Marco Travaglio, Stefano Feltri,una classe dirigente disastrosa

DA il fatto quotidiano

 

BANCOR | Stefano Feltri
Perché abbiamo
una classe dirigente disastrosa
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Qualche dubbio sull’ultimo libro di Ernesto Galli della Loggia: ma davvero Berlusconi ha salvato la democrazia italiana? Anche l’autore non sembra esserne così sicuro.

Se c’è una cosa su cui sono tutti d’accordo, quelli che vogliono vietare le intercettazioni telefoniche e quelli che scenderanno in piazza per difenderle, è che dalle telefonate della “Cricca” emerge il quadro di una classe dirigente non all’altezza (oltre che, molto spesso, criminale). Perché l’Italia non riesce a esprimere un personale tecnico-politico capace di gestire la cosa pubblica in modo decente?

La domanda è al centro dell’ultimo libro di Ernesto Galli della Loggia, lo storico che è tra i più noti opinionisti del Corriere della Sera. Si chiama “Tre giorni nella storia d’Italia” ed è appena stato pubblicato dal Mulino. I tre giorni sono il 28 ottobre 1922, cioè la presa di potere del Fascismo, il 18 aprile 1948 con le prime vere elezioni che determinano la sconfitta delle sinistre, e il 27 marzo 1994, la vittoria di Silvio Berlusconi.

La tesi di Galli è questa: in Italia non c’è una buona classe dirigente come, per esempio, in Francia, perché mancano i conservatori. Se in questo Paese scontiamo da 150 anni l’assenza di “un’amministrazione statale consapevole della sua funzione, preparata ad esercitarla perché animata da un ethos adeguato” è una conseguenza del fatto che non esiste “una dimensione pubblica orientata alla continuità, poggiante su valori e prassi non mutevoli, su una visione dell’interesse collettivo non fluttuante per la continua incertezza delle pressioni, delle combinazioni politiche, delle amicizie”. La prova, secondo l’editorialista del Corriere, è nelle tra date analizzate: in tutte il passaggio da una fase all’altra si verifica delegittimando il passato, segnando una cesura così netta con il “regime” precedente che costringe tutti i soggetti, anche quelli che in teoria sarebbero conservatori, a presentarsi come il nuovo che avanza e a rinnegare il passato. In realtà, come dimostra un altro libro appena uscito del politologo Luca Verzichelli (“Vivere di politica”, sempre il Mulino), queste rivoluzioni sono assai meno drammatiche di quello che sembra a un primo sguardo e il ceto-politico amministrativo sopravvive a quasi tutto.

La tesi di Galli della Loggia, comunque, è abbastanza convincente. Almeno quando, con una prospettiva prettamente di destra, parla di “assenza di una cultura democratica di massa” e di “un sentimento minimo di unità nazionale, di coesione patriottica”. Convince meno se si cerca di dedurne le conseguenze. Non abbiamo una classe dirigente vera perché le transizioni sono sempre traumatiche e quindi non si consolidano i saperi, le prassi, il senso dello Stato. Quindi? L’impressione è che Galli della Loggia finisca per risultare un po’ assolutorio. Estremizzando un po’ ma non troppo il suo ragionamento, si può dire che se il ministro Scajola si fa pagare la casa da un avvocato per conto di un imprenditore che lavora con gli appalti pubblici, la colpa non è sua ma del modo in cui procede la storia in Italia.

C’è poi un altro passaggio che convince poco. Nell’ultima parte del libro, Galli della Loggia parla di Berlusconi. Dopo quarant’anni di governi democristiani, dopo Mani Pulite i partiti storici di governo (soprattutto la Dc e il Psi) sono delegittimati. Quindi, scrive lo storico, si rischiava un’inversione dei ruoli con una presa del potere delle sinistre che avrebbe delegittimato l’ex centrodestra condannando l’Italia a una nuova contrapposizione irrisolvibile (a ricordare Occhetto ieri e Bersani oggi, questa ipotesi sembra davvero esagerata). Per fortuna nel 1994 scende in campo Silvio Berlusconi che “ha rappresentato lo strumento offerto all’Italia per ottenere finalmente un sistema politico dove fosse possibile l’alternanza di governo, cioè la fine del monopolio del potere”. Però Galli della Loggia qualche dubbio ce l’ha che si tratti di un vero miglioramento e quindi sente il dovere di precisare che il berlusconismo “non è il frutto di qualche oscura degenerazione morale che ha colpito una parte del popolo italiano” ma una naturale conseguenza della dissoluzione del precedente assetto del potere politico.

Già sul Corriere, in un famoso editoriale rimosso dalla prima pagina e poi pubblicato per rimediare alla figuraccia diventata pubblica, Galli della Loggia esprimeva i suoi dubbi sul successo del Popolo della libertà (“La plastica si sta squagliando? Sembrerebbe”). La conclusione sull’era berlusconiana del suo pamphlet è ancora più drastica, quando ricorda che talvolta la democrazia esibisce un volto grigio e dimesso, sul quale non riusciamo a scorgere alcuna luce”. Prima o poi, però (per fortuna, direbbero molti), arriverà un’altra discontinuità traumatica. L’Italia si troverà senza Berlusconi e, come al solito, senza una vera classe dirigente. Vederemo cosa ne scriverà allora Galli della Loggia.

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Diario politico di un anno italiano – di Marco Travaglio

Marco Travaglio, Stefano Feltri,una classe dirigente disastrosaultima modifica: 2010-05-25T14:53:40+02:00da mangano1
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