G.Riotta,La pace che unisce, le guerre incivili che ci dividono

SOLE 24 ore

La pace che unisce, le guerre incivili che ci dividono

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di Gianni Riotta

09 gennaio 2011

150 anni fa l’Italia celebrava la sua Unità, ma la giovane Repubblica degli Stati Uniti d’America soffriva la secessione del Sud dall’Unione e la guerra civile che avrebbe fatto strage fino al 1865. Le due grandi anime dell’Occidente democratico, gli Usa e l’Unione Europea, hanno entrambe un catastrofico conflitto nel Dna. L’Ue è nata dalle macerie della grande guerra civile europea, così la chiama lo storico Barraclough, che ha insanguinato il continente dal 1914 al 1989, passando per conflitti, rivoluzioni, colpi di stato e dittature. Ma anche gli Usa, come noi oggi li conosciamo, nascono dalla guerra civile, non meno che dalla dichiarazione di indipendenza del 1776 contro gli inglesi.

Prima dello scontro tra Nord e Sud, per mantenere l’Unione e battere la schiavitù secondo gli «yankee» del Nord e per difendere il federalismo degli stati contro Washington e l’economia agricola secondo i «Johnny Rebel» del Sud, gli Usa erano una comunità, non una nazione. Il dollaro, il budget, la Federal Reserve, i dazi e le tariffe, le università, il sistema fiscale, il corredo ideologico dei partiti, l’esercito nazionale, la forza del governo federale, l’idea dei diritti universali, il carisma della Casa Bianca, la vocazione industriale, i rapporti tra Congresso, presidenza e vertici militari, tutto quel che associamo all’idea di America nasce dalla guerra civile. La cui dimensione, fisica, geografica, politica, culturale, religiosa, militare raramente (come argomentano per noi Massimo Teodori e Christian Rocca) gli europei hanno compreso. 620mila caduti e mezzo milione tra feriti e amputati significano che durante la guerra civile 1861-1865 caddero tanti americani quanti han perso la vita negli altri conflitti della nazione, dalla guerra di Indipendenza all’Iraq. La dimensione della carneficina è per noi inconcepibile. In otto anni di guerra in Iraq e in dieci in Afghanistan gli americani han perduto circa seimila uomini. Nella sola battaglia di Gettysburg, dal primo al 3 di luglio del 1863 ci furono oltre settemila morti, 27mila feriti e 10mila dispersi.

Per gli europei, lettori de La Capanna dello Zio Tom e amanti al cinema di Via col Vento, è rimasta la guerra sulla schiavitù: che fu certo la miccia principale della battaglia, anche se, calcola lo storico Keegan, su 5 milioni di abitanti del Sud solo 48mila possedevano oltre 20 schiavi e la maggioranza non ne aveva affatto. Eppure difesero quella mostruosa barbarie, persuasi di battersi per l’autonomia dallo Zio Sam federale, come dopo di loro tantissimi americani han combattuto «Washington», a destra e sinistra, dal 1968 al Tea Party.

Il generale Grant, che aveva guidato il Nord alla vittoria e fu poi eletto presidente, chiuse le sue memorie di guerra con speranza «Siamo alla vigilia di una nuova era di armonia tra Unionisti e Confederati» e sembrava avere ragione se già nel luglio del 1913, per ricordare il mezzo secolo da Gettysburg, gli ultimi reduci della suicida carica del colonello sudista Pickett, ripeterono, capelli e barbe canute, il loro gesto eroico sotto gli occhi ammirati dei reduci nordisti, ex nemici ora connazionali.

Ricordare il passato per capire il presente è esercizio che gli americani faranno ora per un anno, a un secolo e mezzo dalla loro guerra civile. Lo stesso impegno toccherà a noi, e bene fa il presidente Napolitano a incoraggiarci a rivisitare le glorie e le tragedie del nostro passato non per rivincite e faide, ma per ripercorrere insieme il cammino più difficile. Le guerre civili, l’americana, l’europea e la nostra, sul campo dal 1943 al 1945 e ideologica dal 1945 a oggi, devono infine chiudersi e ritrovare l’armonia auspicata così in fretta dal generale Grant. Non è facile: il saggio presidente unionista Lincoln che tanto aveva fatto per evitare lo scontro, appresa la notizia della resa del generale sudista Lee ad Appomatox chiese alla banda di suonare il popolare inno Dixieland, caro ai ribelli, reclamandolo di nuovo come «americano». Non sapeva che l’odio l’avrebbe ucciso di lì a poco.

Non è facile ma è obbligatorio se Usa, Europa e Italia vogliono vivere nel XXI secolo senza i veleni del XIX e XX, che ancora ieri sera tardi, mentre scrivevamo, hanno di nuovo fatto vittime, con la sparatoria in Arizona dove è anche rimasta ferita la deputata democratica moderata Giffords: e vedremo se si tratta di un matto isolato o di reclute del nuovo odio politico.

Alla firma della pace dopo la guerra civile Usa, il generale Lee fu imbarazzato dal vedere tra glu ufficiali unionisti il colonnello Ely Parker, scuro di pelle, che scambiò per un nero. Appreso che Parker era un indiano della tribù dei Seneca, amico personale di Grant, sorrise imbarazzato «Bene, allora son contento di incontrare un vero americano». Con semplice dignità il colonnello Parker replicò «Siamo tutti americani adesso». Ecco uno slogan perfetto per questo difficile 2011 che il populismo vorrebbe lacerare di nuovo: replicare con calma davanti alle polemiche, agli insulti, alle ingiustizie, alle calunnie, alle offese gratuite dei gradassi faziosi: «Siamo tutti italiani, europei, americani adesso». Cogliere quel che ci unisce, e mettere fuori dal campo i seminatori nefasti di zizzanie.

G.Riotta,La pace che unisce, le guerre incivili che ci dividonoultima modifica: 2011-01-09T19:03:55+01:00da mangano1
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