Paco Ignacio Taibo II,L’altro Che

 

 

CHE .jpegL’altro Che
di Paco Ignacio Taibo II – 25/04/2010

Fonte: La Repubblica

Paco Ignacio Taibo II traccia un ritratto di Tony Guiteras, lo studente universitario che divenne l’eroe cubano promotore della rivoluzione del 1933, quando un’insurrezione popolare sovvertì il regime filostatunitense di Machado instauratosi nel 1927. Ne scaturisce la storia dell’isola di Cuba in quegli anni cruciali che vanno dal 1930 al 1935.

Ho detto chissà quante volte in conversazioni con amici, giornalisti, editori, che le tre figure rivoluzionarie dell’America Latina che più mi affascinavano erano Pancho Villa, Che Guevara e Tony Guiteras. Quasi sempre mi sono sentito chiedere «Tony chi?». E ogni volta cresceva la mia volontà di scrivere questo libro. Purtroppo, al di fuori di Cuba, trattato unicamente dalla storiografia nazionale che si occupa della rivoluzione e dell’esilio, Tony rimane uno sconosciuto. Ma un personaggio simile, in un continente come il nostro, che lotta per recuperare la propria memoria storica, non merita questo destino. […]
La storia di un ambasciatore Usa democratico e liberale alleato con latifondisti, sergenti golpisti e generali conservatori per salvare un tiranno sanguinario; un uomo votato a una sola causa alla guida di un gruppo di operai in possesso della verità ribelle a metà strada tra la tragedia byroniana e il realismo socialista […].
Alla fine degli anni venti, si instaurò a Cuba una dittatura capeggiata da Gerardo Machado. La tardiva indipendenza cubana (fu l’ultima dell’America Latina) e l’intervento nordamericano avevano imposto al Paese un’immensa dipendenza dai gringos, espressa dall’Emendamento Platt che permetteva l’ingerenza statunitense nella vita pubblica del Paese fino a prevedere invasioni militari. Machado rinforzò sempre più questa relazione, unita a una potente dose di corruzione. Nel 1927 si sarebbe dichiarato ammiratore di Mussolini […] e avrebbe sostenuto: «Gli unici a lamentarsi della situazione sono i biscazzieri e i vagabondi». Curiosa interpretazione della realtà cubana, perché a Cuba i giocatori d’azzardo non si lamentavano di nulla, vivevano come al solito in quella combinazione di paradiso e inferno in cui sono soliti vivere. Comunque, una manifestazione di disoccupati avrebbe innalzato questo striscione: «Generale, i biscazzieri e i vagabondi ti salutano».
Fu un movimento studentesco, nel quale apparvero per la prima volta le donne, ad affrontarlo. Per cinque anni, prima nelle strade e poi rispondendo alla violenza crescente della polizia con la violenza. Anni terribili. Nel 1933 uno sciopero generale dei lavoratori lo rovesciò. L’ambasciatore americano cercò di sostituire Machado con una figura fantoccio, ma il movimento prese la forma di un’insurrezione dei sottufficiali e portò al potere un medico e docente universitario, Grau San Martín, e come segretario al Governo uno studente della sinistra radicale, Tony Guiteras. Per cento giorni il Paese visse la rivoluzione. Ci fu poi un contro golpe e due anni di una nuova dittatura filostatunitense che uno sciopero generale nel 1935 tentò di rovesciare.
In questo contesto, questa sarà la storia di molti personaggi straordinari. Tony Guiteras, un adolescente che affrontava la malattia con la forza di volontà, uno studente di farmacia al quale piacevano le piante curative, un leader studentesco che si giocava la vita tutti i giorni, un rivoluzionario che, assunto l’incarico di ministro degli Interni, espropriò le imprese dell’energia elettrica statunitensi a colpi di decreti e in punta di pistola, promulgò la legge sul salario minimo, sulla giornata lavorativa di otto ore, che cercò di togliere i cimiteri dal controllo della Chiesa e che nominò le prime donne sindaco dell’America Latina; uno a cui piaceva farsi fotografare accanto a due donne bellissime, ma che raramente sorrideva; che si sedeva sul pavimento come un Budda e fumava sigarette accendendole con il mozzicone di quella precedente; uno così puro ideologicamente che suscitava l’amore incondizionato degli amici e un brivido nella schiena dei nemici. Un uomo che fece una lettura non bolscevica della rivoluzione russa e mescolò le lezioni di Bakunin e di Durruti alla logica dei socialdemocratici adleriani e agli insegnamenti dello Stalin-Kamo espropriatore. Ma questa è anche la storia di un ambasciatore statunitense che voleva dominare un Paese che non era il suo. Da buon democratico liberale newyorchese non poté evitare di salvare la pelle a un dittatore sanguinario, di allearsi con terroristi, filofascisti, latifondisti della canna da zucchero, generali conservatori e sergenti golpisti; perché era un uomo dell’impero e governato dalla logica imperiale. Che spostava trenta navi da guerra con duecento cannoni mentre si dannava l’anima; uno che per la smania di dimostrare la propria intelligenza, posseduto dalla brama di controllare e cospirare, finì per diventare machiavellico.
Fanno parte di questa storia anche un sergente stenografo, buon lettore di libri non molto buoni e accanito compratore di biglietti della lotteria, che nel giro di poche ore diventò colonnello; al quale una volta avevano negato l’accesso nello Yachting Club de L’Avana perché si diceva avesse nelle vene sangue cinese, indio e africano; che senza quasi rendersene conto scalò le vette del potere assoluto in nome di una rivoluzione che non era più tale finendo per macchiarsi le mani con il sangue.
