Giulietto Chiesa, Uniti e diversi

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Uniti e diversi: documento politico
di Giulietto Chiesa – Maurizio Pallante – Massimo Fini – 29/11/2010

Fonte: appello al popolo

Il processo iniziato a Torino per la costituzione del partito alternativo al partito unico delle due coalizioni fa grandi passi avanti. Offro in lettura un documento politico, importante non soltanto per il contenuto, bensì anche perché sottoscritto da Massimo Fini per conto di Movimento Zero. E’ una novità di grande rilevanza, che mi riempie di gioia. Se il mio socialismo mi impedisce di essere antimoderno nel senso estremo e un po’ irrealistico .- ma culturalmente importante – di Massimo Fini, ciò non toglie che sia fondamentale che il partito nasca con una componente decisamente antimoderna. Se poi consideriamo che i miei amici mi chiamano il Mullah (Omar), i lettori potranno persuadersi che la mia è effettivamente gioia. Quando ho creato il sito AppelloAlPopolo, mi auguravo che Cardini, Fini, Chiesa, Pallante e altri si unissero per formare un partito. Il desiderio si sta avverando. Forse il desiderio ha una forza che tendiamo a dimenticare, come la preghiera, che è in primo luogo iprecazione (Stefano)
I promotori del progetto UNITI E DIVERSI, che il 18 dicembre avrà a Bologna la sua prima Assemblea Nazionale, sono:
RPMLC – Rete Provinciale torinese dei Movimenti e Liste di Cittadinanza; Maurizio Pallante (MDF – Movimento della Decrescita Felice); Giulietto Chiesa (Movimento Alternativa); Monia Benini (Per il Bene Comune); Massimo Fini (Movimento Zero)

Qui di seguito: il Documento Politico.

1. La fase storica, che si è aperta con la rivoluzione industriale e in poco più di due secoli ha trasformato completamente il mondo, si sta avviando alla sua conclusione. La crescita della produzione di merci che l’ha contraddistinta, e la progressiva estensione della mercificazione a percentuali sempre maggiori della popolazione mondiale e a settori sempre più ampi della vita umana, si stanno scontrando con i limiti fisici della biosfera a fornire le quantità crescenti di energia e materie prime di cui questo processo ha bisogno e a metabolizzare gli scarti liquidi, solidi e gassosi che genera. Numerosi contributi scientifici lo documentano.

2. Un altro segnale, altrettanto evidente sebbene ignorato, della fine imminente di questa fase storica, è dato dal fallimento dei tentativi di superare la crisi di sovrapproduzione scatenata dalla crisi finanziaria esplosa nell’agosto del 2008. I governi occidentali hanno tentato di sostenere la domanda stanziando ingenti quote di denaro pubblico, ma non sono stati in grado di rilanciare produzione e consumi, né di fermare l’aumento della disoccupazione. Le politiche anti-recessive si sono tradotte in aumenti paurosi dei debiti pubblici, portando diversi paesi sull’orlo dell’insolvenza e oltre. Quando si è invertito l’ordine dei fattori, tentando l’avvio di politiche restrittive, l’effetto è stato la riduzione della domanda e una nuova impennata delle disoccupazione. E’ evidente che tutte le strategie del passato non funzionano più. L’economia della crescita ha raggiunto, o sta per raggiungere, il suo limite.

3. Questo limite è incompatibile con l’esistenza stessa dell’attuale architettura finanziaria internazionale. La guerra e l’assalto agli equilibri eco-sistemici sono entrambi un prodotto diretto di questa struttura. La finanza mondiale non è frutto di un errore: è stata costruita per funzionare così come ha funzionato e funziona. Ed è per questo che produce mostruosità di violenza e di diseguaglianze. Questa finanza mondiale è la forma monetaria della contraddizione insanabile, e ormai esplosiva, tra sviluppo e natura.
Di denaro continueremo ad avere bisogno, ma non di quello attuale. Dovrà essere introdotto il controllo pubblico democratico sull’emissione monetaria, poiché il denaro non può essere concepito come una merce e non ha valore se non è raccordato all’economia reale. Quando questo rapporto si spezza – e si è spezzato clamorosamente davanti ai nostri occhi – il denaro si trasforma in potere allo stato puro, sovvertitore di ogni regola e principio, inclusi quelli del mercato, della morale e della stessa logica. In questo contesto anche la sovranità degli Stati perde ogni significato e, con essa, la stessa democrazia viene liquidata, come sta avvenendo.

