Giorgio Saglietti, Clandestini

ricevo e invio  per discutere

 

giorgio saglietti, CLANDESTINI

editoriale di Tempi di fraternità

 

Giugno-Luglio 2009

Un modello di società che si organizza per
fabbricare i poveri, sfruttarli e ucciderli
quando comincia ad averne paura (perché
sono troppi) e poi si affanna per mettere in
vista le proprie “radici cristiane”, non può essere
considerata la patria di chi crede nei diritti umani.
Se poi uno credesse in un Dio che sta alla fonte
dei diritti umani, non potrebbe rendersi complice
di questa società e dichiararsi discepolo di
Gesù di Nazaret. Non gli resta che la ribellione,
prima di tutto interiore.
Quasi una parabola evangelica
Il Signor Ministro si stava chiedendo un giorno:
“Che cosa posso fare di più contro l’immigrazione
clandestina per avere una poltrona a vita?”.
Un telegiornale raccontò: a Palermo in centro città
un uomo è stato aggredito a martellate in pieno
giorno e abbandonato agonizzante in mezzo a una
folla di gente per bene che si scansava e tirava dritto.
L’assassino stava dileguandosi senza fretta,
quando veniva bloccato e immobilizzato da due
clandestini di pelle nera, che lo consegnavano alla
polizia. Il Ministro, uomo fondamentalmente onesto,
chiamò il Prefetto di Palermo per verificare la
notizia e, ottenuta la conferma, chiese al Prefetto:
“Secondo lei, chi è veramente degno di essere considerato
un buon cittadino?”. “Chi ha assicurato il
criminale alla legge”, rispose il Prefetto. Il Ministro
allora rassegnò le proprie dimissioni, perché
si era accorto di avere sbagliato tutto: aveva scoperto
che gli unici cittadini degni di questo nome
erano i due neri clandestini e lo dichiarò a un giornalista,
ma un’ora dopo era già internato in una
clinica per malattie mentali e sostituito con un sosia
sano di mente e di solidi principi nazionalisti.
“Prima si adattino alle nostre leggi
e si mettano a lavorare”
La quasi totalità dei circa cinque milioni di immigrati
regolarizzati è entrata in Italia clandestinamente
e si è messa a lavorare in nero in attesa di
regolarizzazione. Cioè si è adattata scrupolosamente
alle nostre leggi, prima fra tutte la legge
del lavoro nero. Sono circa un milione gli stranieri
che lavorano in Italia da anni in nero e spesso
schiavizzati, perché le regolarizzazioni arrivano
con il contagocce. Non c’è fretta: finché sono clandestini,
sono un rivolo d’oro che impingua le casse
della mafia e dei grandi elettori, che nessun ministro
osa seriamente mettere in discussione. Oltre
a tutto, se le morti “bianche” riguardano un
lavoratore “in nero” si trasformano in incidenti
stradali con vittime di ignote generalità, travolte
dal solito pirata alcolizzato, quasi certamente rom.
Ottime inchieste giornalistiche e televisive hanno
dimostrato le condizioni orribili in cui vivono gli
schiavi del caporalato: indifferenza generale, mentre
le “radici cristiane” si concretizzano in aiuti
alle scuole private e in esuberanti processioni,
spesso sponsorizzate dai capi-bastone, come dimostra
la vicenda dei tanti don Puglisi…
“Massima accoglienza verso chi viene
per lavorare, massima cattiveria verso
chi viene per delinquere!”
Il PIL della malavita (che supera quello ufficiale
degli Stati) ha bisogno di manodopera criminale
in Europa, come ha bisogno in Africa di bambini-
soldato per mantenere accese le “guerre tribali”
dei caporioni graditi a questo “Occidente cristiano”
che rapina da cinquecento e più anni i quattro
angoli del mondo. E
4 empi di fraternità
Giugno-Luglio 2009
biamo scoperto che con i nostri respingimenti (o
riaccompagnamenti, che fa più fino) facciamo
pure bella figura come cortigiani, unendo l’utile
al dilettevole. La “crisi” è la più recente delle invenzioni
mediatiche per azzerare il senso di dignità
e di solidarietà della gente e scatenare le
guerre tra poveri (da noi le tribù si chiamano Fiat,
Opel, Chrysler, e così via) e siamo già a un buon
punto di cottura: dare un giocattolo a un bambino,
poi levarglielo improvvisamente, niente di
meglio per farlo incattivire verso il fratellino che
ne ha ancora uno. Le grandi Guerre Mondiali sono
nate così, anche se sono state confezionate nella
carta variopinta del patriottismo futurista.
Nessuno viene per delinquere, come nessuno vuole
partire a fare la guerra: ma dovunque si trovi
qualcuno disposto a comperare, arriva qualcuno
che ha bisogno di vendere (o vendersi): elementare
legge di mercato che i “clandestini” osservano
