle mie brame
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mario.jpegSe è corretto ridurre la sfera umana alla sua essenza istintiva e primordiale – la cupiditas, il Desiderio, l’affermazione vitale che è insieme conservazione e aumento del proprio essere; ammesso (e non del tutto concesso) che sia un’operazione legittima, sorge inevitabilmente un problema etico e politico ogni qual volta tale nucleo della natura umana – che si ritiene, a torto o a ragione, indomabile – viene, per qualche motivo, posto sotto controllo. Cioè: viene fatto “ragionare” – in genere per essere ridimensionato e composto con le altre sfere vitali.
(Metto per ora tra parentesi la questione, non certo secondaria, della storicità dei bisogni e desideri: quel che desideriamo oggi o qui in Occidente è differente dai desideri del Seicento o di quel che resta del popolo indios Nambikwara).
Torno al nocciolo: finché cozzano le cupiditates di Tizio o di Caio – di singoli individui – poco importa (se non a Tizio e a Caio). Si tratterebbe tutto sommato di conflitti limitati e più o meno “naturali” (con le virgolette del caso). Il bellum omnium diventa devastante non quando gli individui sono sciolti, ma al contrario, quando sono associati. Dalla tribù all’impero, dal partito all’associazione mafiosa, dall’ultimo staterello alla potente nazione confederale, il problema è quello della cupiditas organizzata. In stato, in classe, in etnia o razza dominante, in genere, e così via. Di nuovo, poco importa la specificità di tali forme (se non agli stati, classi, etnie eventualmente soccombenti).

Solo in tal caso la “misura” può saltare davvero, e la hybris – la tracotanza – diventare pericolosa. Direi che il problema della cupiditas diventa esiziale nella nostra epoca perché la misura è colma, e anzi deborda in termini ecosistemici. Cioè le diverse cupiditates, oltre alla perenne guerra intestina, sono entrate ormai in conflitto con il loro principale generatore – madre Natura. Come a dire che la cupiditas rischia di annichilire se stessa autodivorandosi!

Bene (anzi male!). Introduciamo ora l’altro attore sulla scena: la Ragione (che comunque era sempre stata lì: la cupiditas non può ragionare di se stessa per definizione). Se io (mettiamo tra parentesi il significato di questa particella ambigua) ne prescindo e “ragiono”, cosa faccio fondamentalmente se non organizzare meglio la mia cupiditas in termini spaziali e temporali? Disloco ed eventualmente differisco la soddisfazione dei desideri; metto in relazione e commisuro le mie brame alle risorse che ho a disposizione; economizzo, programmo, investo, progetto, ecc. ecc.
Se una società “ragiona” fa altrettanto. Se poi lo fa la specie, dovrebbe farlo all’ennesima potenza, soprattutto per quanto concerne l’attività razionale più importante, e cioè la visione d’insieme e il calcolo delle conseguenze delle azioni.
Ma, si sa, la ragione è ancipite (oltre al fatto, un po’ noioso visto che mi tocca sempre di ricordarlo, che diviene ed è storicamente determinata, come del resto tutte le cose umane). E’ insomma un Giano bifronte con un volto posato e lungimirante, e l’altro scarmigliato e pazzoide, dato che può diventare un terribile moltiplicatore della cupiditas, mentre contraddittoriamente ne è anche un censore e un controllore. Cioé: la brama, è anche e propriamente brama conoscitiva, espansione di sé attraverso tecniche e protesi, dominio della natura, razionalizzazione progressiva del mondo, biotecnologia – cioè assoggettamento razionale del bios medesimo. Come si esce da questa eventuale impasse?
In teoria l’arte politica (la politica vera, non il pattume cui quotidianamente assistiamo) dovrebbe avere proprio la funzione plasmatrice e tessitrice – il lungo e paziente lavorìo della mediazione – al fine di consentire alla cupiditas di non traboccare, alla “follia razionale” del fare di non strafare (e di non “sbroccare”), contenendo magari non solo gli impulsi ma anche i nostri “scienziati pazzi” e apprendisti stregoni, e, in ultima analisi, ponendo agli individui, ai gruppi, alle società, alla specie tutta l’obiettivo finale di con-vivere e con-essere senza procurare a sé e al mondo circostante danni eccessivi.
Non si pretende la pace universale e perpetua (che assomiglia un po’ troppo al requiem eterno), ma un conflitto che non sia guerra, una forma vivace e dinamica di convivenza dei diversi e di armonia dei disarmonici che tenga sotto controllo la cupiditas nelle sue forme estreme e violente. Una politica razionale del limite e un limite politico imposto tanto alla cupiditas quanto alla ragione.
In pratica un’arte difficile, anzi impossibile, ma quantomai necessaria.

Mario Domina, Specchio delle mie brameultima modifica: 2009-06-24T21:44:00+02:00da mangano1
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