4. In Italia, secondo quanto sancito dalla nostra Costituzione, la sovranità appartiene al popolo. Tuttavia le oligarchie partitiche hanno fatto sì che questo testo sia largamente inapplicato. Per contrastare questa pericolosissima deriva, e soprattutto per restituire ai cittadini i diritti che dovrebbero esercitare, si dovrebbe imporre al Parlamento l’obbligo di discutere le proposte legislative di iniziativa popolare, e di attribuire a queste un carattere prioritario rispetto all’ordinaria attività. Pietra miliare per una democrazia partecipata è sicuramente l’abolizione del quorum di partecipazione per i referendum nazionali, con la contestuale introduzione di quelli propositivi, così come può diventare di fondamentale importanza portare le Amministrazioni Comunali ad inserire nei propri Statuti i referendum consultivi, nonchè abrogativi e deliberativi senza quorum. Similmente, si avverte l’urgenza dell’introduzione di un sistema elettorale proporzionale con la possibilità di esprimere preferenza da parte degli elettori per i candidati, contestualmente all’eliminazione dei procedimenti di raccolta firme ai fini della presentazione delle liste per qualunque elezione (il meccanismo attualmente è distorto e truffaldino e disattende anche il principio fondamentale della segretezza del voto, imponendo l’espressione di un “sostegno politico” alla lista che si sottoscrive).

5. L’attuale situazione, critica su molti fronti simultaneamente, sta già modificando tutti gli assetti mondiali di potere, a riprova che la transizione è già cominciata e che le sue turbolenze sono in espansione. Il lungo dominio mondiale degli Stati Uniti è in evidente declino, assieme all’ormai insostenibile – per il resto del mondo – supremazia assoluta del dollaro.
Il tenore di vita del miliardo d’oro non è sostenibile, in condizioni pacifiche, mentre all’interno stesso dei paesi industrialmente sviluppati – nei quali larghi strati popolari hanno comunque potuto godere, negli anni della crescita del PIL, delle briciole che cadevano dal tavolo dei ricchi – si assiste a una impressionante divaricazione e disparità nella distribuzione dei redditi. Ne consegue che i patti sociali – che hanno permesso alle nostre società di reggere negli ultimi 60 anni – sono gravemente minacciati quasi dovunque.
Le tensioni internazionali crescono di pari passo a quelle sociali e interne a ogni paese. Classi politiche impreparate e miopi si lasciano tentare da soluzioni demagogiche verso l’interno e aggressive verso l’esterno, nella speranza di mantenere una presa che loro sfugge nei confronti delle rispettive opinioni pubbliche.
E’ evidente che, in queste condizioni, cresce il pericolo di guerre, anche di grandi dimensioni. In assenza, o carenza, di risorse essenziali, coloro che sono forti militarmente sono trascinati dalla tentazione dell’uso della forza per risolvere i problemi della propria stabilità interna. Queste tendenze continueranno a crescere.
S’impone dunque una politica estera del tutto diversa dall’attuale, a cominciare dal riconoscimento dei diritti del popolo palestinese e dalla eliminazione di armi atomiche in Italia e in tutta l’area mediterranea. Occorre una politica estera che liberi l’Italia da ogni alleanza militare – anche attraverso la pubblicazione e il superamento degli accordi militari segreti tuttora in essere – e le consenta di svolgere un’azione autonoma e sovrana di pace.
Come primo atto di una svolta necessaria s’impone il ritiro delle nostre truppe dall’Afghanistan e l’impegno a una drastica e conseguente riduzione e riorientamento delle spese militari, esclusivamente all’interno di una politica europea comune di contributo attivo alla pace e alla costruzione di una nuova architettura mondiale multipolare.
Per realizzare questi obiettivi occorre interpretare in modo radicalmente nuovo la funzione dei movimenti per la pace. Dalla logica della risposta alla guerra, a quella della mobilitazione preventiva contro il sorgere di conflitti. Le guerre devono essere individuate là dove possono nascere. E là devono essere disinnescate. La pace si vince impedendo alla guerra di cominciare, non imponendole di fermarsi.