scrupolosamente, essendo stati posti per secoli
nelle dovute condizioni di bisogno. Ma nessuno
dice “Massima cattiveria verso chi campa sul
mercato degli schiavi”. Non è politicamente corretto
e non porta voti alla casta.
Moderatismo e moderazione
Chi ha inventato la dittatura della borghesia forse
non prevedeva la risposta in termini di dittatura
del proletariato. Il sogno del capitalismo
ottocentesco era la felicità del genere umano nel
giro di pochi decenni. Il sogno del socialismo reale
del Novecento era uguale, senza date precise
di scadenza, ma in pochi decenni si rivelò fallimentare.
E se la smettessimo con i messianismi
dal fiato corto? La gente vuole sicurezza: l’importante
è farle credere che gliela stiamo confezionando
a spese altrui. Una volta “la gente” applaudiva
un “uomo fondamentalmente buono”
quando dichiarava guerra agli Stati Uniti da un
balcone di Piazza Venezia, perché “aveva sempre
ragione”: la stessa gente applaudiva quando il cadavere
di quest’uomo pendeva alla rovescia in
Piazzale Loreto. La “gente” ha sempre ragione?
No. Il relativismo non è il solo criterio per la politica.
Si tratta di ridimensionare l’immaginario
dominante della felicità abbandonando l’idea di
farla coincidere con il paese dei balocchi, soprattutto
se declinato in termini religiosi, di Aldilà, di
Retribuzione (termine mercantile quanto mai), di
Premio o Castigo con angioletti osannanti o sacre
veline compiacenti, e così via. Gesù non è
venuto a insegnarci come dobbiamo nascere o
morire, ma come viverci, in questo mondo e non
in un altro, qualunque esso sia: per questo è stato
liquidato così rapidamente da chi aveva fretta: di
fare carriera, di convertire gli infedeli, di imporre
un suo personale modello di pace, di difendere
il dio sessuofobo, burattinaio e castigamatti che
si era fabbricato e gli tornava così comodo.
Vivere con moderazione in modo consono ai ritmi
e alle risorse di questa Terra Madre è il progetto
iniziale – “custodite e coltivate questo giardino” –
che oggi è rivoluzionario perché deve mostrare la
menzogna di ogni moderatismo (dello sviluppo
sostenibile, degli inceneritori energetici, delle centrali
nucleari, dei voli spaziali, dei gioielli insanguinati,
delle coltivazioni desertificanti…). Una
rivoluzione tutta da inventare, giorno dopo giorno,
come una preghiera quotidiana.
“Ora et labora”
Mentre l’Impero “cristianizzato” sotto il monogramma
costantiniano si andava sbriciolando e la
chiesa romana, imperializzata e corrotta, da perseguitata
diventava persecutrice, un ragazzo di
Norcia, di buona famiglia, veniva spedito dalla
nativa Umbria a Roma, scortato dalla fida badante,
per fare gli studi superiori e laurearsi onorevolmente.
Ci rimase poco, rivoltato dal malcostume
civile ed ecclesiastico che mandava in crisi la sua
giovane e fresca fede di periferia. Non aveva forse
neppure vent’anni quando licenziò la badante e
se ne andò in montagna, dove lo raggiunse la sorella
gemella, Scolastica, che condivideva i suoi
dubbi e le sue scoperte, sulle pagine del Vangelo.
Furono presto un punto di riferimento e di attrazione
per altri giovani colti e inquieti, che avevano
capito la differenza tra “cristianizzare” e
“evangelizzare”, tra il farsi mantenere dal lavoro
altrui e mantenersi con il proprio lavoro, tra immaginare
un mondo tra le nuvole e crearne uno
tutti giorni con le proprie mani. Erano laici, uomini
e donne, e furono la prima ossatura dell’Europa.
Poi l’Impero si impadronì di loro e li fece
diventare “Benedettini”, con monasteri giganteschi
e straricchi, e furono la prima ossatura delle
multinazionali.
“Hospes tamquam Christus”
Preghiera, lavoro, accoglienza. L’ospitalità verso
i pellegrini e gli stranieri fu il terzo grande
caposaldo della spiritualità elaborata da Benedetto,
Scolastica e i loro compagni di avventura.
Mentre i “poteri forti” gestivano il Vangelo a proprio
comodo per costruire il Sacro Romano Impero,
le comunità di Benedetto e Scolastica inventavano
la democrazia (il “capitolo”, come un parlamento,
discuteva le questioni comuni e decideva a
maggioranza). Sulle porte della casa comune una
scodella era il segno che chiunque poteva bussare
e chiedere un pasto povero. Ma caldo.
Lo sconosciuto che arriva è Gesù. Specialmente
se è un perseguitato. Con tutti i rischi del caso.

Giorgio Saglietti, Clandestiniultima modifica: 2009-07-05T15:49:17+02:00da mangano1
Reposta per primo quest’articolo

Un pensiero su “Giorgio Saglietti, Clandestini

I commenti sono chiusi.