In primo piano, c’è senza dubbio un giovane avvocato dirigente comunista. Pur essendo pervaso dal settarismo stalinista, in fondo all’anima e a fior di pelle era un grande poeta e sarebbe morto precocemente di tubercolosi. Un uomo votato con fedeltà assoluta a una sola causa e ai suoi principi, alla guida di un gruppo di eroici e generosi operai pericolosamente in possesso della verità rivoluzionaria. […]
E ci sono altri personaggi singolari, come uno scrittore di nome Pablo, forse uno dei migliori giornalisti dell’America Latina, preso dalla passione di vivere la storia per raccontare storie, e che passò buona parte della giovinezza in carcere e in esilio e che era talmente cubano da farsi scendere le lacrime nella nebbia di New York.
E con loro c’è un presidente che avrebbe potuto perdere tutto a causa di uno scherzo, ma che neppure rinunciava a farne; un paio di avvocati aristocratici che inventarono un movimento civico terrorista di destra; un dittatore butterato dal vaiolo che chiamavano “l’asino con gli artigli”; un torturatore che trasformò la polizia di Santiago de Cuba nel suo strumento privato di lucro e di terrore; un venezuelano che partecipò a tutte le rivoluzioni; una cubano-irlandese dai capelli rossi che sequestrava milionari con un mitra in mano.
Una storia che si svolse a Cuba. Con il 1933 come asse portante, l’anno della Revolución: suffragiste, studenti bombaroli, scioperi generali, […] orchestre femminili, locali a luci rosse incendiati, torturatori impazziti, masse insorte alla maniera di Fuenteovejuna, marines statunitensi nel porto de L’Avana. Con tanto materiale c’era da scrivere un romanzo, ma ne è venuta fuori una storia narrata.
Il miglior prologo a questa storia lo avrebbe scritto Pablo de la Torrente Brau a New York qualche mese dopo la morte di Guiteras; e lo avrebbe fatto nonostante le differenze di scelte politiche e l’involontaria distanza.
«Nella sua appassionante carriera politica ci sono pagine allettanti per uno storico coraggioso disposto a raccontare la verità e insieme l’angoscia di un uomo onesto giunto al crocevia di tremendi dilemmi […] Antonio Guiteras, come uno che sopravvive a un’imboscata, attraversò quei momenti, sentendosene oppresso, ma fermo nella propria fede, in preda alla febbre della rivoluzione. Perché la rivoluzione fu come una febbre nell’immaginazione di quest’uomo. E per questo visse terribili deliri, potenti allucinazioni, affascinanti fantasie e sogni meravigliosi e per lui irrealizzabili. Era come un uomo che, al risveglio, voglia realizzare ciò che ha concepito in sogno. Spesso non seppe riconoscere gli uomini, dando fiducia a chi non la meritava e chiamando amico chi si sarebbe rivelato un traditore, ma intuì il talento in qualche idiota. Trascinato dalla febbre, ebbe l’impulso di fare tutto. E fece più lui che migliaia di altri. E serbava il segreto della fede nella vittoria finale. Irradiava calore. Era come una calamita che attirava gli uomini e gli uomini si sentivano attratti da lui. Per loro era misteriosa, ma irresistibile, quella silenziosa determinazione, quell’immaginazione fissa su un solo punto: la rivoluzione. Ebbe anche difetti. Nel giorno del castigo non avrebbe concepito il perdono. Era un uomo della rivoluzione. E anche lui non aveva nulla di perfetto».
Questo è un libro complesso, troppi personaggi, troppe storie, troppe forze sociali in azione; ma la complessità non solo è attraente e affascinante, è anche molto più vicina alla realtà di quei materiali semplificati che ci hanno spacciato per storia. La complessità induce ad amori contrastanti, a riflessioni più lucide e meno facili.
Raccontare di uomini d’azione è essenzialmente un compito di ricerca sugli eventi, il contesto, le interazioni e, solo a quel punto, le riflessioni che si facevano al riguardo e il modo in cui si pensava di loro. Come dice Martínez Heredia: «La storia che si limita a osservare le organizzazioni politiche attraverso gli atti e le dichiarazioni è cieca e viene a patti con i fantasmi».
Ho cercato di situare i personaggi nel loro presente, gli eventi accaduti tra il 1930 e il 1935, e in parte gli antecedenti. Quello che poi sarebbe stato della storia di Cuba fu fatto dopo, e guardare il passato dal futuro provoca nel migliore dei casi una distorsione a discapito della genuinità. Su questo aspetto particolare, la rivoluzione cubana del gennaio 1959 con le sue conseguenze impone senza volerlo sfumature che deformano la storia della rivoluzione del 1933. I personaggi sopravvissuti verrebbero giudicati per come si sono comportati di fronte alla grande spaccatura sociale del ‘59, e non solo per le azioni compiute nel ‘33. Da L’Avana e da Miami la storia della rivoluzione del ‘33 è stata letta come un prolungamento della polemica tra castrismo e dissidenti reazionari, liberali filoimperialisti, anarchici, socialdemocratici. Accadrà lo stesso con le figure dei morti. Quasi tutti subiranno aggiustamenti storici in funzione di un’altra polemica.
Ho cercato di raccontare le storie della rivoluzione del ‘33 all’interno della loro prospettiva, con i miei amori e le mie simpatie, ma senza alcuna autocensura e calandole nel contesto degli anni trenta; che gli uni e gli altri mi perdonino, compresi i guardiani delle ortodossie, coloro che vigilano sulle dottrine del passato, ai quali questo libro non piacerà. […]
Un libro di storia è, contrariamente a quanto potrebbe sembrare, una versione assolutamente non definitiva degli avvenimenti. Un’altra tessera del grande mosaico.
(Traduzione di Pino Cacucci)

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