6. Tutte le forze politiche storiche hanno posto a fondamento del loro sistema di valori e dei loro criteri di interpretazione della realtà, l’identificazione del benessere con la crescita della produzione e del consumo di merci. Tutte hanno adottato le misure che ritenevano più efficaci per favorire la crescita e rimuovere gli ostacoli che le si frappongono, per accrescere in continuazione i livelli dei consumi, per ampliare il numero dei produttori e consumatori di merci. Lo scontro politico tra di esse si è sempre articolato sulle scelte di politica economica più efficaci per stimolare la crescita e sui criteri di distribuzione del reddito monetario che ne consegue.

7. Per superare la crisi di sistema determinata dall’intreccio della crisi di sovrapproduzione con la crisi ambientale occorre elaborare strumenti di analisi economica e di politica economica diversi da quelli finalizzati a rilanciare la crescita della produzione di merci. E per far questo occorre un soggetto politico capace di dimostrare nei fatti che si può, e conviene, indirizzare la ricerca scientifica e le innovazioni tecnologiche a ridurre gli sprechi di energia, gli sprechi di materie prime e la quantità dei rifiuti perché solo in questo modo si può creare occupazione; che quindi la crisi economica si può superare soltanto se l’economia viene indirizzata a superare la crisi ambientale. Occorre perseguire una crescita guidata dei settori produttivi funzionali al superamento della crisi ambientale e una decrescita guidata dei settori che la rendono sempre più grave. Si dovrà energicamente combattere contro licenziamenti e disoccupazione avviando una progressiva e generalizzata riduzione dell’orario di lavoro. Lo sviluppo di tecnologie che accrescono l’efficienza nell’uso delle materie prime e dell’energia, che accrescono la durata e la riparabilità degli oggetti, che consentono di recuperare i materiali di cui sono composti quando vengono dismessi, comporta una riduzione dei consumi a parità di benessere. Se al posto degli attuali parametri quantitativi si utilizzassero parametri qualitativi nella valutazione delle attività produttive, la conseguenza sarebbe una diminuzione degli sprechi e della produzione di merci.

8. Un così radicale capovolgimento di prospettiva richiede l’elaborazione di un paradigma culturale diverso da quello che caratterizza il modo di produzione industriale e non può essere compreso nel sistema dei valori e nei parametri concettuali dei partiti che si sono formati nel periodo storico e nei paesi in cui questo modo di produzione si è affermato, perché ne costituisce l’antitesi. Richiede pertanto la formazione di un nuovo soggetto politico che non può limitarsi ad essere un’altra variante dei partiti esistenti, un rimescolamento di carte tra spezzoni di varia provenienza che avvertendo l’insufficienza della strumentazione teorica in dotazione si propongano di arricchirla con qualche utensile in più. Il nuovo soggetto politico, di cui c’è bisogno per sostenere a livello istituzionale proposte coerenti con un paradigma culturale che sostituisca il parametro quantitativo della crescita con parametri qualitativi finalizzati a superare la crisi economica creando occupazione in attività produttive in grado di attenuare la crisi ambientale, non può che collocarsi in uno spazio definito da coordinate diverse da quelle che definiscono lo spazio in cui da più di due secoli si svolge il confronto tra le opzioni politiche di destra e di sinistra.

9. Il nuovo paradigma, i nuovi stili di vita, di produzione, di utilizzo-riutilizzo, di consumo devono diventare patrimonio di immense masse popolari. Ciò è non solo necessario perché la transizione verso una nuova società avvenga in modo pacifico, ma anche perché si realizzi un più alto livello di partecipazione e di democrazia. Noi viviamo però, da ormai due generazioni, in una società dove la democrazia è stata trasformata in un combattimento di tecnologie per manipolare la coscienza collettiva.
Un nuovo soggetto politico, quale noi intendiamo costruire, dovrà perciò porsi il compito cruciale di invertire il funzionamento della macchina dell’inganno e del frastuono, ovvero del rumore di fondo che obnubila e distrae. Tutto ciò per riportare l’uomo al centro di se stesso e della società, al posto di economia, tecnologia, virtuale,  e per recuperare il suo bene più prezioso: il tempo.
Non c’è dubbio che il mainstream informativo-comunicativo sta producendo una regressione collettiva, per le popolazioni che gli sono soggette, che ha già trasformato la maggioranza dei cittadini del miliardo d’oro in consumatori compulsivi. Coloro che detengono il potere della e sulla comunicazione sono gli stessi che puntano alla prosecuzione forsennata dello sviluppo predatorio e consumistico. Ecco, dunque, che occorre portare la battaglia sul campo della informazione comunicazione: dalla sua democratizzazione, al potenziamento dell’azione pubblica, come effetto della constatazione che le televisioni (e in generale i media di ogni tipo) hanno assunto un ruolo centrale e dominante nella formazione del tenore culturale e intellettuale di una intera nazione. Tra le misure indispensabili per accompagnare una transizione consapevole occorrerà ridurre drasticamente la massa dei messaggi pubblicitari. E introdurre, anche nei programmi scolastici di ogni ordine e grado, l’educazione ai media. Sarebbe, questo, uno degli strumenti decisivi per invertire lo scivolamento verso l’analfabetismo di massa che caratterizza tutte le società investite dalla mutazione antropologica dell’homo videns. Ora doppiamente analfabete, perché non sanno più leggere e perché non sono ancora capaci di leggere – non conoscendone la grammatica e la sintassi – il messaggio ormai dominante delle immagini in movimento.
Questi ed altri strumenti di organizzazione democratica e partecipata del flusso informativo-conoscitivo, come quello del sapere in ogni suo aspetto, debbono colpire l’effetto ultimo della mercificazione di tutti i rapporti umani che è stato il risultato del processo manipolatorio.

