Massimo Gaggi, La rivoluzione di Twitter

dal corriere della sera  24 giugno 2009
massimo.jpeg
GIORNALI E TV COSTRETTI A INSEGUIRE IL MICROBLOGGING
La rivoluzione di Twitter
manda in affanno i media
Le reti sociali impongono una ridefinizione del giornalismo

Dal nostro inviato Massimo Gaggi

NEW YORK – Vai, col computer o col telefonino, su Twitter, la rete basata su micromessaggi (140 caratteri al massimo) che sta esplodendo negli Usa (un milione di utenti un anno fa, 17 oggi) e nel resto del mon do, e sprofondi nei più noiosi diari di vita quotidiani che si possano immaginare: gente che racconta «in diretta« a gruppi di amici, ai genitori o a fan (nel caso dei messaggi in viati da star dello spettacolo o dello sport) cosa sta facendo, cosa sta comprando al super­mercato, a che ora andrà a prendere i figli a scuola. Ma quando il jet della US Air am mara sul fiume Hudson o quan do c’è il terremoto a Los Ange les, la notizia arriva coi messag gi di Twitter molto prima che sugli schermi della CNN o sui terminali dell’Associated Press: un cambiamento che co stringe i giornalisti a dotarsi di una nuova «cassetta degli at trezzi » per affrontare rivoluzio ni tecnologiche che stanno cambiando il modo di fare in formazione. Poi arriva la rivolta in Iran e scopri che, con i corrisponden ti stranieri messi alla porta dal regime degli ayatollah, Twitter diventa l’unico vero canale di informazione su quello che sta accadendo nel Paese: migliaia di ragazzi armati di cellulare che trasmettono brevi messag gi e immagini della sommossa e della repressione.

(Reuters)
E che con Twitter sfuggono alla censura del regime che può oscurare le tv e «militarizzare» i siti Inter net, ma non riesce a bloccare la rete di micromessaggi che, per funzionare, non ha biso gno di un indirizzo di posta elettronica. Così il fotogram ma della morte di Neda rimbal za su milioni di terminali di tutto il mondo, diventando l’immagine simbolo della rivol ta. Per l’informazione è un vero cambio di paradigma: fare gior nalismo diventa (anche) saper dominare le nuove tecnologie, aggirare i muri della censura, ma anche filtrare fonti la cui at tendibilità è tutta da dimostra re, visto che, per evitare le «re tate » della polizia elettronica, devono restare ignoti sia l’iden tità di chi fornisce la notizia sia il luogo dal quale parte il messaggio. Il cronista deve do tarsi di nuove antenne e di fil tri per valutare il flusso di ma teriale prodotto dal cosiddetto «citizen journalism»: il volon tariato dei cittadini che produ cono informazione. La tecnologia diventa la chia ve di tutto: i governi autoritari cercano di imbrigliarla. Pechi no all’improvviso impone a Go ogle di bloccare l’accesso dei suoi clienti cinesi ai siti stranie ri e stabilisce che tutti i nuovi «personal computer» venduti nel Paese devono incorporare un «poliziotto elettronico»: for malmente un filtro antiporno, di fatto un disabilitatore dell’ accesso a tutti i siti che tratta no argomenti che hanno rile vanza politica. A Teheran il go verno teocratico, che nei mo menti di maggior tensione arri va a disattivare l’intera rete te lefonica, investe massiccia mente su sistemi di controllo di tutte le informazioni che cir colano su Internet. Tecnologie fornite da gruppi industriali europei, soprattutto Siemens e Nokia.

Una guerra fatta di filtri e controfiltri, perché per ogni lucchetto elettronico che viene serrato, i «geni» della rete si sforzano di trovare un modo per aggirare la censura. La rapida evoluzione tecno logica spiazza i regimi autorita ri, ma mette in affanno anche i canali informativi tradizionali: dopo secoli di carta e inchio stro, i giornali avevano appena cambiato rotta, ospitando an che «blog» sui loro siti, quan do è esploso il fenomeno delle reti sociali, Facebook in testa. Negli Usa giornali e tv hanno cominciato ad adattarsi a que sta nuova realtà quando è esploso il fenomeno dei micro messaggi. «Davanti a Twitter», sostie ne Sree Sreenivasan, «guru» dei nuovi media e docente del la scuola di giornalismo della Columbia University, «Face book diventa una roba da Di ciannovesimo secolo». Il «mi croblogging » può improvvisa mente trasformare gente che ha macinato per mesi e mesi solo messaggi banali, in repor ter, fotografo, cameraman. Co sì anche il lancio, la settimana scorsa negli Usa, dell’iPhone di ultima generazione, diventa un momento rilevante della battaglia per la ridefinizione dei rapporti di forza nel nuovo «ecosistema» dell’informazio ne: un terminale capace di ri prendere immagini molto det tagliate e di rendere la tv piena mente accessibile dal cellulare. Tra le varie rivoluzioni attra versate dai media – crisi dei giornali di carta, crollo delle entrate pubblicitarie dei mag giori gruppi editoriali e feno meni come YouTube che insi diano il mercato televisivo quella dei «social network», unita alla diffusione dei telefo nini «intelligenti», è sicura mente la novità che sta scon volgendo in modo più radicale il mondo dei «media».

Mentre gli editori si chiedo no come affrontare la trasfor mazione delle notizie in «com modity » che tende ad azzerar ne il valore economico, i gior nalisti sono sommersi dai deca loghi su come selezionare e usare le nuove fonti, evitando le trappole (brillanti reportage sul Dalai Lama su Twitter sal vo scoprire, alcuni giorni do po, che si trattava di un falso) e partecipano a corsi e campi estivi dedicati allo studio dei nuovi «media». Dove le novi tà, più o meno inquietanti, non finiscono mai: a chi gli chiedeva come sia possibile va lutare l’attendibilità di un cer to flusso di micromessaggi, qualche tempo fa il cofondato re di Twitter, Biz Stone, ha ri sposto che forse in futuro di sporremo di un «algoritmo del la credibilità», basato su un esame grafico dell’attendibili tà delle notizie fornite da una certa fonte in un dato arco di tempo

24 giugno 2009

Massimo Gaggi, La rivoluzione di Twitterultima modifica: 2009-06-24T21:35:00+02:00da mangano1
Reposta per primo quest’articolo