Stevenson nel giardino dell’infanzia

11291476_robert-louis-stevenson-il-giardino-dei-versi-0.jpgda L’avvenire
8 gennaio 2011
POESIA

Stevenson nel giardino dell’infanzia

Tra i regali di Natale ricevuti, sono grato a chi mi ha dato il libro che ho letto in solitudine con più piacere, o ad alta voce a figli d’amici e di parenti: le poesie di Robert Louis Stevenson edite da Nutrimenti in un libro che riproduce anche i fregi e le illustrazioni, l’impaginazione dell’edizione originale ottocentesca (con le immagini di Charles Robinson, nella traduzione di Raul Montanari, con una nota di Paolo Mauri, a cura di Filippo Tuena).

Il giardino dei versi è fatto di vere poesie in rima e di brevi divagazioni in versi, non sono racconti ma riflessioni e parentesi in versi pensate per un pub blico di bambini ma anche, si direbbe, nell’intento di far ca pire ai grandi che l’abbiano dimenticato qual è il territo rio vero dell’infanzia. Steven son ha capito l’infanzia come pochi altri (come solo alcuni grandi ‘educatori-poeti’, da Pestalozzi a Freud, da Ander sen a Collodi, dalla Montes sori a Korczak, da Bettelheim al Kubrick di Shining, hanno saputo capire). E l’esempio e la spiegazione di questo «se greto » e di questa compren sione lo troviamo qui, in que sto libro, nel modo più evi dente.

L’autore di L’isola del tesoro non ha avuto un’infanzia pre cisamente felice, è sempre stato malaticcio, e non è un caso se è poi morto in giova ne età, a soli 44 anni, dopo a verci regalato libri bellissimi per adulti (Il master di Bal lantrae o Il dottor Jekyll e mi ster Hyde ) e per ragazzi (Rapi to e Catriona o Il principe Ot to), bensì perfetti anche per lettori adulti. Nel suo giardino dei versi Stevenson ci parla di infanzia, e di bambini, come si diceva un tempo, pre-pu beri, come se l’avesse lasciata appena ieri, e sapesse tornar ci a suo piacere. I versi che sa pescare da questo tornarci den tro non sono storie, sono descrizioni di momenti di vita dei bambini, di giochi e di sogni, e la particolarità e bellezza dei versi sta in definitiva nella meravigliosa e quasi unica capacità che egli ha di tornare all’infanzia, di scrivere come dall’infan zia, e per l’infanzia reale e per quella a cui noi adulti sappiamo tornare con il suo aiuto di evocatore «da dentro», di mago che combatte il tempo.

«Il tempo è una stagione», dice al momen to di congedarsi dai suoi lettori. E parla ai bambini di ora – ai lettori o ascoltatori dei suoi testi: ‘anche tu, attraverso le fine stre/ di questo libro mio, potrai vedere/ lontano, lontano, un altro bambino/ che gioca felice in un altro giardino./ Ma è inu tile che bussi alla finestra,/ e chiami quel bambino: non ti sen te./ È tutto concentrato sul suo gioco,/ del mondo intorno gli interessa poco». Noi possiamo tornare, con la guida di Steven son, al territorio dell’infanzia, ma i bambini veri possono non sentirci e ignorarci, ché hanno il loro, di mondo, una realtà da cui noi siamo comunque esclusi, ma che le virtù rabdomanti che di Stevenson ci aiutano a riscoprire. E a capir meglio.

Viene da attribuire questa capacità dello scrittore proprio alla malattia, e a quella sorta di sensibilità che nasce da una man canza. Spesso è il letto il luogo di dove si dipartono i sogni e le fantasie del poeta, e questo non è a caso. Fantasia e sogno non hanno poco in comune. Il sogno è il viaggio nell’altrove più e sotico («là dove nascono le mele d’oro,/ dove sotto un altro cielo/ galleggia l’isola del tesoro», tra pirati e pericoli, nel sole e nel mare) oppure nelle vicinanze immediate, l’orto e il giardi no di casa, la soffitta e la can tina, la luce o le ombre di una comune dimora dove bensì si può scorrazzare ed esplorare non diversamente che nell’al trove, grazie alla vivezza del l’immaginazione.

È la trasfi gurazione del reale la chiave giusta per entrare nella di mensione della poesia, e la capacità di trasfigurare è il se greto dell’infanzia, appartie ne all’infanzia e a quel che di essa sanno conservare gli ar tisti. Un fila di sedie rovescia te diventa un treno, un basto ne una spada, dei cubetti di legno sul pavimento una città, l’orto una giungla, la soffitta un pianeta di alieni. Sono infinite le occasioni in cui il meraviglioso si fa nor male, e in cui il normale si fa meraviglioso. Per non parlare degli invisibili compagni di gioco di cui il bambino sa do tarsi per reagire alla solitudi ne, delle storie che sa raccon tarsi nell’immobilità forzata e nel silenzio. La fantasia è inesauribile ma anche la realtà sembra esser lo.

In una delle poesie di con gedo, A un bambino che si chiama come me, l’autore si rivolge a un piccolo Luis San chez d’altra nazione ed evoca una Londra «metropoli immen sa» in cui già s’incontrano Oriente e Occidente. Si parla spesso di «bimbi d’altri paesi», e l’entusiasmo per la vita e per la sco perta delle sue varietà porta all’esaltazione di un mondo «così pieno di cose,/ che per me/ dobbiamo essere tutti/ felici come re». Tutto è avventura nell’infanzia, e tutto dovrebbe esserlo nella vita, e se l’isola del tesoro è l’infanzia, è a quell’isola che dovremmo tutti tendere, è quella l’isola che dovremmo cerca re, per trovarvi il tesoro di una maturità che si rifiuti di tradire l’infanzia.

Stevenson nel giardino dell’infanziaultima modifica: 2011-01-09T19:08:21+01:00da mangano1
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