10. Le politiche economiche dominanti nei paesi occidentali sono variate nel tempo assieme alle forme di organizzazione e di regolazione dell’economia capitalistica. Così, la lunga fase di sviluppo economico iniziata con la fine della Seconda Guerra Mondiale è
stata caratterizzata da politiche economiche di sinistra, cioè di tipo riformista socialdemocratico, mentre la sua crisi, sopravvenuta negli anni Settanta del Novecento, ha portato al predominio di politiche economiche di destra (usualmente indicate con l’etichetta “neoliberismo”), predominio che si è protratto fino ad oggi. In questa fase “neoliberista” si è assistito al crollo del “socialismo reale” e alla diffusione nel mondo intero dei rapporti sociali capitalistici. In questa fase nei paesi a economia di mercato la sinistra ha cercato di competere con la destra introducendo nel suo apparato concettuale e operativo gli elementi essenziali della cultura della destra. Ma l’economia di mercato ha aggravato i problemi ambientali, economici e sociali: incremento delle emissioni inquinanti, maggiori difficoltà di approvvigionamento di materie prime, de-localizzazione delle produzioni in paesi a controllo ambientale ridotto o nullo, con manodopera disponibile a lavorare a costi più bassi e con meno garanzie, processi migratori su scala mondiale. Vi sono forze, politiche e culturali, che comprendono questi temi. Manca tuttavia ad esse la consapevolezza della necessità di un diverso paradigma culturale. Di conseguenza l’ equità o la sostenibilità che si presume di perseguire rimane all’interno di questo sistema di produzione, cioè si riduce a una più equa distribuzione della ricchezza monetaria prodotta da un’economia finalizzata unicamente alla crescita della produzione di merci, senza nemmeno scalfire la logica distruttiva dell’attuale sistema. Questo è un vicolo cieco.

11. C’è inoltre in Italia chi ritiene che sia necessario fondare un nuovo soggetto politico per dare rappresentanza a settori sempre più vasti dell’elettorato che non si riconoscono in nessuno dei partiti esistenti e sono sempre più nauseati dai livelli di degenerazione raggiunti dal sistema politico, dallo spregio della legalità, dalla diffusione della corruzione, dalla presenza nel parlamento di una nutrita rappresentanza di persone condannate in processi penali, dall’approvazione di leggi che impediscono lo svolgimento di processi a carico di imputati eccellenti e ostacolano le indagini penali, da sanatorie che incoraggiano l’evasione fiscale, da un sistema elettorale che ha sottratto agli elettori la libertà di scegliere i propri rappresentanti istituzionali e l’ha consegnata alle segreterie di partito, dagli intrecci tra apparati dello Stato e organizzazioni criminali, dalle collusioni tra maggioranza e minoranza nella difesa di privilegi intollerabili. Come non essere d’accordo con ogni iniziativa finalizzata a ripristinare la legalità e la sovranità popolare? Ma anche se si ottenesse questo risultato non si sarebbero fatti passi in avanti nella definizione di una politica economica in grado di superare la crisi economica e la crisi ambientale. Se in un contesto di legalità e di democrazia si continuasse a finalizzare le attività economiche e produttive alla crescita della produzione di merci, la disoccupazione, le emissioni inquinanti e i rifiuti continuerebbero comunque a crescere, i problemi energetici, quelli della salute, e l’effetto serra ad aggravarsi. Si andrebbe comunque al disastro, ma in condizioni giuridicamente ineccepibili.

