Picasso contro Gertrude Stein

da IL GIORNALE
Picasso contro Gertrude: “Maiale, anzi ippopotamo”

Lei lo aveva scoperto, e lui era deluso dalla sua infatuazione per altri artisti. E quanti litigi sulla guerra civile spagnola…

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Quando nel 1933 uscì l’Autobiografia di Alice B. Toklas Gertrude aveva quasi sessant’anni. Aveva scelto ironicamente il nome dell’amata perché non voleva essere solo una testimone al centro di un’epoca inimitabile, come Alice. Sapeva di essere stata la levatrice di un nuovo modo di creare che si estendeva dall’arte alla letteratura. Ma, nei momenti di sconforto, dubitava del suo valore. Cercava di risolvere il dilemma con un’equazione: solo un genio può scoprirne un altro. Se tante sue scoperte non si erano ancora affermate o non le sembravano all’altezza, il genio di Picasso era innegabile, come il fatto che era stato scoperto da lei.
In quelle pagine vivide e ironiche regolò i conti con Hemingway, presentandolo per quel che era e non voleva essere: un falso sportivo, un finto duro, un provinciale.
Miss Stein era stato il primo motore immobile della nuova letteratura americana, ma non fu mai capace di rendere i suoi coraggiosi esperimenti stilistici – «Una rosa è una rosa è una rosa è una rosa» – accessibili al grande pubblico. Per questo la sua produzione rimase divisa in due parti nettamente distinte: da una parte lo slancio cubista di libri come Teneri bottoni e dall’altra i libri come l’Autobiografia in cui scendeva drasticamente a compromessi con i suoi ideali di rottura. Eppure il successo le era arrivato solo con quell’autoritratto ironico e acuto, per cui aveva posato senza saperlo tutta quella che lei aveva ribattezzato «la generazione perduta».

Ormai era un personaggio noto. I parigini la riconoscevano quando la vedevano passare al volante della sua vecchia auto. Una Ford, come quella su cui nella prima guerra mondiale aveva trasportato, insieme ad Alice, i soldati feriti. Ma i tempi eroici se ne erano andati. Aiutava ancora distrattamente qualche giovane pittore, per poi lasciarlo ricadere nel nulla. Le sembrava che dopo gli artisti che aveva amato e aiutato a scoprire non ci fosse più posto per nessuno. Con una tournée in America aveva acquisito una certa fama, ma niente di paragonabile a quella di cui godevano personaggi per lei secondari come Hemingway e Joyce. Per non parlare dell’irraggiungibile Picasso.
In compenso era sempre più autoritaria. Ma i giovani d’oltreoceano in pellegrinaggio a Parigi ricevevano con gratitudine dolci, consigli e critiche e lei ricambiava il loro affetto. Non tollerava però l’indiscrezione, l’ubriachezza, la maleducazione e l’eccessiva familiarità. Se qualcuno diceva delle insulsaggini, tagliava corto: «Basta sciocchezze». Quando qualcuno, come il giovane Paul Bowles, le piaceva, lo prendeva affettuosamente in giro e lo ribattezzava, in questo caso «Freddie».
Ogni tanto vendeva un quadro, per fare quadrare il bilancio. Chiedeva sempre un prezzo più alto di quello di mercato e, quando gli acquirenti protestavano, spiegava loro che quella tela aveva il privilegio di fare parte della sua collezione.
Durante la guerra civile spagnola aveva osato, in contrasto con tutto il suo ambiente, schierarsi apertamente per Franco, arrivando persino a litigare con l’amato Picasso. Per lei, la gente di sinistra era «quel tipo di persona che era infelice da piccolo, e crede all’intelligenza, al progresso e al giudizio». Non che fosse bellicista – «La guerra non è mai fatale, ma è sempre persa» – ma in politica era conservatrice.
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Nella seconda guerra mondiale, Alice e Gertrude, favorevoli al regime filotedesco di Pétain, ma ebree, erano state salvate dal loro amico e traduttore Bernard Faÿ, direttore della Bibliothéque Nationale, un omosessuale collaborazionista, responsabile della morte di molti massoni. Faÿ aveva garantito per loro e avevano passato la bufera in un paesino.
Nel dicembre 1945, Julien Green andò a trovare la Stein. Salì la larga scala della rue Christine dove avevano traslocato nel 1938. Dietro la porta si sentiva abbaiare Basket. La scrittrice sedeva su un largo canapé di crine nero tra i quadri di Picasso e di Francis Rose, una delle sue ultime scoperte. Stranamente gli anni l’avevano imbellita modellando quel viso scolpito nella pietra. I grandi occhi nerissimi brillavano d’intelligenza nelle larghe guance. Gli aveva parlato dei tedeschi: «Erano comici. Piagnucolavano. Non le SS, la Wehrmacht. Desideravano che i francesi compatissero la loro pena di essere in guerra e lontani da casa… Erano troppo stupidi per trovare la gente che cercavano. Quando trovavano qualcuno, era perché i francesi li avevano aiutati. Ci hanno sempre lasciate tranquille».
Alla liberazione di Parigi, i soldati americani si riversarono nel suo salotto per renderle omaggio. Alla vecchia signora piaceva discutere con tutti quei giovanotti pieni di venerazione. «No, dopo Shakespeare nessuno ha fatto niente per sviluppare la lingua inglese, tranne me e forse un po’ Henry James». Passava dalle dichiarazioni di patriottismo – «Sono sempre stata a modo mio un veterano della guerra civile» -, alle filippiche contro la gastronomia americana – «Preferiamo i dolci come i bebè e non ci piacciono il formaggio e il pane duro». Su richiesta degli alti comandi tenne delle conferenze molto seguite dall’esercito.
Gertrude però era fedele all’amicizia. Nel clima teso dell’epurazione, non si lasciò distrarre dal suo trionfo e scrisse direttamente al presidente della repubblica per chiedere la liberazione di Faÿ. Quello fu il primo di una serie di sfortunati tentativi, proseguiti, dopo la sua morte, da Alice, che aiutò l’amico ad evadere.

Col tempo Picasso si era inacidito: «E allora, Gertrude, non avete scoperto altri pittori?… Oh, sicuramente siete la nonna della letteratura americana, ma quando si viene dalla pittura, siete proprio sicura di avere visto altrettanto lontano con la generazione successiva alla nostra? Quando c’erano da scoprire Matisse e Picasso tutto era facile, vero?… e dopo le vostre scoperte non sono state un granché».
Dietro la provocazione di Picasso c’era anche la delusione di vedere l’amica lasciarsi sedurre da artisti mediocri. Allora incrudeliva: «Un giorno mi ha mandato una foto in cui c’era lei davanti all’automobile e l’auto non si vedeva neppure, tanto era grassa. Un vero maiale! Per non parlare di quello che va dicendo in giro di me e della mia pittura! A sentire lei verrebbe da credere che mi abbia creato passo dopo passo. Ma se volete avere un’idea di quanto capisca di pittura, andate a vedere che razza di porcherie compra adesso». Ma ce n’era anche per Alice. «Quella strega, volete sapere perché porta la frangia? Perché ha un corno sulla fronte! Un’escrescenza, come un rinoceronte. Fanno una bella coppia, Gertrude e Alice: l’ippopotamo e il rinoceronte».

Picasso contro Gertrude Steinultima modifica: 2010-05-15T15:46:59+02:00da mangano1
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