12. Una più equa distribuzione delle risorse tra le classi sociali e tra i popoli, la tutela ambientale e la difesa della legalità costituiscono dei punti fermi su cui non si può non concordare, ma non sono sufficienti per evitare il collasso della civiltà che sta per essere causato da un sistema economico finalizzato alla crescita della produzione e del consumo di merci.
Occorre invertire questa tendenza individuando parametri differenti per le attività produttive; riscoprendo nel fare bene, e non nel fare sempre di più, il senso autentico del lavoro; nello stare bene con se stessi e con gli altri nei luoghi in cui si vive, e non nel tanto avere, il senso della vita.
Una presenza politica nelle istituzioni è indispensabile per riuscire a tradurre in misure di politica economica e industriale questa concezione del mondo e per diffondere azioni educative necessarie per orientare gli stili di vita verso la sostenibilità. Questo passaggio non sarà facile perché l’intera società attuale è basata sul presupposto della crescita. Di conseguenza, la crisi della crescita comporta gravissimi problemi sociali, in particolare l’aumento della disoccupazione e delle disuguaglianze sociali. Per questo, il passaggio ad una società più umana richiede un grande sforzo, in larga parte ancora da fare, di elaborazione teorica e pratica. Solo una nuova forza politica, di dimensione nazionale e, in prospettiva, internazionale, può porsi un tale obiettivo, che è la premessa per costruire una alternativa popolare e democratica ai fautori della crescita.

13. Una nuova presenza politica nelle istituzioni è necessaria, com’è necessario che si attui una nuova modalità capace di favorire concretamente buone pratiche di democrazia diretta e diffusa. Diventa così importante:
ascoltare, dialogare, confrontarsi con i cittadini, i comitati, i movimenti, le associazioni, costruendo e alimentando spazi e strumenti di partecipazione autentica che possano favorire scelte e decisioni condivise.
Fare della coerenza e della trasparenza principi imprescindibili dell’agire politico.
Affermare e praticare l’impegno politico come diritto/dovere di tutti e di tutte, rifiutando il principio della delega ai professionisti della politica.
Rifiutare i personalismi, i protagonismi, le gerarchie; favorire la partecipazione diretta, la responsabilità collettiva, lo spirito di servizio per il bene comune.
Superare la contrapposizione tra la sinistra e la destra (entrambe fautrici di una politica economica basata sulla crescita illimitata) e l’insieme della partitocrazia, a favore di un diverso paradigma culturale, che privilegia la sostenibilità alla crescita e allo sviluppo economico a tutti i costi.
Valorizzare la dimensione locale, il lavoro di territorio, lo sviluppo di comunità per alimentare il senso di solidarietà, di fiducia reciproca, di mutuo aiuto.
Sostenere e far interagire le realtà locali e le persone senza legami con i partiti che condividono l’esperienza del nuovo soggetto politico, favorendo la creazione di una rete di sostegno alla rappresentanza provinciale, regionale e nazionale.
Promuovere e incoraggiare circuiti dell’economia alternativa basati sugli scambi non monetari e sulle monete locali, al fine di sottrarre terreno al ricatto della finanza e moltiplicare esperienze per la transizione a un sistema sociale autenticamente alternativo.
In questo documento sono enunciati alcuni principi di fondo su cui i proponenti invitano ad aprire un confronto per verificare la possibilità di avviare il processo costituente di un nuovo soggetto politico.

Rete Provinciale torinese dei Movimenti e Liste di cittadinanza:
Comitato di cittadinanza attiva e Lista civica Rivalta Sostenibile, Lista civica Alpignano, Per il Bene Comune Piemonte, Movimento Alternativa Piemonte, Lista civica No Inceneritore Beinasco, ANIMO Nichelino.

Maurizio Pallante (MDF – Movimento della Decrescita Felice)
Giulietto Chiesa (Movimento Alternativa)
Monia Benini (Per il Bene Comune)
Massimo Fini (Movimento Zero)

Roma, 21 novembre 2010.

Giulietto Chiesa, Uniti e diversiultima modifica: 2010-11-30T16:04:18+01:00da mangano1
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